Continua la nostra esplorazione nel dimenticato sotto-mondo dei “discomovie” italiani, una serie di pellicole uscite nel giro di pochissimi mesi e realizzate a tempi di record con mezzi e budget limitatissimi per cavalcare la moda della musica del momento e gli stilemi che aveva diffuso in Italia un film-simbolo come La febbre del Sabato sera nel 1977; altrettanto palese in queste opere realizzate dopo il 1978 anche una certa influenza di Grease, altro enorme successo sempre con John Travolta uscito quello stesso anno che, guarda caso, nella versione italiana aveva il titolo di Grease – Brillantina.
Il risultato di questa “febbre” creò in Italia una moda che divenne sempre più confusionaria e ibrida: un misto superficiale ed estetizzante tra revival rock’n’roll anni ’50 e cultura disco (visibile perfettamente anche nell’altro “discotecarello-rockettaro” Rock & Roll) ignorando bellamente di come ci fosse una distinzione agguerrita e manichea tra i rockettari e gli appassionati di discomusic, accusata di essere monotona, senza originalità e puramente commerciale (come dimenticare lo slogan Disco sucks! lanciato nel 1979 dal DJ Steve Dahl incazzato perché le canzoni dei suoi amati Led Zeppelin e Rolling Stones non venivano più suonate alla radio preferendo i successi di Donna Summer, Chic e Village People).
Veniamo così al regista Michele Massimo Tarantini che, dopo diverse commedie sexy e alcuni poliziotteschi, sul finire degli anni ’70 cercò di rimanere nel giro continuando ad appigliarsi disperatamente alle mode del momento, prima con un tardo lacrima-movie tragico e tristissimo (Stringimi forte papà, 1978) e poi con Brillantina rock tentando di cogliere gli ultimi fuochi della moda disco poco prima che da lì a qualche mese svanisse come un brutto sogno.
In questo Brillantina rock il nostro protagonista è Monty Ray Garrison (la cafoninissima incarnazione del “travoltismo” come da topos del genere), giovane ballerino dalla faccia simpatica prestato al cinema e mai più rivistosi, che, nonostante la recitazione agghiacciante, riesce ad instillare una certa simpatia ingenua per cui verrebbe quasi voglia di tifare per lui; probabilmente per merito del doppiaggio di Ferruccio Amendola, per quanto comunque faccia strano immaginarsi un teenager borgataro chiamato Robby con la voce di Sylvester Stallone.
Lo stereotipo del personaggio è quello solito del genere: impulsivo, squattrinato e disoccupato, ma con palate di brillantina Linetti sui capelli. Gli unici interessi sono la sua motocicletta (uno scassato sidecar di produzione sovietica), le belle ragazze e la discoteca, vera e propria seconda casa.
Per l’immancabile quota comica del film vengono ripresi persino i leitmotiv del cinema muto, vedi la scena al ristorante di lusso con Robby che non riesce a usare correttamente le posate facendo volare il cibo ovunque. L’unica nota degna di menzione della pellicola è la presenza per un paio di minuti di Jimmy il fenomeno.
Nonostante la piattezza della messa in scena si tenta anche di creare, come di norma, una sottotrama drammatica (l’incidente in moto di Oscar, miglior amico di Robby, che sembra ripreso pari pari da Disco delirio) senza contare almeno un paio di siparietti demenzialmente memorabili, tra queste il ridicolissimo combattimento a metà pellicola degno del peggior film d’azione turco, che vede Robby e il suo amico Oscar trovarsi in mezzo ad una rissa con alcuni sanbabilini, o l’incredibile inseguimento con scazzottata finale col capo dei bulletti che sembra uscita da un incrocio tra un poliziottesco all’italiana e un kung fu movie cinese, il tutto accompagnato ovviamente da un sottofondo a base di discomusic cantato in falsetto (l’onnipresente tema del film, Honey for Bears di Daniel Danieli, fallimentare wannabe-teen idol del momento).
Per assurdo in un film che dovrebbe basarsi principalmente su balli e discoteche la musica non è così presente (uno svantaggio non da poco), limitandosi a ripetere cocciutamente il tema principale. Occasionalmente troviamo anche qualche hit del momento (l’insopportabile Love Is In The Air su tutte) e anonimi sottofondi simil-rock’n’roll mai pubblicati in una vera e propria colonna sonora. Giusto per non farsi mancare niente ecco che compare anche l’impedibile ballatona disco-zuccherosa Nel cielo in fondo a destra degli Equipage (musica scritta da Gianfranco Reverberi, autore anche di Honey for Bears) pura melensaggine con tanto di acuti e falsetti in stile Bee Gees.
Da come si può intuire ci sono svariati elementi in comune con le opere precedenti dello stesso sottogenere, sono film che non solo copiavano spudoratamente Saturday Night Fever ma si plagiavano spesso anche tra loro (vedere i numerosi punti in comune col già citato Disco delirio o con John Travolto… da un insolito destino). Possiamo così tracciare una sociologia di un fenomeno incisivo e ben preciso come quello dei “discotecarelli” (se così vorremo chiamarli) o meglio discoploitation, che promulgavano uno stile di vita che doveva essere un anestetico per gli anni di piombo e l’alienazione del maschio medio-piccolo borghese che vedeva i propri valori messi in gioco da una decina d’anni circa a questa parte. Per quanto fallimentare, anche Brillantina rock nel suo piccolo dimostra la voglia di quel periodo di provare ad “andare oltre” i problemi e di vivere con la stessa sicurezza e imperturbabilità del buon Robby.