Immense praterie, ecco la sensazione che si ha percorrendo gli spazi sconfinati dell’Eurovision Song Contest: centinaia di situazioni riprovevoli, esibizioni discutibili e interrogativi inquietanti, tali da degenerare nell’oggettiva difficoltà della scelta.
Certo non era così ai tempi della vittoria della nostra amata Gigliola Cinquetti che sbancò nel 1964 con Non ho l’età, e ancora resisteva ai tempi del bis nel 1990 con Toto Cutugno in versione Europa con Insieme: 1992, ma ormai da almeno vent’anni l’Eurovision (già Eurofestival) si è trasformato da rassegna canora tutto sommato seriosa (e francamente noiosa, guarda caso liberamente ispirata al nostro Festival di Sanremo) in uno spettacolone all’insegna del pecoreccio, con ascolti fantascientifici e un seguito pazzesco in ogni dove tranne che in Italia.
Ciò che qui vale è l’esibizione (tanto che il regolamento parla di performance) a discapito della canzone in sé, il cui spazio è ormai praticamente nullo. È quindi praticamente impossibile stilare la classifica definitiva dei momenti più assurdi dell’Eurovision, ma in questa raccolta inevitabilmente parziale con un pizzico di orgoglio l’Italia non trova spazio alcuno, perché le nostri peggiori partecipazioni, anche quando un buffo omino coi baffi si mette a ballare con una scimmia, rimangono sempre e comunque migliori di quasi tutte le altre. Se avete lo stomaco forte cliccate sulle immagini per un indimenticabile carosello del bizzarro in eurovisione.
Vittorio “Vikk” Papa e Giuseppe Sanna
Treble – Amambanda (Paesi Bassi, 2006)
All’Eurovision avevamo già assistito a canzoni cantate in lingue inventate, come accadde nel 2003 con il brano Sanom interpretato dal gruppo belga Urban Trad, ma nulla ci avrebbe preparati all’esibizione delle Treble, trio famminile dei Paesi Bassi piombato all’Eurovision nel 2006, tutto energia, cosce lunghe e urlettini, cercando di cantare la loro Amambanda, che pare più una scusa per suonare a caso dei bonghi e vestirsi come Shakira. Difatti non andò oltre la semifinale.
Bonaparti.lv – Questa notte (Lettonia, 2007)
Dato che dal 1999 all’Eurovision quel che conta è la nazionalità e non la lingua, se quasi tutti ormai cantano in inglese è anche possibile che la Lettonia nel 2007 decida di portare in gara un brano in italiano, schierando per l’occasione (come direbbe Toto Cutugno) un italiano vero. È il caso di tale Roberto Meloni, sardo come il mirto e i nuraghi, che trasferitosi per un master post laurea in Lettonia non se n’è mai andato, diventando una sorta di idolo locale tra TV, teatro e musica. L’operazione, con l’immaginifico nome di Bonaparti.lv, prevede sei solisti che s’infilano a gridare a squarciagola la loro Questa notte, una roba che ai suoi tempi avrebbe ben interpretato Claudio Villa, ma che nel 2007 li fa sembrare solo dei vecchi, e loro da vecchi si vestono pure, con tanto di cilindro, sciarpe bianche d’ordinanza e rosa in mano a cantare «questa notte saràààààà l’immensitàààààààààà, l’amore mai più finirààààààààààà». Praticamente Il Volo moltiplicato per due e un misero 16° posto.
PingPong – Sameyakh (Israele, 2000)
Immaginare oggi un gruppo israeliano che sventola contemporaneamente bandiere siriane e quelle con la stella di David pare impossibile; nel 2000 le cose non erano certamente molto diverse e questa Sameyakh, che arrivò solo 22ª, scatenò l’ira dei soliti sionisti rompicoglioni che videro la performance come una sorta di alto tradimento. L’unica cosa davvero paurosa è l’esibizione: base recuperata da qualche compilation dance del 1992, stecche imbarazzanti e balletti da prima elementare. Per qualche ragione non è che ci aspettassimo molto dal pop israeliano, ma siamo sicuri che non ci fosse qualcuno un po’ meno scarso di questi PingPong? In ogni caso eroi.
Dihaj – Skeletons (Azerbaijan, 2017)
Scritte a caso sul muro e un uomo immobile su una scala mentre indossa una maschera da cavallo. Basterebbe tutto questo a far entrare negli annali Dihaj, cantante che rappresenta l’Azerbaijan all’Eurovision 2017 con l sua Skeletons. Che cosa c’entri tutto questo con il brano non ci è dato sapere. In ogni caso un 14º posto finale che tutto sommato non è male.
Who See – Igranka (Montenegro, 2013)
Per l’edizione 2013 il Montenegro arriva all’Eurovision direttamente dallo spazio con il duo rap dei Who See che atterrano sul palco della competizione vestiti come due astronauti ad interpretare Igranka; come nulla fosse i due sciorinando le loro rime balcaniche nella mute d’ordinanza e senza particolare piglio umoristico. Ad aiutarli sopraggiunge la compaesana Nina Žižić che quantomeno distoglie per qualche secondo l’attenzione del pubblico da questa pagliacciata che si fermò alle semifinali.
Michalis Rakintzis – S.A.G.A.P.O. (Grecia, 2002)
Perché dei tizi in futuristiche tenute antisommossa dovrebbero battere i piedi su un palco inondato di ghiaccio secco cantando di password? Noi non lo sappiamo, ma per certo tale trovata non portò molta fortuna a Michalis Rakintzis, nota rockstar greca, che per rivitalizzare la propria carriera all’Eurofestival del 2002 decide di giocare a fare il cugino sfigato di Gary Numan che imita i Depeche Mode arrivando mestamente solo 17º con la sua S.A.G.A.P.O..
Scooch – Flying the Flag (for You) (Gran Bretagna, 2007)
Davvero memorabile la partipazione della Gran Bretagna all’Eurofestival del 2007 con gli Scooch, dimenticabile e dimenticato infimo quartetto di bubblegum dance che viene riesumato per l’occasione e si presenta sul palco di tutto punto vestito con scintillanti abiti in poliestere che richiamano, non a caso, i colori della Union Jack. Purtroppo arriveranno solo al 22º posto, non tanto per la canzoncina particolarmente insignificante (speziata con palesi richiami sessuali se la si ascolta con il cervello acceso), piuttosto per il penoso happening a tema aeroportuale che viene inscenato sul palco sulle note di Flying the Flag (for You). Dio salvi pure la regina, ma non gli Scooch.
Valentina Monetta – The Social Network Song (Oh Oh – Uh – Oh Oh) (San Marino, 2012)
Nonostante non sia arrivata alla finalissima The Social Network Song (Oh Oh – Uh – Oh Oh) fu il miglior piazzamento di San Marino all’Eurofestival. Valentina Monetta decide d’ironizzare sui social network portandosi sul palco dell Eurovision 2012 un paio di cheerleader, un pilota d’aereo e un dottore. Il vero capolavoro potrebbe essere quel ritornello «Oh Oh – Uh – Oh Oh», invece no: sono i mirabili passi di danza da ferma davanti ad un computer mentre canta «You’re logging in».
Jedward – Waterline (Irlanda, 2012)
I Jedward, i nostri “amati” terribili gemellini irlandesi partoriti a suon di stecche da X-Factor britannico, sbarcano finalmente all’Eurovision nel 2012 dove il loro dimenticabilissimo pop kitsch e rumoroso è di casa. Non bastavano però le loro pettinature discutibili e le loro mossette per ragazzine sceme per farceli ricordare, ecco quindi che per intonare la loro Waterline arrivano senza alcun motivo vestiti di tutto punto come cavalieri spaziali in ridicole tutine metallizzate. Il climax della loro esibizione arriva però alla fine con tanto di doccia in diretta TV che però non li fece andare oltre un triste 19º posto.
Jacques Houdek – My Friend (Croazia, 2017)
Jacques Houdek, nonostante il suo poco memorabile 13º posto all’Eurovision del 2017, può contare il primato di essere stato l’unico concorrente ad aver duettato con se stesso. La bipolarità del personaggio, un po’ Luciano Pavarotti un po’ Freddie Mercury, la capiamo subito vedendo il bizzarro vestitino per metà abito da cerimonia e per metà giubbotto di pelle. Alla luce di questo quel My Friend suona ancora piu sinistro. Probabilmente c’erano altri modi per incarnare le due anime del cantante croato extra large che invece preferisce buttare tutto sulla carnevalata, tra un poderoso do di petto e un falsetto perfora timpani.
Donatan & Cleo – My Słowianie – We Are Slavic (Polonia, 2014)
My Słowianie – We Are Slavic è nulla più che la solita canzoncina tutta da ballare con influenze folk tipica dell’Eurofestival: questo devono avere evidentemente pensato il produttore Donatan e la cantante Cleo che, alla ricerca di qualcosa che attirasse l’attenzione del pubblico ma non fosse banale e scontato, non han trovato di meglio che richiamare le tradizioni bucoliche locali durante l’esibizione. Così, ecco arrivare direttamente dai set di Brazzers due innocenti contadinelle che, nel delirio del pubblico (maschile) e per piacere della telecamera, mostrano una scollatura fin troppo generosa, e mentre una gioca a lavare i panni chinandosi spericolatamente in avanti, l’altra prepara il burro con la stessa lussuria con cui masturberebbe un giamaicano superdotato. Un nono posto che però è valso un’impennata di prenotazioni di turisti uomini dall’intero continente, tutti contenti di scoprire le tradizioni del territorio polacco.
InCulto – Eastern European Funk (Lituania, 2010)
Un po’ Neri Per Caso un po’ I Ragazzi Italiani, questi InCulto ci regalano un pop-funk lituano, o meglio un Easter European Funk, gradevole per gli standard della competizione. Tutto molto carino e loro sono anche bravini, almeno finché non si ricordano di essere all’Eurovision. Così, come alla festa di carnevale in parrocchia, dove a dispetto di maschere e coriandoli arriva sempre una catechista che ricorda a tutti che «siccome siamo in Chiesa, adesso ci prendiamo per mano e preghiamo insieme», voilà, via i pantaloni e restiamo tutti in boxer! Boxer ovviamente di paillettes, altrimenti che Eurovison sarebbe? Questa trovata purtroppo non bastò per farli arrivare in finale.
Rambo Amadeus – Euro Neuro (Montenegro, 2012)
La critica sociale all’Eurovision non è di casa, quindi il cantante montenegrino Antonije Pušić meglio noto con il nome di battaglia di Rambo Amadeus («musicista, poeta e manipolatore dei media» come si autodefinisce), decide d’imbrattare il messaggio della sua Euro Neuro con una sana dose di ironia. Così dopo un’introduzione mistica degna dei migliori Spinal Tap parte l’improbabile rap balcanico Euro Neuro incomprensibile solo per gli inglesi con rime dal calibro di «Euro neuro, I got no ambition / for high position in competition with air condition / different mission, different school / I got only one rule, always stay cool / Like a swimming pool». Il pubblico non capì, così il brano non arrivò neppure in finale. Un vero peccato, perché questa è una delle cose più belle mai viste ed ascoltate in eurovisione.
Cezar – It’s My Life (Romania, 2013)
Nei tre minuti a sua disposizione, il divino Cezar (noto anche come Cezar The Voice o per gli amici Florin Cezar Ouatu) si concede all’immensa platea dell’Eurovision sulle note della profetica It’s My Life e lui, da rinomato pianista e contraltista, plana sul palco a metà strada tra l’opera lirica e la pubblicità di qualche bolide statunitense. Vestito come la Regina della Notte de Il flauto magico, si destreggia tra drappi e gorgheggi impossibili, dando fiato alle sue note in una esibizione di drammatica plasticità con tanto di levitazione finale che non riesce però a portare la Romania oltre un mediocre 13º posto.
Farid Mammadov – Hold Me (Azerbaijan, 2013)
Nel 2013 il ridente Azerbaijan sfiora la vittoria con il suo pupillo Farid Mammadov, non tanto per la ballatona Hold Me, piuttosto dimenticabile, ma per l’incredibile prova del suo uomo-ombra, vero showman che ruba letteralmente la scena al protagonista esibendosi in una scatola di plexiglass mimando perfettamente le movenze del cantante.
Slavko Kalezić – Space (Montenegro, 2017)
Il montenegrino Slavko Kalezić si presenta all’edizione 2017 con una canzone dal titolo emblematico Space e una esibizione entrata immediatamente nella storia, essendo una tra le più commentate di sempre. Il nostro padroneggia la scena con un look che ricorda molto Conchita Wurst (e non è esattamente un complimento), finché anche lui non si ricorda di essere all’Eurovision e quindi non può che levarsi i pantaloni (pardon, la veste) e rimanere in mutande almeno fino a quando non decide di rilevarsi per quello che è: una guerriera Sailor che rotea la sua treccia per sconfiggere il nemico con la sua terribile elica magica! Peccato che non fu capita e non arrivò in finale.
Krassimir Avramov – Illusion (Bulgaria, 2009)
L’esibizione di Illusion del bulgaro Krassimir Avramov è la quintessenza dell’Eurovision dei giorni nostri: cantante dal falsaetto assassino vestito con un bizzarro costume medievale, danzatrici in svolazzanti tutine da supereroi della discomusic e trampolieri che passeggiano sul palco. Probabilmente non capendo bene cosa stava succedendo, il brano non venne premiato fermandosi alle semifinali.
Zdob și Zdub – So Lucky (Moldavia, 2011)
I Zdob și Zdub sono delle leggende del rock moldavo e post sovietico tutto, una sorta di Mano Negra più punk, gente che ha aperto concerti per Rage Against The Machine, Biohazard, Rollins Band e Red Hot Chili Peppers ma con più senso dell’umorismo. Dopo una gloriosa partecipazione all’Eurofestival nel 2005 arrivando sesti, per qualche ragione decidono di riprovarci e nel 2011 tornano a calcare il palco più colorato della musica europea, questa volta muniti di bizzarri cappelli appuntiti (a detta loro un costume nazionale) e con una fatina alata che scorrazza allegra sul palco su un monociclo sulle note di So Lucky.
Elnur & Samir – Day After Day (Azerbaijan, 2008)
I duetti all’Eurovision raccolgono sempre poca fortuna, nonostante questo l’Azerbaijan nel 2008 ci prova con i suoi Elnur & Samir che in un colpo solo ridefiniscono il concetto di kitsch rievocando lo scontro tra bene e male a suon di falsetti molesti, acuti al limite dell’impossibile e pronuncia inglese così così. Sul palco dell’Eurofestival va quindi in scena una vera e propria mini rock-opera dal titolo di Day After Day dove alla fine trionfano il bene e le pettinature discutibili per un discreto 8º posto.
Twin Twin – Moustache (Francia, 2014)
C’e davvero qualcosa di poetico nell’edizione dell’Eurovision del 2014, dove a trionfare fu una drag queen barbuta, mentre all’ultimo posto finirono i francesi Twin Twin con una canzone sui baffi. Se Moustache è in effetti dimenticabilissiuma, tanto che per la prima volta nella storia la Francia si piazzerà a fondo classifica, assai meno è lo spettacolino messo insieme dall’improbabile trio, a partire dalla ridicola pettinatura diagonale anti-gravità del cantante fino al sosia di Weird “Al” Yankovic al basso che zompa su e giù come una scimmia sotto anfetamina.
Pirates of the Sea – Wolves of the Sea (Lettonia, 2008)
All’Eurovision del 2008 ritroviamo il nostro Roberto Meloni che, fallito il progetto dei già citati Bonaparti.lv, ci riprova questa volta nelle vesti di un terribile pirata, gareggiando, ovviemente, sempre per la Lettonia. Fallito il tentativo del bel canto italiano del tempo che fu decide di buttare tutto in carnvalata, così il novello pirata di Ozieri raduna una ciurma di disperati e piacenti ragazze tettute pescate in qualche strip club di Riga. Wolves of the Sea si risolve in balletti improbabili per l’ennesima perla di bubblegum dance fuori tempo massimo, raccattando un dimenticabilissimo 12º posto. Occhio al petto villoso e al corocefissazzo d’oro d’ordinanza.
Rodolfo Chikilicuatre – Baila el Chiki Chiki (Spagna, 2008)
Nonostante sia arrivato solo 16º il vero protagonista del’Eurovision 2008 fu il tormentone Baila el chiki chiki interpretato da Rodolfo Chikilicuatre, personaggio inventato dal comico spagnolo David Fernández Ortiz. Tutto nacque da uno sketch televisivo dove su una base reggaeton Rodolfo Chikilicuatre prendeva in giro i politici spagnoli. Vista la popolarità della cosa in patria si pensò di esportare la musichetta appiccicosa in tutta Europa. Sul palco dell’Eurovision possiamo quindi ammirare in tutto il loro splendore gli indimenticabili passi di danza: il «brikidance» (la breakdance), il «crusaito» (il passo incrociato), il «Maiquelyason» (la pronuncia spagnola di Michael Jackson) e il «Robocop».
Verka Serduchka – Dancing Lasha Tumbai (Ucraina, 2007)
Quale migliore occasione per cercare di esportare all’estero le bellezze naturali ucraine se non sfruttando l’Eurovision? Voilà, Verka Serduchka, personaggio inventato dal comico e musicista Andriy Danylko, sbarca in Finlandia per la finalissima del 2007 con il tormentone Dancing Lasha Tumbai, vera vincitrice morale dell’Eurovision di quell’anno, accompagnandolo con un’espibizione grottesca a partire degli improbabilissimi abiti argentati, proseguendo con l’enorme stella sulla testa, delle assude tettone finte e gli energici passi di danza.
Conchita Wurst – Rise Like a Phoenix (Austria, 2014)
La drag queen austriaca Conchita Wurst vinse probabilmente con merito l’Eurovision del 2014 diventando immediatamente una star internazionale non solo del mondo LGBT, ma ciò non toglie che cantare la sua Rise Like a Phoenix in un lungo abito scintillante, con vaporosi boccoli scuri, occhi da cerbiatta e una barba curatissima non può non meritare una doverosa menzione in questa classifica.
Guildo Horn – Guildo Hat Euch Lieb! (Germania, 1998)
Esuberante esponente del genere schlager, Guildo Horn arriva all’Eurovision con una canzone autoreferenziale nel titolo Guildo hat euch lieb! (Guildo ti ama) e che prende per il culo proprio quel genere musicale che tutti associano alla musica popolare tedesca. Da vero performer di razza riesce a infiammare la platea piazzandosi al 7º posto. In effetti, Guildo è avanti sui tempi (il carrozzone rutilante tipo stadio sarà la tara dell’Eurofestival a breve, ma non lo è nel 1998) e con l’età, dato che quella media dei partecipanti è sempre stata bassina e lui non è certo uno di primo pelo. In effetti il dramma è nel complesso: la chioma pelata sopra e fluente dietro, l’abito rubato ai Cugini di Campagna, le movenze un po’ alla Ronnie James Dio, un po’ alla Lorenz, con tanto di arrampicata finale degna dell’Eddie Vedder dei tempi d’oro, fino al momento clou rappresentato da un assolo di campanacci!
Gipsy.cz – Aven Romale (Repubblica Ceca, 2009)
Non risucire a raccattare nemmeno uno straccio di voto è un’impresa davvero ardua, ma a vincere la sfida ci riuscì la band ceca dei Gipsy.cz nel 2009 con la loro Aven Romale, bislacca canzone sugli zingari cantata in lingua rom. Nonostante sappia di già sentito e risentito, nonostante il cantante vestito come un improbabile supereroe uscito da qualche film turco degli anni ’70, nonostante le sue mossette imbarazzanti, quello zero in pagella ci pare davvero troppo severo, quantomeno per il coraggio.
Lordi – Hard Rock Hallelujah (Finlandia, 2006)
Tra tanti mostri, non potevano non vincere quelli veri: i Lordi, assoluti trionfatori dell’edizione 2006, capaci di portare a casa la prima vittoria della storia per la Finlandia e un mare di polemiche in patria, tra chi lamentava che il genere non era rappresentativo della nazione e chi faceva notare che neppure i componenti del gruppo erano molto rappresentativi rispetto ai tratti somatici finlandesi. In realtà, mostri tra i mostri, i Lordi riescono anche a convincere con Hard Rock Halleluja, un brano heavy metal piuttosto scontato, ma di certo di facile presa che li consacra sulla vetta del podio (per la cronaca, nel 2006 il nostro Sanremo fu vinto dal piccione di Povia, quindi siamo in linea tutto sommato).
Dschinghis Khan – Dschinghis Khan (Germania Ovest, 1979)
La Germania Ovest partecipa all’Eurovision del 1979 con l’ensemble dei Dschinghis Khan (la grafia teutonica di Gengis Khan), un gruppo vocale chiamato come il famoso condottiero mongolo dove solo due dei sei componenti erano effettivamente tedeschi (gli altri sono, come in una barzelletta, un olandese, due ungheresi e un sudafricano). In una competizione all’epoca ancora legata a un immaginario serioso, piombano questi pazzi vestiti come i protagonisti del film di Flash Gordon (che uscirà solo l’anno dopo) guidati dalle instancabili piroette del frontman-ballerino Louis Hendrik Potgieter, che interpretava la caricatura di Gengis Khan (anche se sembrava più un incrocio tra Sandokan e Jafar di Aladdin). In un periodo di disco-follie la loro canzone omonima conquista un mirabolante 4º posto e grande notorietà anche col singolo successivo a sfondo sovetico Moskau, ma soprattutto tracceranno la nuova linea estetica dell’Eurovision che verrà.
Buranovskie Babuški – Party for Everybody (Russia, 2012)
Le Buranovskie Babuški (in russo: Бурановские бабушки, cioè “le nonnine di Buranovo”) sono un gruppo musicale russo (formatosi nel 2010 a Buranovo, un piccolo centro dell’Udmurtia, repubblica russa a ovest degli Urali) che ha rischiato di sbancare l’Eurovision del 2012, fermandosi (purtroppo) al secondo posto. Al di là del fatto che la loro età si aggirasse tra quella di Ornella Vanoni e Patty Pravo, che potrebbero lanciarti qualcosa se le chiami “nonnine”, la formazione corale si presenta alla competizione ballando e cantando o meglio stonando per tutta l’esecuzione, ma soprattutto divertendosi come mai in vita loro, però attenti perché il ritornello di Party for Everybody vi si ficcherà in testa! Ovviamente, anche loro ad un certo punto si ricordano di essere all’Eurovision e, dato che qualcosa lo devono pur fare… tranquilli, non resteranno nude: semplicemente (si fa per dire) sfornano il pane dal forno che si sono portate direttamente sul palco e che si muove a tempo di musica!
Dustin the Turkey – Irelande douze pointe (Irlanda, 2008)
Il regolamento dell’Eurovision prevede espressamente che «nessun animale vivente è ammesso sul palco», ma questa regola è stata aggirata con una “trollata” dall’Irlanda che non avendo nessun disgraziato da mandare all’Eurovision nel 2008 ha deciso di partecipare con Dustin the Turkey, un pupazzo dalle sembianze di un tacchino, già in circolazione nella loro TV nazionale da almeno 20 anni e che arriva (con poca fortuna in verità) all’Eurovision suscitando molte polemiche per il testo, che velatamente denunciava il presunto block-vote dei paesi dell’Est. Irelande douze pointe è solo fastidiosa e non arriverà neppure in finale, ma, come detto, quel che conta non è in effetti il brano quanto piuttosto la coreografia, che qui spariglia per i colori e i ballerini che, ovviamente, assumono le movenze del più celebre pennuto alla voce. Il ruttino finale è solo da antologia.