L’ultimo riferimento che abbiamo di Mirella è il 45 giri “Il mio ragazzo / Carmencita” in cui era intenta a riempire di corna il proprio ragazzo col buon fratello di costui e a storpiare con irriverenza strafottente il canto sovietico “Katjuša” (“Fischia il Vento”), buttata in mezzo a un coro baritono di evocazione cosacca.
Eccola di nuovo, questa volta con un disco “impegnato” (e chi mi dice che l’altro non lo fosse?) in ossequio al comunismo italiano, chiamata in causa mediante un 7 pollici che se tieni conto dello stornello sporcaccione e dello sfregio al PCUS del disco precedente ti va in crash il sistema nervoso tipo Windows Vista.
Ovviamente la nostra protagonista ha anche un cognome e lo scopriamo nonostante l’utilizzo solito, stampato sui vinili prodotti, dell’esclusivo nome proprio: Mirella Bargagli, in tutta sincerità e per una serie d’aspetti, è un personaggio da approfondire senza la minima esitazione e senza alcun pregiudizio. Il suo habitat naturale è un folk che le permette di esprimersi fra marcette, mazurke e stornellacci, zompettando di tanto in tanto dentro temi impegnati quasi sempre celati a dovere dietro apparenti frivolezze e affrontati con un linguaggio semplice ma incisivo: all’incirca come un Antonio Di Pietro spoglio di tecnicismi politico/giuridici.



Ed è proprio questo fare acuminato che la rende così interessante. Questo tirare in ballo cazzi, tradimenti, bandiere rosse, barili colmi di merda che impestano la steppa “dove sorge il sol dell’avvenir” (ovvero l’URSS), Gramsci, Togliatti e l’Unità (ovvero il PCI in Italia) con il medesimo stato d’animo sereno, deciso e apparentemente smaliziato, offrendo panorami sociali e scorci di vita schietta. Ma soprattutto destando in me il sospetto che gli argomenti appena elencati possano far parte di un disegno che unisce con folle audacia la volgarità de “Il Mio Ragazzo / Carmencita” (tradimento / Unione Sovietica) a questo “Omaggio a Gramsci e Togliatti / Viva l’Unità e La Sua Bandiera” composte proprio nel periodo storico in cui, sulla scia di Palmiro Togliatti, veniva avviata fra i comunisti italiani una riflessione critica circa gli aspetti eccessivamente autoritari del modello sovietico. La cosa si fa interessante.
Come riporta l’Enciclopedia delle Donne Mirella Bargagli (e non come riportato erroneamente in copertina sulla quale troviamo scritto “complesso Bergagli”) nasce a Pancole (Grosseto) nel 1943 e inizia come cantante di storielle (in gergo stornellate) a 15 anni accompagnando il padre Eugenio Bargagli, cantastorie maremmano, in esibizioni ai margini delle piazze durante le fiere del bestiame in Maremma. La nostra protagonista riuscì ad ottenere un discreto successo stampando dischi da bancarella per importanti etichette discografiche, partecipando a trasmissioni RAI ed esibendosi al fianco di grandi nomi della musica dell’epoca come Mino Reitano e (sentite un po’) Enzo Jannacci; tuttavia non abbandonò mai l’abile arte del cantastorie, anzi, spinse all’estremo in questo senso, diventando popolare assieme al Trio Marino in sale da ballo e feste popolari.
“Avanti Popolo alla riscossa…” eccetera, eccetera… Inizia in modo significativo “Omaggio a Gramsci e Togliatti” che come da titolo omaggia le figure di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, ripercorrendo in versione estremamente semplificata le rispettive vicende storiche. Sappiamo tutti di chi stiamo parlando, vero? In ogni caso, per chi non lo sapesse, Mirella ha scritto una bella canzoncina. In tutti i modi è da mettere in luce la franchezza con la quale Mirella indirizza le frasi all’interno di questa marcetta appassionata, stridendo con la tendenza attuale che gioca di fino riadattando la memoria storica in formati “complicati” indirizzati a esclusivi circoli d’élite, sradicandola con astuzia al popolo.
La marcetta con passaggi di tango mette un grande appetito se associata simbolicamente alle feste di piazza, anche se al cospetto di due grandi storie come quelle di Togliatti e Gramsci la cosa si smorza un po’: semmai giusto due stuzzichini aspettando il momento per strafogarsi e brindare all’urlo “viva l’Unità!”.
Un amore viscerale, un sentimento collettivo cantato sulle note e gli arrangiamenti di una mazurka intrisa di folklore popolare. Giri di fisarmonica a tempo di un valzer malinconico in onore alla rossa bandiera sventolata dagli oppressi, quando potevano essere uniti, 20 o 30 anni prima che il vento smettesse di fischiare.
“Abbasso noi gridiam gli Americani, viva il partito del proletariato
con i compagni vicini e lontani lottiam contro i signori e la NATO”
Ed eccoci qua ad ascoltare questa “Viva l’Unità e la Sua Bandiera”; eccoci a sentire parlare di sentimenti anti-americani, avversi alla NATO, a udire pessime valutazioni sulla Democrazia Cristiana in ossequio a un Partito Comunista che un paio di decenni dopo, per tante ragioni, perse definitivamente la presa. Una di queste riguarda sicuramente il tracollo dell’URSS sventrata dalle proprie contraddizioni.
A questo punto il mio personale sospetto assume sempre più la forma di una prova schiacciante e mi riporta al disco precedente… E se la “Carmencita” che sembrava spernacchiare il celeberrimo canto di battaglia (“Ohi cosacca hai fatto tu la cacca / sì Vasilij ne ho fatti tre barili / fosti tu che impestasti la steppa / dove sorge il sol dell’avvenir”), fosse la cinica rappresentazione di un’aspra e puzzolente critica al modello imposto dall’Unione Sovietica?