Siamo nel 1995 a un passo dal clamoroso abbandono da parte di Robbie Williams che sconvolgerà l’universo delle teenagers di tutto il mondo, quando i Take That decidono di alzare un pochino il livello “qualità” con “Nobody Else”, forse il primo vero album che si possa definire tale a fronte dei primi due tentativi pseudo pop-dance di esordio afonico.
Viste le alte vendite dell’album e il crescente successo ottenuto da Gary & Co. in tutta Europa, ecco che come al solito fioccano i singoli che riescono a fare ulteriore cassa sfruttando la facile suscettibilità delle giovanissime che preferiscono un bel visino appiccicato a quattro addominali e a dei glutei sodi piuttosto che a una buona voce, perché tanto a quell’età non ci si bada più di tanto.
Ci ritroviamo così tra le mani “Back For Good”, che si rivela estremamente interessante per i lati B dai contenuti orrorifici. Tralasciando la pessima versione live di “Sure”, che già inizia a farci capire in quale turlupinatura siamo capitati (più che un’atmosfera da concerto live si ha la sensazione di un pigiama-party con una base dei Take That che fa da sfondo ad un gineceo di tredicenni che si prendono a cuscinate e che sfogliano il “Cioè”), arriviamo al vero “pezzo forte”: un medley dei Beatles registrato dal vivo alla Wembley Arena, inappropriatamente intitolato “Beatles Tribute”.
Usato a chiusura dei concerti nei primi anni di vita della band inglese, a un ascolto attento si rivela una vera e propria baracconata; il classico medley “riempitivo” studiato appositamente per cercare di dare un tono ancora più professionale al gruppo, che di professionale aveva (forse) solo il taglio dei capelli.
Si parte con “I Want To Hold Your Hand” che oltre ad avere una intro di oltre 1 minuto a vuoto, presenta subito la fiacchezza di voce da parte di Gary Barlow (forse l’unico dei cinque che sapeva usare le corde vocali) con una esecuzione fuori tempo abbastanza evidente. Segue a ruota “A Hard Day’s Night” eseguita da Robbie Williams che anche mettendocela tutta non ne viene a capo: ormai in debito d’ossigeno riesce a trasformare un caposaldo dei Beatles in una mera ballata rock al pari di una cover di Pamela Petrarolo dei tempi d’oro di “Non è la Rai”.
Il peggioramento progressivo però si ha con “She Loves You” dove Jason “mascellone” Orange sembra Morten Harket degli A-Ha in “Take On Me” con un tono di voce troppo basso rispetto agli elevati riverberi dei Fab Four e che tutto ci lascia intendere fuorché un “Beatles Tribute”.
Viste le gravi mancanze canore si decide di giocare il “jolly” e sfruttando in maniera spropositata l’uso del sax per migliorare l’andazzo generale e cercare di salvare il salvabile, ci ritroviamo a dover subire “I Feel Fine” e “Get Back” in versione impropriamente accelerata stile “The Benny Hill Show” con tanto di coretti in falsetto che assieme al sax dosato come il prezzemolo ci danno l’impressione di ascoltare Cristiano Malgioglio che interpreta qualche brano di Fausto Papetti.
Il colpo di grazia ci viene dato però col duo Barlow-Williams in “Hey Jude” posto ovviamente in chiusura: ormai senza voce i due “arrapa-teenagers” stonano senza ritegno alcuno, oltre che andare malamente fuori tempo, senza parlare poi dei cori falsettati di sottofondo che hanno studiato canto guardando “Farinelli Voce Regina”, stonatissimi anch’essi. Anche qui l’uso del sax cerca di alzare coattivamente le ottave troppo basse dei novelli baronetti, tanto per salvare la faccia e rendere meno evidente l’ormai conclamata crisi enfisematosa.
Il climax lo si raggiunge nel celebre ritornello, vera e propria mazzata finale: una specie di “catena dell’amore” alla Sandra Milo che sembra ricordare “Un’Estate Italiana” con Bennato e la Nannini dei bei tempi andati di “Italia ’90” e con i cori che continuano a stonare a piede libero, intonando a tratti dei “dadadada” al posto di “nananana”. Completa il tutto un esaltato Robbie Williams che si cimenta in furiosi assoli vocali tendando di imitare Paul McCartney.
Consigliato agli amanti della cultura spicciola tipica dei fans di Teo Mammucari o di Juliana Moreira e a chi vuole conoscere i Beatles in maniera veloce, casereccia e “fai da te” senza sprecarsi troppo in enciclopedie Curcio e in corsi musicali appositi tenuti da Red Ronnie.