Siamo in Italia, Sanremo 1976 anche se dai filmati dell’epoca sembrerebbe piuttosto uno di quei programmi dell’est Europa da cui Paperissima tira fuori varie gaffe quando non sanno come riempire la puntata. Tocca ai misconosciuti Albatros.
Dopo una lunga intro funk psichedelica come usava in quegli anni e un coro epico salgono alla ribalta le due voci narranti del dialogo in musica: tale Silvia Dioniso, moglie di Ruggero Deodato, e un giovane Toto Cutugno; lei vestita con un agghiacciante abitino quasi premaman e lui con indosso la stessa faccia che dal 1980 sfodererà a tutti i festival, a prescindere dalla posizione raggiunta.
Eccoli impegnati in un dialogo palpitante con lei che esordisce: “Ciao… Ho passato dei bei giorni con te… Piccolo, stupido, meraviglioso ragazzo. Ciao… anzi addio…”
Quindi capiamo che c’è qualcosa che non va… Che cosa sarà successo? Toto è visibilmente sconvolto e accusa il colpo: “Allora, non stavi scherzando… Te ne vai…”
Si entra quindi nel vivo della tragedia musicale. Lei, travolta dal dolore, con una mimica pari solo alla Milva di Brecht, prosegue il suo drammatico racconto con un filo di poesia: “Certo che me ne vado.. Cosa volevi … Guarda quanto cielo c’è… E quanti amori ci stanno dentro… E quanti volano via”.
Ecco quindi il fattaccio: Toto è in realtà un mostro? O è più mostruoso il vestito di lei, che finalmente scopriamo non essere casuale? Lui incalza: “Potevo lasciarti avere il bambino ma… Ti rendi conto, cosa sarebbe successo? Però forse sarebbe stato meglio… Almeno non saresti andata via…” Forse effettivamente è Toto il mostro in questa faccenda.
Torna quindi il coro che pare fatto dai figuranti dei film di Dario Argento visto che quelle brutte facce ricordano i volti dei ritratti del corridoio di Profondo Rosso.
Si arriva poi al momento clou del brano, col grido disperato che squarcia la notte: “Sandra, ma dove vai?… Dai non scherzare, torna qui.. Sandra, ascoltami, ma dai, cosa fai.. Ti amo, Sandra… Ti amo, Sandra… Ti amo…”
Si chiude frettolosamente con effetti speciali finali: il rombo dell’aereo (quello del titolo, che dalla sigla capiamo trattarsi di un volo Alitalia) che decolla e porta lontano lei per abortire, mentre la canzone termina con il pubblico imbalsamato che applaude.



Conclusione: terzo posto (!), buon successo del disco (che spiana la carriera solista di Toto Cutugno) e polemiche a non finire perché sono gli anni che preparano al referendum sull’aborto.
Menzione speciale: lei che mette le mani giunte sul mancato pancione.