Mi è successa una cosa bizzarra ascoltando Ma che bandiera è questa qua di Solange: ho iniziato a pormi delle domande di tipo esistenziale e meta-filosofico, cosa del tutto fuori luogo pensando all’input che ha generato questo scombussolamento. Invece, ogni nota di questo pezzo mi prendeva per mano accompagnandomi nel sottobosco di questioni sempre più impegnative.
Dopo quattro ascolti consecutivi è arrivata l’epifania: Solange è il Gesù della musica italiana. Vi chiedo di seguirmi nel ragionamento armandovi di pazienza e con lo spirito con cui si ascoltano le fiabe perché non sarà né logico né semplice.
La prima domanda che da subito mi è balenata è stata sulla misura del suo coraggio: chi altro ha mai osato spingersi così lontano sperimentando suoni così assurdi? Soprattutto in Italia in quel periodo (stiamo parlando del 1986)? A me non è venuto in mente un nome che fosse fatto della stessa sostanza di Solange: colpi di sole, fuseaux e voce tre ottave sopra la decenza. Forse qualcosa delle prime registrazioni di Ivan Cattaneo, forse…
Prendiamo tutto il personaggio di Paolo Bucinelli, dalla sua estetica fino alla sua sessualità indecifrata: lui è la sua stessa opera d’arte mobile (ringrazio Andrea Diprè per la figura retorica) che sperimenta ogni giorno spostando i confini del conosciuto di un passo e scoprendo così nuovi orizzonti.
Ma che bandiera è questa qua è un ottimo esempio di quello che ho cercato di descrivere.
Ancora ora, mentre ne scrivo, non ho ben colto l’essenza del pezzo scritto dal nostro con il musicista livornese Corrado Pezzini (con un passato nella musica progressiva con la band locale degli Aurora Lunare). Esattamente come mi succede con i film di Lars Von Trier, mi ci vogliono giorni per digerirli. La canzone si colloca nella mia testa a metà tra la sigla di un cartone animato e l’inno di un partito politico minore, ma senza avere la forza dei due.
https://www.youtube.com/watch?v=wkg4YZsvpMM
È proprio in quest’ottica che parlo di sperimentazione artistica: nessuno ha mai pensato di far convivere cartoni animati e politica incorniciandoli con un testo che spesso mostra il fianco al doppio senso ma che in fin dei conti omaggia il nostro tricolore. A questo punto mi sono chiesta: davvero? Solange ha scritto un inno al tricolore infilandoci della latenza sessuale e dei suoni che si prendono così poco sul serio?
Sì, l’ha fatto.
In un mondo in cui gli sforzi di Solange non vengono riconosciuti come arte musicale non credo di volerci vivere, soprattutto nel momento in cui non sono riuscita a trattenermi dal paragonarlo, superando i confini nazionali, a David Bowie: lui che in quegli stessi anni sperimentava, indossava materiali altamente infiammabili e faceva della sua sessualità una scatola dei misteri, è sempre stato invocato, giustamente, come un genio, mentre Solange è tuttora additato come un povero stronzo.
Per tornare al paragone biblico, sono felice di poter riaffermare che Solange è stato per la musica italiana quello che Gesù è stato per la storia dell’umanità: ha segnato un punto dopo cui è diventato possibile fare cose mai pensate prima e soprattutto si è sacrificato per tutti noi, producendo della musica orrenda che ha permesso ai postumi di non ripetere gli stessi errori.
E nemmeno un grazie.