Il paese è in fermento durante la vigilia della festa di San Rocco: in piazza è stato organizzato un concerto e le vie principali sono costeggiate dalle tradizionali bancarelle che offrono cibo, giocattoli, vestiti, utensili, svago e musica.
Superata la tentazione del punchball mi imbatto in un banco di CD. Non mi scandalizzo affatto accorgendomi alla primissima occhiata che i titoli più in voga riguardano le mafie, la ‘ndrangheta in particolare. Inizio a concentrarmi e prendo in mano un CD: Cu è orbu, surdu e taci, campa cent’anni in paci è il monito scritto in testa alla copertina (tra l’altro senza l’accento sulla prima “e”); al centro campeggia la parola “ndrangheta” e in basso “canti e storie”, il tutto in caratteri rossi su sfondo nero. L’unica figura presente è il disegno di un albero senza foglie che domina l’intera facciata.
Gioiosa Jonica, 1927.
A seguito di un’operazione investigativa viene rinvenuto in un’abitazione un codice scritto, il quarto ritrovamento del genere fino a quel periodo, che raffigura metaforicamente la stratificazione di una società segreta. Come simbolo viene utilizzato un albero: il fusto rappresenta il capo della società, il rifusto il capo contabile e il mastro di giornata, i rami rappresentano i camorristi di sangue, i ramoscelli sono i picciotti, i fiori sono i giovani d’onore e infine le foglie rappresentano gli infami e i traditori che finiscono per marcire ai piedi dell’albero.
Sarebbe da scostumati a questo punto, dopo qualche secolo di storia, non congratularsi con la ‘ndrangheta per aver raggiunto l’apice a livello mondiale, essendo considerata l’organizzazione più forte, ricca, influente e affidabile (di fronte a qualsiasi interlocutore). In pratica così potente che se ci fosse ancora Giochi senza frontiere sarebbe di certo fra le nazioni partecipanti.
Tornando al 2017, eravamo rimasti al CD che avevo tra le mani già con l’intenzione di acquistarlo, quando il proprietario del banco comincia a inondarmi di consigli allungandomi a mo’ di piovra manciate di altri titoli tutti a tema mafia, ‘ndrangheta e camorra. ‘Nci dicu ca unu m’abbasta propriu mentri… Scusate… Gli dico che me ne basta uno solo, proprio nel momento in cui la figlia di quest’ultimo me ne mostra un altro quasi identico a quello che avevo scelto, con la differenza che sulla copertina il tema cromatico principale è il giallo. Al cospetto del solito albero il titolo questa volta è Ndrangheta 2. In testa alla pagina una frase di somma dedizione: «… a mamma cumanda e u picciottu va e fa… a storia cuntinua…». Decido di acquistarli entrambi, saluto e mi congedo con in mano due dei quattro CD che formano la raccolta Ndrangheta, prodotta nel 2000 e distribuita dalla Elca Sound, etichetta di Reggio Calabria specializzata nel folklore calabrese. In realtà si tratta di brani già pubblicati in altre raccolte a tema come l’ormai classica La musica della mafia.
Non c’è ‘ndrangheta senza rispettu, non c’è valori senza onori
Sta grandi famigghia è na famigghia onorata,
Cu si senti degnu mi stai, cu non si senti degnu mi si ‘ndi vaji
Con questa formula si apre il primo brano dal titolo Pi fari nu giuvanottu i malavita. Come vedremo sarà una costante l’introduzione dei brani recitata sotto forma di dialoghi o monologhi in dialetto calabrese: i testi di questo primo CD, nello specifico, sono espressi quasi sempre con la parlata tipica di una zona del reggino, sul versante jonico dell’Aspromonte.
Pi fari un giuvanottu i malavita, a sidici anni u chiama l’onorata
u faci addestrari ‘nta la rota, regula sua esti lingua muta
Picciottu i malavita statti attentu, u sai quantu custa lu sgarrari
cerca mi torni arretu si ‘ndai tempu, da malavita non ti ‘mbicinari.
Chi avesse intenzione di fare il giovanotto di malavita è bene che tenga in mente il testo di questo stornello calabrese dall’antico sapore malandrino.
Si’mbicinau un giuvini d’onuri mi dissi giuvanottu a chi cercati
iu ci rispusi cercu sangu e onuri ,iddru mi dissi sangu e onuri aviti
Fua purtatu i cincu cristiani ‘nta nu giardinu i rosi e di jhuri
dopu nu giuramentu chi ebbi a fari mi battiaru cu sangu d’onuri.
Il brano descrive lo svolgimento di un rito di affiliazione al termine del quale, il neo affiliato sostiene, «diventai n’omu finu».
Il tema della ritualità spirituale tipica della ‘ndrangheta, analogamente a quanto avviene all’interno del primo brano, è affrontato anche nella ballata Nta nu giardinu i rosi e jhuri.
U sangu chi mi curri nta li vini o acqua chi rifrischi li me peni
Eu ti battezzu cu ferru e catini stu locu ricanusciutu a mali e beni
E ora chistu locu è cunsacratu, stu corpu i società esti furmatu
A nomu di l antichi cavaleri, cu sangu e onori fuvi battiatu.
Il brano seguente, intitolato Ndrangheta, Camurra e Mafia – Trascuranza è uno dei capisaldi del genere. L’importante dialogo iniziale definisce l’immagine del tipico uomo d’onore, dotato di virtù sopraffine messe al servizio della “società”.
– Si è lecitu giuvanottu da undi veniti?
– Da undi si disponi
– E dicitimi ancora amicu, sempi si è lecitu, sutta a cu caminati?
– Iu caminu sutta au cielu e supa a terra e aundi vaju vaju, ca me arti e a me favella, sacciu purtari saggezza, sangu e onuri
– Scusatimi ancora amicu, pirchì faciti l’omu?
– Eu fazzu l’omu pi sangu e pi onuri, e pi scacciari infami e i tradituri
Il brano, eseguito da El Domingo, descrive il carattere mitologico attribuito all’episodio della nascita della ‘ndrangheta, attraverso la leggenda dei tre cavalieri spagnoli nominati in gergo Ossu, Mastrossu e Carcagnossu giunti rispettivamente a Napoli, in Sicilia e in Calabria per formare camorra, mafia e ‘ndrangheta dopo un periodo passato nel carcere di Favignana a scrivere le leggi dell’onorata società. Tipo Hitler e Hess nella fortezza di Landsberg a redarre il Mein Kampf… Non escluderei che assieme a loro ci fosse anche Carcagnossu.



Ddra ‘ncera nu castellu cu tri stanzi undi la prima puzzava infamità
Tri gucci i sangu ‘nta secunda nci truvai, mentri ‘nta terza ‘nu corpu i società
Degnu e meritevoli fui arricanusciutu, sutta a l’arberu da scienza battiatu.
La solita asfissiante simbologia oscura, manco fosse un cartone animato della Walt Disney. Eppure a quanto pare è proprio questo l’aspetto fondamentale: la potenza emanata attraverso codici e simboli. Rinnovo le mie congratulazioni!
Con tutta probabilità il titolo del brano appena ascoltato, per com’è riportato dentro questa raccolta, è inesatto dato che non c’è ombra di trascuranza, atto lievemente peccaminoso di cui piuttosto si parla nel brano successivo, Lenta scindi la sira, attraverso lo svolgersi di un duello fra uomini d’onore. Dicevamo, la trascuranza è un peccato lieve al pari di uno scherzo di carnevale… Tipo quello che nel 1991 innescò ufficiosamente una faida culminata nel 2008 con la strage di Duisburg. È evidente che tale esempio riguarda un caso di trascuranza avvenuto in un clima già teso, quindi viziato dal rancore.
Il quarto brano parla al contrario di una normalissima trascuranza fra gente di rispetto da risolversi con un onorabilissimo duello a coltellate in stile romanesco: avete mai visto il film Er più – Storia d’amore e di coltello con Adriano Celentano che interpreta Er Più senza l’ausilio del doppiaggio? Mi chiedo se avrebbe tentato l’azzardo con il gergo calabrese.
Al quinto brano Finalmente una tarantella! Un grande classico della Calabria ‘ndranghetista. Chi conosce il fenomeno culturale soltanto a grandi linee non ha idea di che cosa significhi trasgredire alle regole «du mastru i ballu», entrando a ballare nel cerchio senza invito alcuno. È possibile che per un turista distratto, capitato con scarsa consapevolezza alla festa della Madonna di Polsi in pieno Aspromonte, ci sarebbe clemenza: qualche strillo, due calci in culo e via. Il tipico ballo calabrese che trae origine dall’antica Grecia è stato assunto a simbolo dall’onorata società culturalmente nata e sviluppatasi in un contesto contadino. Esso rappresenta un’occasione per dimostrare autorità e rispetto della tradizione come nel caso di U ballu da famigghia i Montalbanu dove si ascolta un’affilatissima voce narrante accompagnata dai tipici organetto e tamburello.
Finita era a guerra mondiali e inveci di lu suli ja matina
spuntau ‘na radici criminali, nu cippu di malerba malandrina
Chista è la famigghia i Montalbanu chi fici mastru i ballu e di lu sonu
ancora oggi i ju tampu luntanu trema la gente sentenu chistu nomu
Pe schiantu o pe rispettu era stimata, da tutti sta famigghjia fu temuta
sapiva a genti che cu l’onorata ‘nci vonnu li doveri e lingua muta
Lu riccu la mazzetta avi a pagari pe non finiri a manu delinguenti
l’omertà e leggi i rispettari l omu chi parra pocu è sapienti
E chistu è lu ballu da famigghjia i Montalbanu chi faci mastru i ballu e di lu sonu
levativi u cappeju o genti i stu paisi ca stannu ballandu giuvanotti calabrisi
Mi formu e sformu sutt’a l’arberu da scienza i onuri e sangu di tutta la maestranza
se carcunu avi macchiata la coscienza, mi nesci fora sinnò ‘nci sbucu a panza
Vorrei rassicurare il turista valdostano giunto fino al suggestivo Santuario di Polsi per le solenni celebrazioni, che la tarantella pur essendo tipica non è affatto privilegio assoluto di tali ambienti esclusivi. Visitando la zona del reggino durante le occasioni di festa si ha la possibilità di entrare a ballare dentro qualsiasi cerchio.



Il brano successivo Davanti a la gran curti – Omertà, ribadisce l’importanza del parlare poco («…l’omu chi parra assai sempri la sgarra, cu la so stessa bucca s’assutterra») e la legge è inevitabilmente estesa anche verso i non affiliati. Pena per i trasgressori: una schioppettata di lupara.
– Amicu fermati
– Che c’è
– T’aju a parrari
Parole pronunciate con tono deciso che, senza troppi ghirigori, fanno da immediato preludio all’esecuzione di una carogna. È questo il tema affrontato in Pi nu sgarbu all’Onorata.
Proseguendo si entra in un tunnel introspettivo di poetica malinconia (tipo la galleria sulla SS 682 Jonio – Tirreno) con i brani Carciru e turmentu, il quale concede spazio a un turbinio di sensazioni provate da un carcerato, e Le sette cose della Società – Addiu Ndrangheta, elegante valzer suonato ad arte.
In quest’ultima sonata compare un delizioso mandolino di cultura partenopea che assieme all’accompagnamento di fisarmonica e chitarra compone il modello base di un grande classico del meridione. Il brano è talmente suggestivo da poter condizionare definitivamente gli indecisi e i malati di malavita da serie televisive.
Addiu ‘ndrangheta ieu mi ndi vaju aundi non si gira jornu e notti
ormai la leggi eu la sacciu a menti e chiusa resta ‘nta stu cori forti.
Come possiamo leggere e ascoltare, in questo caso è contemplata una via d’uscita dalla ‘ndrangheta una volta rinchiuse saldamente le leggi dentro un cuore forte. Nel senso, si esce, ma non si esce.
All’epilogo di questo primo CD possiamo ascoltare, sempre col rispetto dovuto, un’altra tarantella condotta nella sua forma più radicale dal mastro di ballo, il quale di tanto in tanto fa sentire la sua voce. Terminata la musica, tanto per ribadire il concetto, un giuramento di fedeltà.
Eu giuru dinanzi a ‘sta società organizzata e fidelizzata, rappresentata du nostru onoratu e saggiu capu e da tutti i camurristi e picciotti, di essere fedele a tutta st’onorata società, di adempiere a tutti i doveri che mi spettano e che mi verranno comandati e se è necessario puru cu me sangu.
Nel mezzo del cammin di ‘sta raccolta è giunto l’aspettatissimo momento delle prese di distanza, attraverso un avviso scritto sul retro del CD riportato integralmente di seguito: «Questo CD vuole essere soltanto un documento storico, sulle origini e realtà della mafia in Calabria. Gli autori hanno scritto in versi quanto già si legge sui libri, giornali o riviste. Ogni riferimento a persone o a cose è da ritenersi puramente casuale».
Freschi di morbido candore rinnovato, possiamo andare avanti col folklore.