I Matia Bazar sono un po’ come la tavola del pranzo di Natale, dove tutti erano abituati a veder seduta la padrona di casa che, ad un certo punto, se n’é andata a cucinare altrove: si consuma il rituale, ci si siede e si mangia facendo finta di nulla, nessuno lo dice, ma il cibo è molto più scadente anche perché, nel loro caso, la padrona di casa ha aperto un proprio ristorante dove cucina ancora oggi piatti magnifici e ricercati.
Certo, dimenticare i vocalizzi inarrivabili di Antonella Ruggiero è cosa impossibile quasi per definizione (“Matia” altro non è che uno dei suoi soprannomi di gioventù), ma nel corso degli anni, tra continui rimaneggiamenti della formazione e alterne vicende, i reduci dei Matia Bazar hanno comunque cercato di guardare oltre.
Sebbene la proposta sia andata via via allontanandosi dalla sofisticatezza e dallo spermentalismo degli esordi adagiandosi su soluzioni più sempliciotte, ciò ha permesso alla band di tirare onestamente a campare accompagnandosi a vocalist di rispetto anche se prive di carisma, mantenendo un certo livello di stile e conservando quell’aurea di grandeur che spetta a chi, in ogni caso, può vantare un repertorio come il loro (salvi gli svariati scivoloni in tempi recenti, come ad esempio le ultime partecipazioni al Festival di Sanremo).
Nel 2017 con la dipartita di tutti i membri fondatori del gruppo rimasti pareva che l’avventura Matia Bazar fosse giunta alla sua naturale conclusione; invece no, perché il polistrumentista Fabio Perversi, collaboratore della band dal 1999, ne raccoglie i cocci e il nome per (ri)formarne l’ennesima inutile incarnazione. Sfugge davvero il senso dell’ultima versione del gruppo, il perché della svolta giovanilistica (come se il loro pubblico di ultra-cinquantenni ne sentisse il bisogno) e la necessità di dover proseguire a tutti i costi, anche quando la redditività dell’operazione sembra palesemente avvicinarsi allo zero. Sfugge, anche perché è proprio sfuggita questa ennesima nuova vita, di cui credo nessuno abbia avuto notizia oltre se non, forse, solo gli stretti famigliari del gruppo.
Per la serie “ritorni senza vergogna” Fabio Perversi si circonda di giovani ragazzi di belle speranze e nel 2018 si ributta in pista ma oltre al marchio di Matia Bazar non c’è davvero più nulla. Il nuovo singolo Questo è il tempo (titolo che ricorda ben più note hit in ambito ecclesiale, dato che saranno almeno 6 o 7 i brani da messa con lo stesso titolo) ci consegna l’immagine di un gruppo giovanile con un signore di mezza età che non si capisce bene che cosa ci faccia là in mezzo, quasi a doverci essere per forza visto che è il proprietario della band.
La cantante, tale Luna Dragonieri (che firma il brano insieme allo stesso Perversi), fa quel che può (sgolarsi così però non fa bene, qualcuno glielo dica), ma la canzone non va oltre un piatto anonimato da sottofondo per saloni di parrucchieri, comprensibile per una formazione agli esordi che diventa però sconcertante nel momento in cui ci si ricorda che porta il nome di qualcosa che ha fatto una storia… che non c’è più.