Per il Festival di Sanremo gli anni ’70 rappresentano un piccolo decennio oscuro, che potremmo collocare tra il 1968, con la nascita del cantautore “impegnato” e il rifiuto di big del calibro di Francesco Guccini o Francesco De Gregori a partecipare alla gara, e il 1978 con l’influenza del punk reinterpretato all’italiana che permise maggiore libertà espressiva e compositiva e favorì la nascita di nuovi personaggi come Anna Oxa o Donatella Rettore (anche se col punk non hanno nulla a che vedere).
Entrano finalmente nelle canzoni temi d’attualità, come ad esempio la droga o l’emancipazione sessuale e anche le scorie post-sessantottine del movimento hippy trovano un loro posto (anche se molto scomodo) nel salone delle Feste del Casinò Municipale e poi dal 1977 al teatro Ariston, diventando più che altro una parodia contaminata dalla discomusic, che riuscirà a coinvolgere maggiormente il pubblico (e a far vendere più dischi).
Grazie a tutto questo le edizioni degli anni ’70 del Festival della canzone italiana più famoso nell’universo hanno lasciato in eredità tante piccole perle difficili da classificare, per la loro inadeguatezza agli standard della tradizionalissima competizione canora, per l’essere troppo avanti con i tempi, o semplicemente perché inascoltabili. Di queste pepite di melodia italiana vi proponiamo le nostra personalissima classifica: ecco a voi le 10 canzoni più strane del Festival di Sanremo degli anni ’70. Buon ascolto.
Le nuove erbe – Topolino piccolo (1975)
Organizzata direttamente dal comune di Sanremo, quella del 1975 fu l’edizione più disastrosa del Festival di sempre, a causa dei dissensi nati tra l’amministrazione locale e le case discografiche. Di conseguenza sul palco non salirono molti big della canzone melodica permettendo però a tanti nomi meno noti di poter approdare sul palcoscenico del Festival della canzone più importante d’Italia per cercare di farsi un nome. È il caso de Le Nuove Erbe, duo vocale femminile dal nome atroce che ottenne nei primi anni ’70 un discreto successo in ex-Jugoslavia, e che cercava di fare il botto anche in patria. Ritorna con loro il tema dell’emancipazione della donna, visto sempre e comunque solamente dal punto di vista sessuale. Infatti, come ben sapevano negli anni ’70, la donna con l’indipendenza diventa automaticamente una ninfomane.
Piero Focaccia / Mungo Jerry – Santo Antonio Santo Francisco (1971)
Il 1971 fu l’ultimo anno in cui il Festival adottò la formula della doppia esibizione, ovvero due artisti riproponevano lo stesso brano. Perché? Per il più semplice dei motivi: Sanremo è il Festival della Canzone italiana e non, come dagli anni ’80 in poi, dell’interprete. L’unico vero protagonista dovrebbe essere il brano o al limite i suoi autori, che in questo caso, per Santo Antonio Santo Francisco, sono due nomi di punta per la musica italiana, ovvero Vito Pallavicini e Paolo Conte, che già assieme avevano firmato Azzurro nel 1968.
https://youtu.be/rBe_VIMovFU?t=28s
A voi lettori non rimane che decidere quale delle due versioni sia la più memorabile (entrambe con basette ben fuori ordinanza anche per i tempi): se il folk di origine sessantottina dei Mungo Jerry, storica band inglese autori di In the Summertime, o quella che sembra la sigla di un telefilm sui cowboy eseguita da un incontenibile Piero Focaccia (complice lo zampino del Maestro Detto Mariano). Purtroppo la giuria del Festival non riuscì ad apprezzare nessuna delle due interpretazioni e il brano uscì quasi immediatamente dalla competizione.
Daniel Sentacruz Ensemble – Linda bella Linda (1976)
Linda bella Linda è il ritrattino leggero, portato a Sanremo dai Daniel Sentacruz Ensemble, di una ragazza emancipata in cerca di avventure occasionali, salvo poi tirarsi indietro all’ultimo secondo. Con questa ballata, a metà tra la disco-pop e i cori hippy, il gruppo si guadagna un degno ottavo posto nell’edizione del 1976, confermando la regola che chi non vince Sanremo vende più dischi: il 45 giri infatti arriva secondo nelle classifiche italiane e diviene il dodicesimo singolo più venduto dell’anno. Da ricordare l’inserimento del brano nel film La pretora di Lucio Fulci, nella scena della piscina, in cui Edwige Fenech dona al pubblico una grandissima prova attoriale, interpretando non uno, bensì due ruoli.
Enzo Carella – Barbara (1979)
Alla fine degli anni ’70 arriva Enzo Carella a smuovere l’ingessato pubblico di Sanremo con Barbara, un sensualissimo disco-funk che gli fece guadagnare un meritatissimo secondo posto e di cui vi abbiamo gia parlato. A cooperare per la riuscita del brano il paroliere Pasquale Panella, che il cantante ricorda così: «Il suo modo così particolare di scrivere mi ha subito conquistato ed ho accettato volentieri di averlo come collaboratore. Purtroppo eravamo tutti e due troppo avanti e la gente ci mise molto tempo prima di cominciare ad apprezzare le nostre canzoni». In seguito Lucio Battisti, dopo la rottura con Mogol, inizierà a collaborare con Panella, proprio grazie all’ascolto delle canzoni scritte con Carella.
Les Charlots – Mon ami tango (1974)
Con Mon ami tango si torna a parlare di sesso al Festival di Sanremo come vi abbiamo già raccontato. Il tango, da sempre considerato uno dei balli più sensuali, viene trasformato in questo brano, dal quartetto di autori Pace, Conti, Pilat e Panzeri, nella semplice metafora sessuale dell’incontro occasionale. La storia in sé è molto semplice: lui viene tradito da lei, perciò va a letto con un’altra, salvo poi tornare da lei per trovarla tra le braccia di un altro. Forse a causa di questa semplicità, o forse per una velata allusione all’omicidio passionale, la canzone non è stata molto apprezzata dalla giuria facendo comunque guadagnare un modesto ottavo posto; posizione ufficiosa della classifica stipulata dal giornale TV Sorrisi e Canzoni, in quanto la classifica ufficiale dell’edizione comprendeva solo i primi tre posti. Non un brutto risultato se considerate che il brano fu eseguito dai francesi Les Charlots, gruppo di attori comici, Gerard Rinaldi, Jean Guy Fechner, Gerard Filippelli e Jean Sarrus a cui si va ad aggiungere Serge Brassis per riproporre il cinquetto de I Cinque Matti per come sono conosciuti da noi in Italia.
Albatros – Volo AZ 504 (1976)
Mentre il cosiddetto “cantautorato impegnato” cerca di mantenere una certa faccia rifiutando il Festival, vi sono altri autori più arditi che cercano di portare temi “forti” come quello dell’aborto sul palcoscenico. È il caso degli Albatros con la loro terribile Volo AZ 504 che abbiamo già sviscerato a dovere. Dopo una lunga introduzione funk psichedelica ornata da un coro che pare fatto dai figuranti dei film di Dario Argento, partono alla ribalta le due voci narranti del dialogo in musica: Silvia Dioniso (ex-moglie del regista Ruggero Deodato che la rese famosa grazie al film Ondata di piacere), e un giovanissimo Toto Cutugno. Lei vestita con un agghiacciante abitino quasi premaman e lui con indosso la stessa faccia che da quel 1976 sfodererà a tutti i festival, a prescindere dalla posizione raggiunta. Un buon terzo posto e un buon successo del disco spianano la carriera solista del nostro Toto nazionale, ma soprattutto il brano viene ricordato per le infinite polemiche proprio negli anni che preparano al referendum sull’aborto.
Enrico Beruschi – Sarà un fiore (1979)
Il Ragionier Enrico Beruschi (Beruscao per gli amici di Drive In), partecipa sontuosamente al Festival di Sanremo con una deliziosa marcetta dal testo a doppio senso di cui parlammo tempo addietro, sfornata dalla triade di autori Conti-Panzeri-Pace e intitolata Sarà un fiore. Un poetico calembour per alludere al sesso maschile, che arrivò quinta (!) alla finale Sanremese e questo la dice lunga sulle condizioni del sistema neurovegetativo della giuria dell’epoca. Da notare come la censura, sempre attenta a non urtare la morale di quel povero pubblico sensibile e indifeso, quasi bloccò la canzone di Franco Fanigliulo A me mi piace vivere alla grande perché nominava la cocaina, mentre non si scompose su una canzone che parla chiaramente del pene.
Anna Oxa – Un’emozione da poco (1978)
Certamente il look e la grinta della cantante contribuirono a farle guadagnare il secondo posto nella finale, esito non scontato considerando che per Anna Oxa questo fu l’esordio musicale e televisivo. Armata di valigetta 24 ore, pipa e di pesante trucco alla Siouxsie Sioux su completo impiegatizio, interpretò questo intensissimo brano scritto da Ivano Fossati, oggi ritornato in auge grazie alla grandissima interpretazione di Luca Marinelli nei panni de Lo zingaro nel film Lo chiamavano Jeeg Robot. Un brano non esattamente strano di per sé ma certamnte imporbabile per comme venne presentato al pubblico dal personaggio di Anna Oxa e che segna con un tratto netto l’inizio degli anni ’80 di Sanremo.
Pandemonium – Tu fai schifo sempre (1979)
I Pandemonium, gruppo di attori-cantanti napoletani, salrono sul palco e diedero una botta di vita alla platea sonnacchiosa del teatro Ariston con la nostra amata Tu fai schifo sempre che, come vi abbiamo già detto nel nostro approfondimento, è un delizioso dialogo di coppia in cui lui è consapevole di non essere un granché come uomo e questo lo fa sentire il più fortunato del mondo e lei lo invita a smettere di dire secchi di cazzate, ricordandogli che, in ogni caso, fa e farà schifo sempre. Dopo la prima esibizione i Pandemonium balzarono al primo posto nella classifica parziale, ma le giurie riportarono l’ordine nell’ultima serata esiliandoli ad un misero decimo posto. In ogni caso questo bastò per far diventare la canzone il vero simbolo di quell’anno. Oggi questo pezzo è caduto quasi del tutto nel dimenticatoio ma meriterebbe davvero una rispolveratina.
Le Figlie del Vento – Sugli sugli bane bane (1973)
Le vincitrici di questo excursus non potevano che essere loro: Le Figlie del Vento. Qui ci troviamo di fronte a una perla di nonsense splendente, un gioiellino che vi abbiamo già riproposto e che non meriterebbe mai e poi mai l’accesso al dimenticatoio. Già con Sugli sugli bane bane Le Figlie del Vento introdussero un certo modo di unire musica e parole, privilegiando l’accostamento armonico tra le due cose a discapito del senso. Dopo i primi secondi d’ascolto forse verrà spontaneo chiedersi: «Perché?». Quale sia il senso di tutto questo, come sia stato possibile pensare di realizzare un brano del genere e con quale criterio sia stato portato sul palco del più famoso festival del nostro paese. Tutte queste domande verranno spazzate via dall’arrangiamento, dal motivo trascinante e dall’armonia accattivante che viene fuori quando le quattro componenti del gruppo cantano all’unisono. Immense.