«La voce e l’anima di uno dei più noti gruppi del rock italiano». Bastano queste semplici parole per descrivere Piero Pelù nella quarta di copertina di Perfetto difettoso il suo primo libro scaturito da tre giorni di intervista col giornalista Massimo Cotto all’alba del nuovo millennio.
Pubblicato nel 2000 per Mondadori (forse a Piero era sfuggito che fosse la casa editrice controllata dal tanto odiato Silvio Berlusconi) come naturale compendio per il suo prima disco solista, quel Né buoni né cattivi che (purtroppo) sarebbe stato pubblicato da lì a poco e che, oltre ad avere una veste grafica molto simile, contiene il brano che dà il titolo al libro.
Dietro quella semplice e banalissima frase si nasconde un marchio talmente doloroso che non può neppure essere scritto, addirittura celato in mezzo a una definizione generica; si tratta del nome della band con cui Pelù aveva condiviso e vissuto ben 19 lunghi anni di vita: i Litfiba. Dischi via via sempre più spenti e commerciali fino al trionfo di vendite del ributtante Infinito con il suo milione di copie vendute che non fece che acuire i contrasti tra Piero Pelù e il suo compagno d’avventura Ghigo Renzulli.
L’aria pesante all’interno del gruppo si respirava da parecchio tempo tanto che a mollare la baracca non fu solo il cantante, ma anche tutti i musicisti dell’epoca che decisero di seguirlo nella sua avventura solista lasciando il pacioso chitarrista da solo a ricominciare quasi da zero con solo il nome Litfiba, lo storico manager Alberto Pirelli e la sua amata Stratocaster.
Da una parte il ribelle Piero cominciò a bazzicare i salotti buoni della musica italiana (ospite su Rai 1 di Adriano Celentano, duetti con Mina, collaborazioni benefiche con Jovanotti e Ligabue e imbarazzanti canzoni a rotazione su MTV), dall’altra Ghigo intraprese la strada di un rock più asciutto ma anche anonimo senza raccogliere consensi, con una formazione totalmente rinnovata e sconosciuta guidata dal frontman Gianluigi “Cabo” Cavallo. Una scelta che infastidì Pelù oltre ogni immaginazione, tanto che subito dopo la reunion, con grande maturità, fece omettere sul sito ufficiale della band tutto il periodo post separazione (aggiunto solo recentemente).
Era già comprensibile ai tempi che un distacco così doloroso e polemico non poteva non generare ulteriori strascichi e conseguenze e il libro riassume perfettamente il senso dei suoi contenuti. “perfetto” perché troviamo una completa (seppur didascalica) raccolta di gustosi retroscena (le due date in Russia nel 1989 insieme ai Rats e ai CCCP fedeli alla linea), eventi ai limiti dell’assurdo (il folle dopo-concerto a Pizzo Calabro nel 1983) e racconti croccanti (i rapporti con la famiglia, la sua visione della musica e la storia con il gruppo passando in rassegna canzone per canzone tutti i dischi della celebre Trilogia del potere, gli indimenticabili Desaparecido, 17 re e Litfiba 3). Tutto chiaramente in nome del classico dogma sesso, droga e rock’n’roll e non potevamo aspettarci altrimenti.
Purtroppo su tutte le 210 pagine grava la pesante ombra del lato “difettoso”; non solo Piero Pelù ci presenta una chiara rivisitazione degli eventi con il solo scopo di esaltare se stesso ben oltre i reali meriti, in un assurdo delirio d’onnipotenza. Tanto che nella biografia ufficiale dei Litfiba A denti stretti pubblicata qualche mese dopo, il giornalista Federico Guglielmi si vide costretto a inserire un postfazione accusando il cantante di reinterpretare i fatti a suo comodo. Ma soprattutto un astio e un risentimento talmente accanito ed infantile già oltre il ridicolo all’epoca e che al giorno d’oggi non può che lasciare perplessi.
Di questa scarica di bile a farne le spese sono in primis l’ex manager Alberto Pirelli che viene descritto come un individuo manipolatore e disonesto, un pessimo produttore artistico responsabile di alcune scelte e consigli sbagliati per quanto riguarda dischi come Litfiba 3 e Terremoto, in passaggi chiari e brutali come questi:
«Mi infastidiva un aspetto della sua personalità: non tanto il fatto che decidesse sempre lui per tutti, ma che non motivasse mai le sue scelte. Si limitava ad imporle. La sua ambizione folle era di essere l’anima artistica di un gruppo che non capiva, ma che considerava il suo balocco, la sua creatura, la sua invenzione. Si era convinto di aver creato lui i Litfiba, non ha mai capito che è stato lui a portarli nella tomba […] “Terremoto” è , dal punto di vista sonoro, il nostro disco più monocorde. Anche il mio modo di cantare è terribile, molto urlato, figlio del grunge e dei pessimi consigli del produttore.»
Curioso che il primo frutto della reunion, ormai liberi da questo oscuro deus ex machina, fu proprio Grande nazione, rumoroso tentativo di fare un Terremoto 2.0.
Ma è Ghigo Renzulli che riceve il trattamento peggiore di tutti, dipinto come una specie di mostro di Firenze, a metà tra Hannibal Lecter e l’enigmista di Saw: freddo, calcolatore, superbo, bugiardo, avido e cattivo. In tutto il libro non c’è riga o parola spesa non dico a suo favore (giammai!), ma quantomeno non negativa.
Pur cercando di capire il forte risentimento per la recente separazione, le parole e i toni sono così esageratamente forti da sembrare impossibile che Piero Pelù possa aver speso 20 anni della sua vita al fianco di una persona del genere. I casi sono due: o le cose non stanno come afferma oppure non ci si capacita di come sia riuscito a sopravvivere a quasi due decenni di colpi bassi e mefistofeliche bastardate.
I toni sono talmente eccessivi da risultare godibilissimi nella loro assurdità (soprattutto col senno del poi), ad esempio quando parla del loro primo incontro «L’unico sospettoso, guardingo era Ghigo. Mi guardava con aria strana, come se avesse paura di me», oppure le presunte parole dopo la morte di Ringo De Palma:
«Ghigo, che finalmente si sentiva investito del ruolo di capobanda e se ne fregava del resto, mi vomitò addosso parole che non dimenticherò mai: Non vorrai mica prendere la morte di Ringo come scusa per non fare un cazzo? Dieci anni di vita in comune con un amico non possono essere una scusa, pezzo di merda! Lì ho capito che Renzulli non conosce la parola “amicizia”, ma solo “rapporti d’interesse”. Si ruppe qualcosa, dentro, in una quiete che era solo apparente».



Se tutto questo non bastasse ecco che piovono denunce nei confronti dell’allora ex socio di avergli boicottato e/o rubato idee e arrangiamenti, negandogli addirittura di comparire come coautore nella maggior parte dei brani realizzati durante gli anni ’90.
Tutto questo comunque è acqua passata. Dopo 10 anni di separazione, uno a sputtanare la sua credibilità di rocker con dischi brutti e presenzialismo televisivo, l’altro a suonare nei pub di periferia, Piero Pelù e Ghigo Renzulli sono finalmente tornati insiemme e il nome Litfiba è tornato ai fasti di un tempo, con un doppio management e con il cantante che finalmente appare come coautore nei loro nuovi lavori e tutti vissero felici e contenti.
Che sia avvenuta una reale riconciliazione o che si tratti di soldi non ci è dato sapere, resta il fatto che tra i due il rapporto pare di nuovo saldo, forte e sincero. Nel 2013, in contemporanea con la pubblicazione di una raccolta con inediti, Piero ha dato alle stampe Identikit di un ribelle, libro che traccia diversi argomenti della sua persona tra cui la carriera da solista e la riconciliazione con Ghigo descritta come lunga ma naturale e senza secondi fini. Ciononostante se qualche fan dei Litfiba leggesse oggi per la prima volta Perfetto difettoso dubito che continuerebbe a guardare a questi sei anni di reunion con gli stessi occhi senza farsi qualche domanda a riguardo.