Le prove a favore della tesi che il Pavarotti & Friends fosse in realtà un evento creato con lo scopo ultimo di distruggere delle canzoni, sono quasi schiaccianti.
In effetti molti dei brani proposti, seppur molto popolari all’epoca, non possono considerarsi propriamente di alto livello artistico, inoltre lo stile classico del celeberrimo tenore ha fatto solamente le veci di un colpo di grazia alla nuca dell’ascoltatore. Certo vi furono anche canyoni di gran calibro, ma il risultato del loro incontro/scontro con la lirica è stato, forse, maggiormente distruttivo.
Indubbiamente il Pavarotti & Friends fu un evento di grande successo voluto e creato da Luciano Pavarotti stesso per sostenere cause umanitarie (e fin qui nulla di male, anzi) e consisteva nel duettare con artisti o gruppi rock e pop della scena planetaria quasi sempre sulle note dei loro successi del momento. Un vero e proprio duello fatto di Do di petto e ritornelli appiccicosi, un vero e proprio scempio andato avanti per circa dieci anni (del 1992 al 2003) lasciando tanto materiale da poterne fare una classifica di gran livello (per buona pace dei tanti brani rimasti fuori).
Pavarotti & Ligabue – Certe notti (1996)
Correva l’anno 1996, la canzone-tormentone la conosciamo tutti: Certe notti. La prima parte è affidata ad un Ligabue particolarmente gasato. Voce graffiante e tutto come sempre, tranne per l’orchestra che annuncia il ritornello con un inutile passaggio di fiati che spianano la strada al tenore come una mietitrebbia in un campo di frumento.
Indimenticabili, nel primo ritornello, il «ci vediamo da Mario» eseguito col tono di chi fa un brindisi e il «certe notti qui» ripetuto più volte nel secondo e l’acuto finale. Applausi e un altro giro di lambrusco per tutti.
Pavarotti & Queen – Too Much Love Will Kill You (2003)
Su Too Much Love Will Kill You la questione inizia a farsi seria. Big Luciano subentra a Brian May (l’altro componente dei Queen presente al gala è Roger Taylor) sin dalla seconda parte della prima strofa e lo fa reinterpretando il testo in italiano. Questa è una caratteristica fondamentale che ancora non avevamo incontrato nel nostro cammino verso la prima posizione. Successivamente canta (sempre in italiano) anche il secondo ritornello: «Troppo amor ti uccide ma nessun amore no, ma la forza che tu hai dentro ti farà gridare ancor, di dolore impazzirai, sei la vittima e lo sai…». Mi auguro che i mitologici Brian e Roger ne fossero all’oscuro.
In conclusione, l’unico verso eseguito dal cantante lirico in inglese recita testualmente «tu mac lov uill chill’ iu» pronunciato come se stesse ordinando un piatto di tortellini alla trattoria da Gianni. Sfacciato.
Pavarotti & Spice Girls – Viva Forever (1998)
Questa magica visione sarebbe minimo da top 5 solo per l’impatto visivo: Luciano Pavarotti che per qualche minuto rimpiazza Geri Halliwell nelle Spice Girls. Questa volta l’intervento invece che essere sostitutivo è aggiuntivo; precisamente durante il ritornello, al quale il tenore aggiunge piccoli versi inscenando un botta e risposta con le quattro inglesine in un assurdo italo-inglese: «Viva forever T’aspetterò, I’ll be wating io ci sarò, everlasting se questo mare, like the sun può liberare, live forever sarà così, for the moment sì…, e con te volerò». Da notare quel «sì…» che lascia in sospeso. Inesplicabile.
Pavarotti & Patty Pravo – Pazza idea (2001)
A rendere agghiacciante questa versione di Pazza idea è il tema della canzone, rivolto chiaramente ad un uomo e quindi un duetto maschio e femmina pare davvero fuori posto e assai rischioso: l’errore potrebbe essere in agguato, i maliziosi stanno alla finestra.
Lucianone esordisce subito prima del ritornello: «Io stasera assieme a un’altra…» e super brillantemente la prova non facendo gaffe, ma anestetizza l’atmosfera di un brano già di per sé eseguito in maniera rallentata. Tocca ancora a Patty Pravo e poi di nuovo al tenore: «pazza idea io che sorrido a…» ed in una frazione di secondo nella mente dello spettatore si materializza nuovamente il dubbio: ma dirà «lui» o dirà «lei»? Purtroppo l’equivoco si risolve con la risposta che nessuno di noi avrebbe voluto sentire: «lei». Se avesse utilizzato il pronome al maschile sarebbe finita probabilmente fra le prime 3.
Il brano è particolarmente soporifero, ma vale la pena di resistere anche per gustarsi un paio di acuti dell’ex ragazza di via Tagliamento ed il rocambolesco finale. Occasione sprecata.
Pavarotti & Piero Pelù – I’ te vurria vasà (1996)
La combo: canzone napoletana + Piero Pelù + Luciano Pavarotti è già sulla carta stupefacente, se poi ci mettiamo una performance nel suo complesso di livello galattico siamo di fronte a qualcosa da tramandare ai posteri. Abbigliamento di Piero Pelù da far rimpiangere il peggior Axl Rose: giacca bianca ricamata in stile simil brigante messicano tipo Lo chiamavano Trinità…, camicia rossa sbottonata sino all’ombelico, jeans ritagliati probabilmente dietro le quinte tipo prima media e stivaletti da rocker alternativo. Praticamente un incrocio fra un cangaceiro scemo (il brigante brasiliano che lottava per la terra) ed un teenager di provincia che pensa di essere punk solo perché ha i pantaloni strappati.
Questa volta le parti s’invertono; è il già citato Piero che interpreta il ruolo del distruttore del brano. Inizia proprio lui: «Ah che bell’aria fresca, ch’addore e malvarosa» e via dicendo. “Stranamente” il rocker toscano non sembra a suo agio ad interpretare questo classico della canzone melodica napoletana, sbiascicando come se fosse ubriaco. Luciano Pavarotti al contrario supera brillantemente la “prova ritornello” essendo questo il suo terreno e tiene in piedi la baracca fino al seguente intervento del bandido cangaceiro che, con una serie di pseudo-virtuosismi gutturali, assesta un paio di colpi mortali.
Il nontro eroe dall’«eah» sempre in canna completa il lavoro ballando sulle ceneri del classico napoletano, con l’esecuzione deflagrante del ritornello di chiusura. Non vi basta? Alle chitarre il mitico trio Paco De Lucia, Al Di Meola e John McLaughlin, riunito per la mesta occasione. E che occasione. Da brividi (freddi).
Pavarotti & Skunk Anansie – You Follow Me Down (2000)
Faccio fatica a mantenere una calma accettabile di fronte alla reinterpretazione di You Follow Me Down. Il brano inizia delizioso… Ti dà l’impressione di essere in paradiso. Skin è una dea; una presenza maestosa, una voce aliena. Tutto bene, anzi, sempre meglio! In un crescendo di emozioni che giungono fino alla soglia dell’idillio. Vengono i brividi in preda ad una specie d’orgasmo cerebrale, quando alla chiusura del primo ritornello, all’improvviso… «Nell’anima c’è una speranza che non muore mai, se la vorrai, dovrai cercare il sole dentro te ed usarne la luce per scoprire che sei […e qui non riesco a capire] tu, non scordarlo mai più, sei grande lo sai, se fiera sarai, tu lo capirai».
Quasi come come colpiti da un secchio d’acqua congelata, all’improvviso, durante un amplesso amoroso, con l’entrata di Luciano Pavarotti ci si trova costretti a vivere, anche se di riflesso, una situazione totalmente spiazzante e grottesca. Il celebre distruttore del rock interviene anche nei versi successivi, sempre sulla stessa parte, duettando anche con Skin, fino all’immancabile acutone finale, durante il quale una mente labile potrebbe prendere una fatale decisione.
Pavarotti & Simon Le Bon – Ordinary World (1995)
Ordinary World che aveva dato nuovo spolvero ai Duran Duran viene eseguita con il solo cantante Simon Le Bon in modo indimenticabile. I due artisti duettano, con Simon Le Bon al controcanto, dalla strofa successiva al primo ritornello. Il risultato è devastante: «Per caso o per rabbia mi ripetevi tu, la superbia brucia il cuor. Eppur sai che ‘sta superbia è morta e non c’è più, vedi mi hai lasciato vuoto e solo…». Si nota giusto qualche forzatura… E dopo un altro verso, finalmente l’esplosione: «Ma perché piangere per te, c’è un mondo umile che da solo troverò. E cercherò di ritrovar questo mondo umile so che sopravvivrò». Il paroliere in questo caso è riuscito nel prodigio di peggiorare ulteriormente un testo già aberrante.
Il brano prosegue ed il tenore è così gasato che accenna qualche movimento abbastanza vistoso e si lancia quindi in un finale che non posso non consigliare. Devastante.
A questo punto mi rendo conto che potremmo essere rimasti in pochi. Qualcuno potrebbe aver già deciso di averla fatta finita e gli altri potrebbero aver abbandonato la lettura assaliti dal disgusto. Ma per i più temerari ora arriva il bello. Tenetevi forte.
Pavarotti & Jovanotti – Serenata rap/Mattinata (1995)
Ancora l’edizione del 1995 ci offre una perla d’inestimabile valore: la collaborazione con Lorenzo Cherubini, un ragazzo fortunato, che ha fatto della retorica spicciola il suo successo.
L’arrangiamento orchestrale di Serenata rap è improponibile, ma in qualche modo Jovanotti quindi inizia a rappare: «Se t’incontro per strada non riesco a guardarti…» e via dicendo. Man mano che il brano prosegue tutto il mondo inizia a chiedersi come mai potrà inserirsi un’istituzione del canto lirico in una canzone rap. La risposta è immediata, sostituendo il ritornello di Serenata rap con Mattinata: «L’aurora di bianco vestita, già l’uscio dischiude al gran sol». Avrebbero potuto chiamarla Mattinata rap. Peccato.
Insomma il salto di qualità avviene quando anche Jovanotti inizia a cantare i versi della celebre romanza e c’è mancato poco che Luciano Pavarotti iniziasse a rappare, accennando un timido «serenata rap» finale, trasformandosi nello zio bianco dei Fat Boys. Senta pudore.
Pavarotti & Lou Reed – Perfect Day (2002)
La versione di Perfect Day staccare di netto l’agguerrita concorrenza: il contrasto fra lo splendore del brano di Lou Reed e la sua importanza nella storia della musica moderna con l’invadenza (musicale) di Luciano Pavarotti che non si ferma davanti a niente e nessuno; e poi il fatto che quest’ultimo vada in un ritardo clamoroso rispetto alla base e la tovaglia da tavola che porta al collo durante l’esibizione sono solo valori aggiunti.
Il pezzo è eseguito in (presunta) lingua originale e nonostante ciò ne esce massacrato: “Oh it sach a perfect dei, aim gled a spend it uit iuuu…..iu giast kip mi enghing on”.
Roba da chiedere perdono al Dio Onnipotente solo per averlo ascoltato. Insomma un vilipendio.
Pavarotti & Aqua – Funiculì funiculà (2000)
Dopo questa lunga carrellata come perfetto colpo di grazia non potevamo esimerci dal citare il più funesto duetto di sempre, talmente improbabile e inascoltabile da essere stat rimosso dalla memoria collettiva, o quasi.
Immaginate Big Luciano con l’orchesta, un coro di bambini tibetani e cambogiani, e due cantanti danesi di musica dance che cercano d’intonare una celebre canzone napoletana leggendo il testo come fosse il menu di un ristorante coreano, tutto questo con il pubblico in delirio. L’apocalisse. Il baratro. La fine di ogni pudicizia. Qui signori miei ci sono gli estremi dell’arresto quanto meno per atti osceni in luogo pubblico, se non per vilipendio del cadavere, ma incredibilmente le forze dell’ordine non mossero un dito. Da condividere con il vostro peggior nemico.
Peccato che Lucianone nazionale sia venuto a mancare altrimenti avremmo potuto proporre noi una serie di duetti da urlo: Pavarotti & Justin Beiber Boyfriend, Pavarotti & Metallica feat. Marco Masini Nothing Else Matters/E chi se ne frega, Pavarotti & Lady Gaga feat. Wilma De Angelis Bad Romance/Dimmi Di Si, Pavarotti & Foo Fighters Everlong, Pavarotti & Povia I Bambini fanno Oh…, oppure Pavarotti & Conchita Wurst Rise Like a Phoenix.