Fabio Rovazzi

Fabio Rovazzi è come il Pulcino Pio

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Fabio Rovazzi

C’è stato un momento preciso in cui l’estate 2016 ha avuto un nuovo, violentissimo tormentone estivo. Quel momento coincide con la notizia che la canzone “Andiamo a comandare” di Fabio Rovazzi ha ottenuto un disco d’oro e un disco di platino quasi completamente dovuti allo streaming: al momento si contano 77 milioni di views del suo video su YouTube e 10 milioni di stream della sua canzone su Spotify, facendo i conti della serva sono quasi 100.000 Euro solo di royalty, per non parlare dei passaggi radiofonici e delle oltre 70 serate nelle discoteche di tutta Italia.

Con la notizia dei dischi d’oro e di platino, la stampa e l’opinione pubblica non hanno più potuto fare a meno di considerare questo ragazzo del 1994 (nel 1994 si è sparato Kurt Cobain, per dire) come il nuovo fenomeno transgenerazionale, amato dai ragazzi, dalle mamme (perché ha la faccia pulita, non dice parolacce e nelle sue canzoni dichiara molto furbescamente che non si droga e non beve) e persino dai bambini molto piccoli, tratto quest’ultimo che contraddistingue ogni tormentone generazionale che si rispetti: per intenderci, i bambini nelle scuole elementari degli anni ’90 imparavano con i maestri “Hanno ucciso l’uomo ragno” e non è un caso che due professori italiani abbiano tradotto per il diletto dei loro allievi “Andiamo a comandare” in latino e in greco.

In tutto questo Fabio Rovazzi che cosa fa? La prende sportivamente e ricorda a tutti che non è un cantante, che non ha tecnica, che in realtà è un videomaker che ha fatto una canzone spiritosa seguendo il suo fiuto e che alla fine ha avuto solo una gran botta di culo, che voleva giocare con il nonsense creando un brano che sovvertiva tutti gli stereotipi del rapper, che non vuole essere preso sul serio e che i suoi modelli sono Elio e le Storie Tese, i Monty Python e i Lonely Island (quelli di “Dick In a Box”).

Sia chiaro, a livello di immagine e di comunicazione molto meglio Fabio Rovazzi che Gué Pequeno, giusto per citarne uno. Ma questo non basta per salvarlo.

Proviamo a impostare un sillogismo partendo dai dati di fatto: tutti sbagliano a concentrarsi sul fatto che Rovazzi non sia un cantante, chissenefrega se non è un cantante; bisogna invece concentrarsi sul fatto che la sua canzone non sia una canzone. “Andiamo a comandare” fa schifo. Non è una canzone, è un concentrato di slogan, frasi di Facebook e un giro di synth pseudo EDM lontano da ogni concetto di armonicità. Più che una canzone è un prodotto. E Rovazzi ha offerto questo prodotto a fronte di una domanda (quella dei teenager che passano ore su YouTube a guardare altra gente che gioca con i videogiochi) che grazie al suo intuito – per gli affari sia chiaro, non per l’arte – è riuscito a soddisfare.

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Fabio Rovazzi con i suoi pigmalioni: J-Ax e Fedez

Pertanto la presunta naïveté di Rovazzi e il suo continuo ribadire che non è un cantante spostano solo l’attenzione dal punto focale: Fabio, come tutti gli altri youtuber, a un certo punto ha provato, comprensibilmente, a fare i soldi con il business musicale. A differenza di tanti altri, forse per vero fiuto e glielo riconosciamo, è riuscito a fare il botto nel mondo della musica e siamo onestamente contenti per lui. Ma per noi, per la musica e per la responsabilità civile nei confronti degli ascoltatori, Fabio Rovazzi è connivente.

Connivente perché non ammette pubblicamente di averlo fatto per una scelta di business, perché non ammette chiaramente che non c’è niente di artistico nel suo prodotto, pensato chiaramente a tavolino per far leva su un target ben studiato, talmente forte e preciso che ha poi conquistato anche tutti gli altri target limitrofi (dai ragazzini si è espanso ai bambini, alle mamme e perché no, ai quarantenni di Facebook).

Fabio Rovazzi

“Andiamo a comandare” fa ballare, cantare e divertire i bambini di tre anni e noi saremo soddisfatti solo quando, oltre ad ammettere di non essere un cantante, Fabio Rovazzi ammetterà che la sua “canzone” ha lo stesso valore musicale, artistico e culturale del Pulcino Pio.

Se lo farà, giuriamo solennemente che saremo sempre in squadra con lui, perché solo così potrà fregiarsi di aver cambiato veramente il mondo dello showbiz italiano dall’interno.

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