A.D. 2010 Pupo, dopo averci deliziato il 2009 con L’opportunità intonata assieme a Paolo Belli e Youssou N’Dour torna sul luogo del delitto a cadavere ancora caldo e questa volta decide di portarsi dietro Emanuele Filiberto che, per colpa di Fabio Fazio e nell’ambito dell’operazione simpatia di casa Savoia, aveva cominciato a imperversare nella televisione italiana da metà anni ’90 sino ai giorni nostri.
In questa occasione Pupo, da vero musichiere, ha deciso di scrivere la melodia di un poemetto dell’erede al trono di casa Savoia: una poesia-dichiarazione d’amore per l’Italia uscita dalla penna di un rampollo di sangue blu costretto da una costituzione profondamente ingiusta a rimanere lontano dalle meraviglie del Belpaese.
Non ci vuole un fiuto particolare per sentir puzza di porcata da incorniciare ed ecco che puntualmente il 16 febbraio al teatro Ariston di Sanremo si compie il misfatto: il duo, accompagnato dal tenore Luca Canonici, esegue in diretta nazionale Italia amore mio.
La canzone è quanto di più sgraziato si possa immaginare, un mefistofelico mash-up tra l’inno di Forza Italia, l’ancor più infima La pace può (il brano che promuoveva SIlvio Berlusconi al Nobel per la pace), oltre a palese plagio di Over The Rainbow nell’inciso cantato dal tenore. Vedere poi quel bamboccione di Emanuele Filiberto impreziosire la sua legnosissima esecuzione con una teatralità talmente dozzinale da fare tenerezza, ci fa davvero pensare di essere a La Corrida piuttosto che al festival della canzone italiana.
Ma è il testo, cantato in una sorta di dialogo a tre voci, la cosa più agghiacciante e pertanto meritevole di un’analisi approfondita; Pupo esordisce con: «Io credo sempre nel futuro, nella giustizia e nel lavoro, nell’equilibrio che ci unisce, intorno alla nostra famiglia.» Cosa? Pupo ci viene a fare il pippone sulla famiglia?! Uno che ha più mogli, compagne, amanti e figli che calzini! E poi rincara la dose: «…soffro le preoccupazioni, di chi possiede poco o niente» detto da uno che si è giocato anche l’anima con il gioco d’azzardo la cosa fa un certo effetto.
Con l’arrivo di Emanuele Filiberto il tutto prende una piega sinistra da congresso forzista: «Io credo nella mia cultura e nella mia religione, per questo io non ho paura, di esprimere la mia opinione. Io sento battere più forte il mio cuore di un’Italia sola, che oggi più serenamente si specchia in tutta la sua storia.»
Arriviamo finalmente al ritornello affidato al tenore Luca Canonici che letteralmente eleva il microcosmo disegnato dall’erede di casa Savoia su un piano quasi metafisico, coinvolgendo addirittura Dio con l’intento di convincere l’ascoltatore della purezza dei suoi sentimenti: «Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio. Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio, Italia amore mio.»
Se già questo basterebbe a far assurgere il brano a “classico”, la seconda parte riesce ad andare oltre ogni peggiore incubo. Il tenero Emanuelone, come un novello Oliver Twist, pensa bene di smuovere gli animi più aridi parlandoci della sua triste infanzia trascorsa nell’umile dimora di mille metri quadri al 23 della Route d’Hermance a Ginevra immersa in un parco sei volte più grande, o a sciare con i miliardari a Gstaad, o nella residenza reale di nonno Umberto II a Cascais, o ancora in villeggiatura in Croazia, insomma una vita terribile di stenti e privazioni, perchè nel suo cuoricino voleva una cosa sola: «Ricordo quando ero bambino, viaggiavo con la fantasia, chiudevo gli occhi e immaginavo, di stringerla fra le mie braccia», ed ecco che Pupo interviene tempestivo: «Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente, ma mai ti sei paragonato a chi ha sofferto veramente» e sono applausi a scena aperta.
Si conclude con la ciliegina sulla torta, l’interprete di Firenze Santa Maria Novella che canta sofferto: «Io credo ancora nel rispetto, nell’onestà di un ideale. Nel sogno chiuso in un cassetto, e in un paese più normale» esattamente come nel 2007 quando il nostro Emanuele Filiberto di Savoia chiese all’Italia ben 90 milioni di euro di risarcimento danni (oltre al padre che ne chiese ben 170) per gli anni trascorsi in esilio; all’epoca probabilmente non andava in giro a piagniucolare “Italia amore mio”.
A fine esibizione gli occhi sono lucidi come se ci avessero strofinato sopra delle cipolle, ribaltati sulle nostre poltrone non possiamo non gridare: «Emanuè, facce ride!». Un trio davvero funanbolico che ci regala puro concime per le orecchie. Vi prego ridateci Italia di Mino Reitano.
Italia amore mio
Io credo sempre nel futuro,
nella giustizia e nel lavoro,
nell’equilibrio che ci unisce,
intorno alla nostra famiglia.
Io credo nelle tradizioni,
di un popolo che non si arrende,
e soffro le preoccupazioni,
di chi possiede poco o niente.
Io credo nella mia cultura e nella mia religione,
per questo io non ho paura,
di esprimere la mia opinione.
Io sento battere più forte il mio cuore di un’Italia sola,
che oggi più serenamente si specchia in tutta la su storia.
Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Ricordo quando ero bambino,
viaggiavo con la fantasia,
chiudevo gli occhi e immaginavo,
di stringerla fra le mie braccia.
Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente,
ma mai ti sei paragonato a chi ha sofferto veramente.
Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.
Io credo ancora nel rispetto,
nell’onestà di un ideale.
Nel sogno chiuso in un cassetto,
e in un paese più normale.
Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,
Italia amore mio.