Gli anni Ottanta sono stati forse il decennio più inconcludente nella storia della musica italiana, e non perché non si trovino oggi artisti di successo che hanno fatto il loro debutto fra il 1981 e il 1990.
Per esistere esistono, il problema è che questo decennio non è riuscito a lasciare in eredità un genere musicale caratteristico, un sound, una tendenza: gli anni sessanta sono ricordati, tra l’altro, per il beat italiano e per una fioritura di cantautori di valore mai più rivista, i settanta hanno portato il rock progressivo nostrano oltreoceano.
Gli anni Ottanta invece sono ricordati al massimo per l’italo disco, che però era già iniziata nei Settanta (D.D. Sound / La Bionda, Peter Jacques Band, Easy Going, Giorgio Moroder…), anche se a dispetto del nome non usava quasi mai l’italiano.
Del resto per l’industria discografica sono gli anni della crisi nera: a una a una le etichette chiudono i battenti, falliscono, vengono acquisite da multinazionali straniere. Non stupisce che in questo panorama chi cercava di farsi largo proponendo guizzi di originalità fu snobbato dai discografici, che comprensibilmente non se la sentivano di investire più di tanto in sperimentazioni dal dubbio esito commerciale, e dal pubblico, che in assenza di una promozione adeguata ormai acquistava, se acquistava, principalmente musica d’importazione.
Rodolfo Santandrea fu insomma una delle vittime della crisi, discografica ma in parte anche musicale (il revival come obbligo sociale nasce proprio in quegli anni), non riuscendo mai a trovare i favori del pubblico anche con i dischi successivi.
Ammettiamolo, questo Q Disc (una sorta di ibrido tra il singolo, l’LP e il mix: un 12’’ a 33 giri con 2 canzoni per lato) soffre la mancanza di una guida professionale: qualcuno che dall’alto dell’esperienza orientasse il giovane artista verso una direzione precisa.
Come ci ricorda lo stesso cantutore sul suo sito internet, voleva provare ad essere un po’ Klaus Nomi, un po’ Nina Hagen, ispirarsi a Giuni Russo, riproporre le sperimentazioni di “T.U.V.O.G.” di Ivan Cattaneo e comporre testi cantautoriali come Alberto Fortis. Un po’ tutto e un po’ niente.
I quattro brani proposti hanno appunto parecchie idee ma nessuna direzione, rinchiudendo lo spirito del giovane Santandrea in una torre d’avorio dal gusto pesantemente kitsch, intento ad autocelebrare una rapsodia dell’inutile.
Terminato l’ascolto del disco, facciamo nostra l’esclamazione di Patrizio Roversi all’epoca di Lupo Solitario, quando davanti ai videoclip inviati dalla Repubblica di Croda soleva dire: “Non capisco mai se sono avanti a noi di dieci anni, o indietro di trenta”.
Oggi Santandrea viene ricordato dai fanatici di Sanremo per un’esibizione al festival nel 1984, dove aveva presentato “La Fenice”, un pezzo scritto a quattro mani niente meno che con Riccardo Cocciante. Di nuovo: se avesse incrociato nei corridoi delle case discografiche un coreografo in grado di spiegargli come ci si muove su un palco, oggi non leggeremmo certi commenti salaci.
Ma questa è un’altra storia.
EffeDiKappa e Vittorio “Vikk” Papa
Tracklist:
01. Amsterdam
02. Marta
03. Niente
04. Sui Marmi Di Carrara