Le 10 canzoni più improbabili di Sanremo anni '90
Elio e le Storie Tese vestiti da Rockets nella serata finale di Sanremo 1996

Le 10 canzoni più improbabili di Sanremo anni ’90

Non si esce vivi dagli anni Novanta. Questa massima vale per tutto, nessuno escluso, nemmeno (e soprattutto) il Festival di Sanremo. La tanto vituperata trasmissione di mamma Rai dedicata alla musica italiana da sempre ci regala incredibili perle e nel preziosi anni ’90 sul palco dell’Ariston sono passati tantissimi artisti celebri e non, che pur sforzandoci, non riusciamo a dimenticare. Tra chi era già molto conosciuto, chi ha ottenuto il successo solo più tardi e chi invece è finito nel dimenticatoio, non si può negare che questo decennio ci abbia dato grandi soddisfazioni.

Anche se il Festival di Sanremo pare immune allo scorrere del tempo quello fu un periodo di forte cambiamento nella musica italiana che per un attimo diede segni di vita con un gran numero di artisti sotterranei che sbocciarono con più o meno successo di pubblico ma, cosa più importante, producendo tanti ottimi dischi: dal rock alternativo alla musica dialettale, dal reggae al punk, dalla musica demenziale al rap. Questo vento di cambiamento arrivò in parte anche sulla riviera ligure ma non scalfì minimamente l’impianto reazionario della competizione (a parte Enrico Ruggeri che vinse con una canzone rock, i vari trionfatori furono sempre esponenti dell’intelligencija melodica tradizionale: Luca Barbarossa, Anna Oxa, Ron, Giorgia, Aleandro Baldi, Riccardo Cocciante, i Pooh…). 

Nel crogiuolo di canzoni solo piazzate o non arrivate in finale ci sono brani non allineati che abbiamo voluto raccogliere nella nostra classifica delle 10 canzoni più improbabili di Sanremo anni ’90 per musiche, testo e interpretazione.

I Ragazzi Italiani – Vero amore (1997)

I Ragazzi Italiani hanno un solo grande merito: essere stati la prima boy band italiana a presentarsi in gara a Sanremo e a noi tanto basta. Pensavate di averli debellati e invece il vostro cervello ricorda perfettamente l’insostenibile leggerezza di Vero amore che al Festival non venne capita ma ottenne buoni risultati di vendite regalando i classici 15 minuti di notorietà a questi bellocci, grazie al folto gruppo di fanciulle in stadio prepuberale che finalmente poteva avere dei Take That italiani. Esiste anche un’imperdibile versione in spagnolo che però non riuscì ad esportare quest’eccellenza made in Italy.

Mikimix – E la notte se ne va (1997)

Quando parliamo di Mikimix l’improbabilità di un brano come E la notte se ne va, fatto con una base alla camomilla e ingenue rime baciate come quelle di una filastrocca per bambini al di sotto dei 5 anni, passa completamente inosservata quando, anni dopo, il suo interprete si trasforma in CapaRezza! Sembra impossibile ma è così. Mikimix fu uno dei primi che cercò di portare il rap a Sanremo (ben prima dei Sottotono che arriveranno solo quattro anni dopo), ma nessuno se ne accorse, per fortuna. Ancora oggi vedere Michele Salvemini che ammicca in camera con quelle sopracciglia fuori ordinanza provoca un certo disagio.

Giorgio Faletti – Signor Tenente (1994)

Giorgio Faletti dopo averci provato timidamente nel 1992 con Rumba di tango in coppia con Orietta Berti torna a gareggiare al Festival nel 1994 con Signor Tenente; un brano musicalmente coraggioso per l’abbottonatissima giuria sanremese. A parte una breve introduzione cantata, potremmo parlare di un monologo su una base musicale che serve solo a fare atmosfera. La canzone la si ricorda per essere tutta praticamente recitata in un finto (e pessimo) accento siciliano con quel «minchia» ripetuto con insistenza che ne diventa un marchio di fabbrica.

Con le stragi di Capaci e di via D’Amelio sullo sfondo, Giorgio Faletti che dal palco di Sanremo denuncia le condizioni lavorative delle forze dell’ordine nell’Italia post bombe del ’92 faceva sicuramente effetto. Certo che un attore che fino a qualche anno prima si guadagnava da vivere con i personaggi di Vito Catozzo, Carlino e Suordaliso ora simpatizza con i Carabinieri perché vengono presi in giro nelle barzellette fa un po’ ridere e non in senso comico. In ogni caso 2° posto, premio della critica e disco di platino. A che cosa poteva ambire di più Giorgio Faletti? Che domande: fare lo scrittore di libri gialli di successo.

Sabrina Salerno e Jo Squillo – Siamo donne (1991)

Anni di battaglie femministe vengono buttate nel cesso in tre minuti in diretta nazionale. Le suffragette Sabrina Salerno e Jo Squillo, al grido di «Siamo donne, oltre le gambe c’è di più», salgono sul palco e non bruciano i loro reggiseni come le colleghe degli anni ’70 ma si limitano semplicemente a mostrarli. L’immarcescibile Siamo donne diventa immediatamente un caposaldo del femminismo vuoto all’italiana, quello delle quote rosa, quello delle vallette che cominciano a essere anche microfonate e quello delle esuberanti interpreti che riscattano secoli di sottomissione a colpi di ballonzolii di tette, dimenandosi come delle tarantolate con minigonne giro passera e gridando come galline. Davvero difficile vedere (e sentire) di più oltre le gambe. E la giuria infatti non le perdonò.

Marco Carena – Serenata (1991)

Dal Festival di Sanscemo a quello di Sanremo il passo è breve, anzi brevissimo, come ci dimostra il simpatico e indimenticato (almeno da noi) Marco Carena. Vincitore del Festival di Sanscemo nel 1990 arriva all’Ariston l’anno successivo nella sezione Novità anche grazie alle apparizioni televisive al Maurizio Costanzo Show. Per fortuna il cantante-cabarettista torinese non sposta di una virgola il suo stile impregnato di sarcasmo e humor nero. Per la grande occasione della sua carriera pensa bene di presentare Serenata, un brano melodicamente retrò e perfettamente sanremese ma dal testo pregno di taglienti e simpatici doppi sensi a sfondo sessuale con un finale che celebra la triste abitudine masturbatoria del maschio andato in bianco.

Statuto – Abbiamo vinto il Festival di Sanremo (1992)

Sanremo è il Festival della Musica Italiana e lo ska nel nostro Pese non ha mai attecchito veramente. Portare una band ska-rock all’Ariston significava chiaramente ultimo posto assicurato (nella migliore delle ipotesi) e così fu. Gli Statuto però decisero di prenderla con filosofia e salirono sul palco cantando Abbiamo vinto il Festival di Sanremo con un’energia che avrebbe svegliato anche i morti. La giuria per ripicca li mandò in finale ma arrivarono mestamente ultimi come da copione. Poco male, il brano ottenne un buon successo radiofonico e di vendite alla faccia del Festival e di quella che sarebbe la musica italiana.

Elio e le Storie Tese  – Neanche un minuto di non caco (La terra dei cachi) (1996)

Quando seppi che il mio gruppo preferito andava al Festival cominciai a sudare freddo: che cosa c’entravano gli Elio e le Storie Tese con il Festival di Sanremo? Nulla. Appunto. Oltre a questo si svolse un dramma personale: per vederli mi sarei dovuto sciroppare 5 serate di canzoni di merda. Acqua passata ormai. Oggi possiamo dire che gli Elii furono i veri vincitori, che rubarono la scena a Pippo Baudo, che la canzone era arrangiata benissimo e così via. Tutto vero, ma rimane il fatto che a me La terra dei cachi non è mai piaciuta. Anzi era nettamente il loro pezzo più brutto inciso sino ad allora. Siamo al livello del Pipppero ma ancora meno spontanea; si sente che fu scritta appositamente per l’occasione e che manca di quella vena anarchica cui ci avevano abituato. In ogni caso prendere per il culo il pubblico di Sanremo sul palco di Sanremo senza che questo se ne accorgesse e anzi facendoti applaudire a scena aperta è da fuoriclasse. Tutt’altra cosa la folle versione Neanche un minuto di non caco in cui il brano viene compattato in una versione di 55 secondi per la gioia dell’orchestra e dei loro fan, ma prendono per il culo la direzione artistica di Pippo Baudo stesso che imponeva di riproporre un solo minuto di canzone (che sarebbe come vedere 5 minuti di un film o leggere due pagine di un libro). Senza dubbio uno dei momenti più alti della storia del Festival.

Pitura Freska – Papa nero (1997)

Se il rap a Sanremo è sempre stato accolto negativamente, che cosa dovremmo dire allora della musica reggae? Immaginiamoci quindi una band reggae di discreto successo nazionale che approda al Festival con un brano che parla d’integrazione culturale patendo proprio dalla Chiesa cattolica (pur non toccando l’argomento religioso), per di più in dialetto veneziano che, diciamolo, non ha la stessa tradizione canora e il rispetto di quello napoletano. In poche parole un suicidio premeditato. Invece no, contro ogni aspettativa con Papa nero i Pitura Freska ci regalano la canzone più divertente del Festival del 1997 e uno dei loro singoli di maggiore successo, nonostante non venne capita dalla giuria che la relegò nei bassifondi della classifica. Forse per colpa dei dreadlock che non piacevano alle signore in prima fila.

Aeroplanitaliani – Zitti zitti (il silenzio è d’oro) (1992)

Gli Aeroplanitaliani guidati da Alessio Bertallot arrivarono al Festival del 1992 nella sezione Novità e dopo una sola terremotante esibizione furono bocciati e non ammessi in finale. Un vero peccato perché la loro Zitti zitti (il silenzio è d’oro) era una bella ventata d’aria fresca, con un sound che richiamava certi Happy Mondays e un cantato praticamente rap che con loro varcò la soglia di Sanremo per la primissima volta. Troppe novità in effetti, ma soprattutto come non dimenticare quei lunghisssimi 26 secondi di silenzio nel bel mezzo del brano con il pubblico in sala smarrito a chiedersi se per caso si fosse addormentato e quello a casa a cercare di alzare compulsivamente il volume del televisore. Nonostante la fugace apparizione il brano fu il quarto singolo più venduto del Festival del 1992.

Sabina Guzzanti e la Riserva Indiana – Troppo sole (1995)

Strano a dirsi ma anche una dura e pura come Sabina Guzzanti si fece tentare dalle lusinghe di Sanremo. In realtà l’idea era quella di fare una canzone politicizzata che fosse contro la violenza e parlasse di pace, amore ed ecologia. Assieme al marito (nonché autore del brano) David Riondino, per essere sicuri di lasciare un segno nel cervello lobotomizzato dello spettatore medio, oltre al cantato sguaiato e imperfetto di un’indomabile Sabina pensarono bene di portarsi dietro una mandria di amici tra cui Sandro Curzi, Mario Capanna, Antonio Ricci, Daria Bignardi, Bruno Voglino e un giovane Nichi Vendola nei panni di un coro mascherato da indiani a metà tra Arrapaho e i Village People in una sorta di happening piuttosto confuso. Tutto molto bello, forse, ma il pubblico in sala e a casa non poteva non chiedersi che cosa cazzo stesse succedendo. “Troppo sole” gareggiò nella categoria Campioni senza un motivo apparente e, nonstante arrivò terzultima, riuscì a mettersi alle spalle due nomi come Loredana Bertè e Patty Pravo. La cosa più sconvolgente è però pensare che Pippo Baudo come direttore artistico scelse questo brano preferendo lasciare a casa interpreti più “rassicuranti” come Ivan Graziani, Andrea Mingardi e gli Stadio.

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