Auroro Borealo lo avevamo incontrato qualche anno fa ne Il culo di Mario, promettente duo lo-fi borderline tra il lo fi e il ci sei (volendo citare Bugo). Finita nel nulla quell’esperienza lo ritroviamo da solo ormai da qualche tempo in bilico tra l’essere fedele alla linea con canzoni scompigliate necessariamente a bassa fedeltà (Trentenni pelati o Villano) e l’urgenza incontrollabile di diventare un intrattenitore professionista costi quel che costi (anche fosse una cover di Vola mio mini pony), arrivando anche a partecipare al MI AMI festival del 2018. L’impressione era però quella che le canzoni fossero solo una scusa per ideare videoclip creativi.
In balia di questi yin e yang Auroro Borealo per il suo nuovo album Adoro Borealo sceglie una più banale via di mezzo, puntando su un disco pop-rock suonato e registrato bene, senza parolacce e nel quale invita una mandria di ospiti, amici e parenti (nel vero senso della parola) a dargli una mano. Un rovesciamento di 180º rispetto agli esordi e sulla carta non esattamente eccitante, ma per fortuna non è un tentativo di scimmiottare Ex-Otago o Thegiornalisti, ex indie ora venduti, per cercare di farsi passare alla radio (o almeno non per ora e speriamo non accada mai).



Adoro Borealo, con quella copertina che sembra una versione vempiresca di The Miracle dei Queen, è “solamente” una raccolta di generi e suoni che invece di essere decomposti e ricomposti in forma bizzarra vengono usati come planimetria per confezionare canzoncine spesso fischiettabili: una carambola d’influenze assai poco celate (anzi sul filo del plagio in qualche episodio) in cui ogni brano ha uno stile che non c’entra nulla col precedente o il successivo. La sensazione è quella di una compilation fatta pescando a caso tra la sua collezione di dischi e quella dei suoi genitori.
L’inizio roboante con Di che cosa parlano i miei testi introdotta da Carlo Pastore è uno sporco punk rock sonicamente piacevole che però alla fine non va da nessuna parte, ripetendo solo «elfi, draghi, spade, solite cose insomma». Un’occasione sprecata che però serve da contraltare per la discomusic elettronica di Atti pubblici in luogo osceno in duetto con DIVA, una narrazione accattivante del degrado del sabato sera che però ha un ritornello forzatamente lo-fi e forzatamente senza parolacce («fa schifo al cacchio» non si può sentire) che pare appiccicato sopra; in compenso il videoclip del brano è strepitoso tra citazioni del mai troppo compianto Donato Mitola, la medium degli antichi Annamaria Galanti e televendite di coltelli.
Si prosegue con la piacevole Polpette reggae, la fine di una relazione in levare in duetto con Angelica, mentre ad accendere i nostri neuroni arriva la fantastica Venezia è una città bellissima (ma non ci vivrei mai) presa di peso da quache disco a caso dei Rondò Veneziano cantata magnificamente da un Johnson Righeira in grande spolvero. Si torna a parlare di relazioni in Pomeridiana con Annie Mazzola, un funk lento e sporcaccione ma con un ritornello fin troppo pop per i miei gusti, poco male perché subito dopo arrivano i Punkreas a rinforzare il punk melodico di Avrò sbagliato qualcosa che certamente servirà per fare stage diving ai concerti (arte in cui il nostro è un fiero divulgatore).
Questi continui e repentini cambi d’umore proseguono con un delicato bossa nova cantato dalla mamma di Auroro che racconta del figlio ipocondriaco e con la successiva Urlando CTRL-C con il sempre prezioso Greg Dallavoce che per fortuna non si limita a parodiare il titolo di Urlando contro il cielo di Ligabue, ma è anche un perfetta canzoncina indie rock da custodire gelosamente, con un ritornello che rimane piacevolmente appiccicato alle orecchie; peccato solo che sia nascosta in fondo al disco.
Per le ultime tre canzoni Auroro Borealo getta completamente la maschera (e anche il microfono come vedremo) baloccandosi al gioco delle citazioni spudorate: iniziamo con il singolo di lancio Sessone, un micidiale mix quasi al limite del plagio tra Al Bano e Romina e Umberto Tozzi con un cameo del sempre ottimo Ruggero De I Timidi che fa un po’ da tappezzeria, ma va bene lo stesso.
Si prosegue spediti con Gli occhi del mio ex interpretata dalla voce calda di Ariele Frizzante, praticamente una cover di Ma quale idea di Pino D’Angiò: stessi suoni, stessa base disco-funk e stesso coro in falsetto. Magnifica. A chiudere questa scorpacciata Stay Hungry, Stay Foolish, Stay Home una spoken song jazzata narrata da un fantastico Gianfranco Manfredi, capolavoro assoluto del disco che ricorda Quelli che… e che potrebbe benissimo essere stata scritta da quel geniaccio di Enzo Jannacci se fosse ancora tra di noi. Poco Auroro ma se i risultati sono questi va benissimo così.
Adoro Borealo è un’inaspettata rinascita musicale di Auroro Borealo che lo fa uscire dalle melme del lo-fi scoreggione per farlo approdare su lidi inaspettati con quattro/cinque brani davvero memorabili se solo gli darete un’opportunità. Non male davvero per il «miglior cantante stonato del mondo» (cit.)
Tracce:
01. Di cosa parlano i mie testi (feat. Carlo Pastore)
02. Atti pubblici in luogo osceno (feat. DIVA)
03. Polpette reggae (feat. Angelica)
04. Venezia è una città bellissima (ma non ci vivrei mai) (feat. Johnson Righeira)
05. Pomeridiana (feat. Annie Mazzola)
06. Avrò sbagliato qualcosa (feat. Punkreas)
07. Mio figlio è ipocondriaco (feat. la mamma di Auroro)
08. Urlando CTRL+C (feat. Greg Dallavoce)
09. Sessone (feat. Ruggero De I Timidi)
10. Gli occhi del mio ex (feat. Ariele Frizzante)
11. Stay Hungry, Stay Foolish, Stay Home (feat. Gianfranco Manfredi)