Brillantina rock 1979 film

Brillantina rock: un misto superficiale tra revival rock’n’roll anni ’50 e disco music

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Brillantina rock 1979 filmContinua la nostra esplorazione nel dimenticato sotto-mondo dei “discomovie” italiani, una serie di pellicole uscite nel giro di pochissimi mesi e realizzate a tempi di record con mezzi e budget  limitatissimi per cavalcare la moda della musica del momento e gli stilemi che aveva diffuso in Italia un film-simbolo come La febbre del Sabato sera nel 1977; altrettanto palese in queste opere realizzate dopo il 1978 anche una certa influenza di Grease, altro enorme successo sempre con John Travolta uscito quello stesso anno che, guarda caso, nella versione italiana aveva il titolo di Grease – Brillantina.

Il risultato di questa “febbre” creò in Italia una moda che divenne sempre più confusionaria e ibrida: un misto superficiale ed estetizzante tra revival rock’n’roll anni ’50 e cultura disco (visibile perfettamente anche nell’altro “discotecarello-rockettaro” Rock & Roll) ignorando bellamente di come ci fosse una distinzione agguerrita e manichea tra i rockettari e gli appassionati di discomusic, accusata di essere monotona, senza originalità e puramente commerciale (come dimenticare lo slogan Disco sucks! lanciato nel 1979 dal DJ Steve Dahl incazzato perché le canzoni dei suoi amati Led Zeppelin e Rolling Stones non venivano più suonate alla radio preferendo i successi di Donna Summer, Chic e Village People).

Veniamo così al regista Michele Massimo Tarantini che, dopo diverse commedie sexy e alcuni poliziotteschi, sul finire degli anni ’70 cercò di rimanere nel giro continuando ad appigliarsi disperatamente alle mode del momento, prima con un tardo lacrima-movie tragico e tristissimo (Stringimi forte papà, 1978) e poi con Brillantina rock tentando di cogliere gli ultimi fuochi della moda disco poco prima che da lì a qualche mese svanisse come un brutto sogno.

In questo Brillantina rock il nostro protagonista è Monty Ray Garrison (la cafoninissima incarnazione del “travoltismo” come da topos del genere), giovane ballerino dalla faccia simpatica prestato al cinema e mai più rivistosi, che, nonostante la recitazione agghiacciante, riesce ad instillare una certa simpatia ingenua per cui verrebbe quasi voglia di tifare per lui; probabilmente per merito del doppiaggio di Ferruccio Amendola, per quanto comunque faccia strano immaginarsi un teenager borgataro chiamato Robby con la voce di Sylvester Stallone.

Lo stereotipo del personaggio è quello solito del genere: impulsivo, squattrinato e disoccupato, ma con palate di brillantina Linetti sui capelli. Gli unici interessi sono la sua motocicletta (uno scassato sidecar di produzione sovietica), le belle ragazze e la discoteca, vera e propria seconda casa.

Brillantina rock 1979 film monty ray garrisonIl film si basa su una non-trama che pare un vaghissimo intreccio mal ripreso dal canovaccio tipo del musicarello o della commediola giovanile: lui s’innamora della gallina gnoccona di turno, Cindy (Auretta Gay, quello stesso anno divorata dagli zombie di Lucio Fulci) e dopo essersi rovinato e umiliato inutilmente per lei troverà infine il vero amore nella ragazza semplice e intelligente che gli è sempre rimasta accanto.  Ovviamente il tutto è infarcito da sequenze di ballo che, purtroppo, son tutt’altro che ben fatte, al punto che le coreografie ricordano più le movenze di Tom Cruise in Risky Business che un vero corpo di ballo professionista.

Per l’immancabile quota comica del film vengono ripresi persino i leitmotiv del cinema muto, vedi la scena al ristorante di lusso con Robby che non riesce a usare correttamente le posate facendo volare il cibo ovunque. L’unica nota degna di menzione della pellicola è la presenza per un paio di minuti di Jimmy il fenomeno.

Nonostante la piattezza della messa in scena si tenta anche di creare, come di norma, una sottotrama drammatica (l’incidente in moto di Oscar, miglior amico di Robby, che sembra ripreso pari pari da Disco delirio) senza contare almeno un paio di siparietti demenzialmente memorabili, tra queste il ridicolissimo combattimento a metà pellicola degno del peggior film d’azione turco, che vede Robby e il suo amico Oscar trovarsi in mezzo ad una rissa con alcuni sanbabilini, o l’incredibile inseguimento con scazzottata finale col capo dei bulletti che sembra uscita da un incrocio tra un poliziottesco all’italiana e un kung fu movie cinese, il tutto accompagnato ovviamente da un sottofondo a base di discomusic cantato in falsetto (l’onnipresente tema del film, Honey for Bears di Daniel Danieli, fallimentare wannabe-teen idol del momento).

Per assurdo in un film che dovrebbe basarsi principalmente su balli e discoteche la musica non è così presente (uno svantaggio non da poco), limitandosi a ripetere cocciutamente il tema principale. Occasionalmente troviamo anche qualche hit del momento (l’insopportabile Love Is In The Air su tutte) e anonimi sottofondi simil-rock’n’roll mai pubblicati in una vera e propria colonna sonora. Giusto per non farsi mancare niente ecco che compare anche l’impedibile ballatona disco-zuccherosa Nel cielo in fondo a destra degli Equipage (musica scritta da Gianfranco Reverberi, autore anche di Honey for Bears) pura melensaggine con tanto di acuti e falsetti in stile Bee Gees.

Da come si può intuire ci sono svariati elementi in comune con le opere precedenti dello stesso sottogenere, sono film che non solo copiavano spudoratamente Saturday Night Fever ma si plagiavano spesso anche tra loro (vedere i numerosi punti in comune col già citato Disco delirio o con John Travolto… da un insolito destino). Possiamo così tracciare una sociologia di un fenomeno incisivo e ben preciso come quello dei “discotecarelli” (se così vorremo chiamarli) o meglio discoploitation, che promulgavano uno stile di vita che doveva essere un anestetico per gli anni di piombo e l’alienazione del maschio medio-piccolo borghese che vedeva i propri valori messi in gioco da una decina d’anni circa a questa parte. Per quanto fallimentare, anche Brillantina rock nel suo piccolo dimostra la voglia di quel periodo di provare ad “andare oltre” i problemi e di vivere con la stessa sicurezza e imperturbabilità del buon Robby.

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  1. Sorry: rileggendo non ho notato lo svarione sul nome della discoteca. Visto che qua non si possono “editare” i commenti volevo far ammenda.
    Gec Gec è da leggere, ovviamente “Gech Gech”.
    Scusate ancora per eventuali altri errori non correggibili! 🙂

  2. Grazie, Cirillo.
    Appunto “Brillantina Rock”, per quanto caciarone, mal gestito e “arronzato” (come direbbero a Tel-Aviv) ha il suo bel perchè.
    In fondo è un reale spaccato della vita di quei tempi ed è molto utile anche come “testimone del suo tempo” visto che ci fa intravedere scorci e visioni di quell’ Italia ormai del tutto sparita (Il Gec Gec, quella Milano, quei tipi di personaggi, pompati, ma innocui, il popolino che si accontenta di poco…).
    In fondo a chi interessano scenari e recitazioni alla “Beautiful”?
    Camini e luci sempre accesi quando entri in casa (anche d’estate!), facce monotone, situazioni imbarazzanti.
    Qua abbiamo invece cose che, personalmente, vedevo veramente nella vita di tutti i giorni.
    Realmente c’erano ragazzini che vivevano per entrare in discoteca il Sabato, sicuramente si litigava per la stessa donna, assolutamente la parte “povera” di essi cozzava contro quella “bene”, molto e diversamente più di ora.
    Il Garrison, se non un novello Gassmann o un buzzurro Manfredi, sarebbe sicuramente, ove aiutato negli anni futuri, potuto diventare un personaggio di spicco nel cinema come, se non meglio, di Tomas Millian.
    Ma valli a capire i meccanismi del cinema.
    Un Alvaro Vitali, per quanto eccezionale nella sua insulsaggine, ha fatto storia, lui è finito a Calcata con le sue misconosciute opere.

    Riguardo “La Grande Bellezza” vs. “La Dolce Vita”.
    Io non ho scritto a caso e, data la mia età (oltre i 50), credo di aver visto abbastanza volte il secondo (intendo in santa pace, soli io e lui, cercandone i più piccoli particolari e dettagli, come faccio per tutti i film che mi piacciono o che vorrei mi piacessero…).
    Onestamente, però, non ne vedo tutta quella grandezza. Per me è stato troppo pompato.
    Non dimentichiamoci che ai tempi la massa andava a vederlo più che altro perchè era un film “di rottura” e per le scene (che ridere quando ci penso) “Osè” (si ricorda di “Divorzio all’ Italiana” e la citazione della felliniana pellicola???).
    Ai tempi un film del genere era una vera e propria “rivoluzione sessuale”.
    Ma gli spettatori uscivano dalla sala senza una reale percezione di quel che avevano visto.
    Invece in “La Grande Bellezza”, ormai liberi da tabù sessuali (abbiam visto ormai di tutto, per carità, cosa avrebbe di pruriginoso il film che non è già stato sdoganato?), possiamo, a cuor leggero, andare più a fondo dell’ opera.
    Onestamente nel film di Sorrentino io sono riuscito proprio a percepirla quella “Grande Bellezza” che il Gambardella cercava disperatamente di scovare anche nelle piccole cose.
    Nel film notiamo che nulla è cambiato dai tempi di Fellini, se non che la gente, forse, si è ancor di più assuefatta alle meschinità e alle vergogne quotidiane, e cerca un obnubilante oblio nella caciara, nel cicaleccio, nell’esibizione più sfrenata del nulla che compone le loro vite.
    Sopra di tutte, forse, il personaggio più interessante è la Dadina: da potente e minuscola direttrice di giornale è quella che più si estrinseca dando fondo alle sue voglie sia di dimostrazione di “grandezza” (che tanto “grande” poi non è…) che di “normalità” (quanto mi è cara la sua normalissima “minestra riscaldata” che divide con il (sincero) amico Jep.
    So che i pareri restano pareri e son molto personali, ma, mi duole dirlo, Jep non è Marcello. E non regge il paragone fra i due film dove, in quello di Fellini, i personaggi son tutti molto anonimi, mentre nell’ opera di Sorrentino, molti hanno una loro vita propria (La Ferilli, Verdone, La Santa eccetera).
    Per concludere: La Grande Bellezza ha anche un ulteriore merito, a mio avviso, rispetto a La Dolce Vita: fa sorridere spesso.
    Su di tutte la scena dell’artista “creativa” quando, incalzata dal Gambardella, ammette tutta la sua vuotezza.
    “Non so cosa sono le vibrazioni!!!”.
    Che tenerezza: da dargli una carezzina sul capo ed un bacio in fronte.

    Caro Cirillo: sappiamo che lei è ben più profondo di quel che vorrebbe farci credere… la invito a rivedersi La Grande Bellezza, magari in versione integrale (ci sono un paio di scene tagliate da quella cinematografica, specialmente quella di Verdone sulla scalinata dell’ Ara Coeli, che sono assolutamente importanti per l’economia dell’opera tutta).
    Confronti meglio, se possibile, le due opere, soppesi i pro e contro (certo, anche la fotografia e le scene hanno la loro importanza) e forse (dico forse) si accorgerà che l’ opera del Fellini così grande non è.
    Ma, di sicuro, quella di Sorrentino rasenta di molto… la perfezione.

    E alla fine…

    “Finisce sempre così. Con la morte.
    Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla.
    È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore.
    Il silenzio e il sentimento, l’ emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza.
    E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile.
    Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo.
    Bla. Bla. Bla. Bla.
    Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove.
    Dunque, che questo romanzo abbia inizio.
    In fondo, è solo un trucco.
    Sì, è solo un trucco.”

  3. E a proposito di “Brillantina Rock”…

    Io posso capire l’animo critico e spernacchiante di chi, giocoforza visto lo spirito del sito, debba per forza di cose ridicolizzare un brano musicale, un libro, un film, una situazione, ma io devo dirmi contrario a questo buttar sempre tutto in vacca.
    (A cominciare dal nome del sito “Orrore a 33 giri”, quando molti brani messi sotto la lente di ingrandimento provengono da vecchi 45 giri o, parlando di recenti, al massimo da Mp3… “Orrori Musicali & C.” magari suonerebbe meglio… ma comunque…)
    Che poi molte persone sono spesso influenzate da tutta una cultura che esalta cose che esaltate non dovrebbero essere (esempio lampante è il Fellini che così bravo a far film non era: “La Grande Bellezza” di Sorrentino se lo mangia a colazione il suo elementare “La Dolce Vita”, ad esempio…), mentre, di contro, demonizza roba che finirà un giorno a far bella mostra di se negli annali della storia (vedi i film di Fenech & C. già rivalutati adesso e man mano sempre più studiati come fenomeno di costume dell’ epoca in cui vennero prodotti).

    Innanzitutto, come è stato scritto, “Brillantina Rock” è figlio di un dato fenomeno degli anni 70: la discoteca e il mondo che gli girava attorno.
    Dopo “La Febbre Del Sabato Sera” veramente tutto non è stato più lo stesso e, ovviamente, si potevano ben immaginare i cloni casarecci che sarebbero venuti.
    “Brillantina Rock” è uno di quei lavori così trash, ma così trash che finiscono per piacerti ed avere un loro perchè.
    Non dimentichiamo che per una certa “intelighenzia” anche Totò e Franco e Ciccio erano dei miseri attorucoli da quattro soldi.
    “Brillantina Rock” è bello proprio perchè un lavoro da due soldi, con gente che quasi manco sa recitare (Eppure Monty Ray è perfetto in quel che fa!) e con situazioni veramente ridicole (ma non sono forse quelle che realmente vive la gente normale tutti i giorni?).
    Girato in parte alla mitica discoteca Gech Gech (visto nella scena finale il poster del concerto li tenutosi poi dai Rockets?) e in parte fra Milano ed Hinterland il film è proprio un prodotto che più a basso costo di così si muore, ma io ricordo che quando andai al cinema a vederlo (ebbene si: io sono uno di quelli che pagò il biglietto!) il locale era stracolmo.
    La gente voleva prodotti semplici e spensierati del genere (ho visto anche “Rock and Roll”, ma non mi è piaciuto per nulla…) e si rilassava in quei minuti di trash andante con brio, magari anche cercando di rivedersi in uno dei personaggi della scrausa pellicola.
    Tra l’ altro quell’ “Honey For Bears” è stato uno dei brani più sottovalutati della storia della Disco Music. Cercandolo non si trovava da acquistare e così non si poteva passare in radio, oltre che, ovviamente, manco suonare in feste e serate danzereccie…
    Fosse stato magari spinto “Honey For Bears” sarebbe potuto essere una vera hit d’ oltreoceano, che se lo faccio sentire oggi a persone non italiane mi sento dire, visto l’entusiasmo dopo l’ascolto, “ma quando lo han prodotto questo disco che non me lo ricordo???”.
    Mitica la scena al “Crispi” (ristorante ancor oggi esistente, anche se traslocato) e perfetta la scena della brillantina di poco prima (non dimentichiamo che “Brillantina Rock” è un misto fra “La Febbre” e “Grease”…).
    Comunque a me il protagonista è piaciuto molto e mi dispiace non abbia potuto continuare cinematograicamente la carriera.
    In fondo cosa avrebbe in più un Tomas Millian che ad un Monty Gay Garrison mancava?
    Pure il doppiaggio del caro compianto Amendola li accomunava… oltre che la faccia da impuniti.

    Insomma… io ci andrei più leggero con la “critica selvaggia” e rivaluterei, fra tanti altri, la pellicola.
    Certo che fra qualche anno qualcuno ne parlerà tanto e anche con toni … più lusinghieri!

    1. Ciao Daniele, innanzitutto grazie per le preziose informazioni. anche se ad una prima lettura sia sembrato così il mio obiettivo non è affatto quello di mettere alla gogna questo film, anzi “Brillantina Rock” è un mio personale film di cult tra i “discotecarelli”, secondo solo a John Travolto, e anzi diversi film e dischi che trattiamo e che ho trattato personalmente su queste pagine sono opere a cui sono/siamo molto legati, non sempre “orrori musicali” dato che molte cose di cui abbiamo parlato sono tutt’altro che brutte ma semplicemente fuori dai canoni commerciali e dalle mode dell’epoca in cui furono prodotte (puoi vedre il nome anche come un gioco di parole col film “Morte a 33 Giri”, film culto che amiamo molto).
      Sono estremamente d’accordo con te quando dici che determinati lavori bocciati o snobbati all’epoca della loro uscita dalla critica ufficiale necessitano di essere rivalutati adeguatamente all’interno del loro periodo e del loro contesto storico, e concordo alrettanto che spesso in alcuni casi si esagera nel farlo dando meriti o qualità “ufficiali” che queste opere oggettivamente non hanno.
      Spesso questo genere di opere bistrattate e talvolta erroneamente etichettate sbrigativamente come “trash” riescono a dire dell’epoca in cui furono prodotti ugualmente se non di più di quanto facesse il cinema più impegnato e intellentuale dell’epoca proprio per la loro realizzazione “meno artistica” e più diretta ad un certo pubblico, e che prodoti di “imitazione” o “parodie” o semplice ripresa di temi possono avere da dire più dell’originale a cui si ispirano (per quanto personalmente non condivida assolutamente il tuo pensiero su “La Dolce Vita” che trovo ben più profondo e complesso del film di Sorrentino, ma è una mia visione personale). Riconosciamo che molte cose possano essere “orrori” ma sono orrori che amiamo e che spesso hanno un valore intrinseco che spesso amiamo proprio per i loro limiti per questo sarebbe superfluo criticare selvaggiamente e basta così come ignorarli. :

      1. Eccezionale! Io c’ero. Ero uno che frequentava il gech gech. Arrivavo (arrivavamo) dalla provincia. Una fotografia crudele e ad alta definizione de “periodo”. Detto da me, che ero lì..

    1. Semplice: lo sanno tutti (specie i Fans di “Brillantina Rock”…).

      Il nostro eclettico “Eroe”, anche conosciuto come “Pancho” vive da tempo a Calcata (mitico borgo poi usato anche da Barbareschi per il suo “Ardena”) e crea mosaici artistici (oltre a far altro…)

      http://www.calcata.info/itartisti.html

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