Robin Scott M New York, London, Paris, Munich 1979

M – New York, London, Paris, Munich (1979 – LP)

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Robin Scott M New York, London, Paris, Munich 1979 Robin Scott potrebbe essere considerato una meteora del mondo della musica, il più classico dei one hit wonder, ma la mole di lavoro e pensiero dietro la sua unica hit, “Pop Muzik”, merita un filo di considerazione in più, quindi diamogliela.

Nonostante il successo mondiale sia arrivato dopo i trent’anni Robin non se n’è mai stato con le mani in mano: negli anni della scuola d’arte a Londra rinuncia ad aprire un negozio di vestiti con Malcolm McLaren e Vivienne Westwood per seguire la carriera musicale; pochi anni dopo alza qualche sterlina accompagnando alla chitarra acustica un David Bowie ancora sbarbatello; nel 1969 registra un album di country psichedelico attaccato dalla critica ma che ora non si trova sotto le 400 sterline; negli anni ’70 inizia a lavorare in radio e a suonicchiare coi Camel; nel ’72 vince una sorta di proto-X-Factor ma rinuncia ad un contratto con la EMI per non doversi separare dai suoi musicisti; a fine anni ’70 è tra i primi a Londra a cogliere il potenziale delle sonorità reggae e dub, incide un singolo abbastanza fortunato col moniker Comic Romance dal titolo “Cry Myself to Sleep” che voleva essere il lancio di un musical in levare che non ha mai visto la luce. Come avrete capito parliamo di uno che i meccanismi stritolanti della pop muzik li conosce bene.

Un musicista così bastian contrario non poteva che innamorarsi della rivoluzione del punk londinese, vive in diretta ascesa e caduta dei Sex Pistols del suo amico McLaren e poi vola a Parigi con Julian Temple per riprendere un concerto delle Slits in uno strip club, un esperienza talmente illuminante che Robin si fermò a Parigi, diventò uno dei produttori della Barclay e cominciò a mettere in piedi quello che sarebbe diventato il primo disco degli M.

Robin Scott M New York, London, Paris, Munich 1979
Robin Scott

Quelli della Barclay furono anni formativi anche dal punto di vista politico, producendo il gruppo bulgaro degli Spions (autori di una wave malatissima, da recuperare) fa amicizia col cantante Gregor Davidov, comunista convinto e teorico della propaganda in musica, da qui l’intuizione: se al di là del muro la musica passava messaggi politici, possibile che al di qua ci fosse tutta questa libertà? Evidentemente no, e secondo Scott lo scopo della musica pop occidentale era uno solo: farci diventare degli yuppie consumisti, felici e vincenti. Da qui nasce “Moderne Man”, il primo brano del futuro disco degli M, cavalcata trionfale che unisce punk, Giorgio Moroder e arrangiamenti orchestrali sfavillanti e che parla degli obiettivi sempre più immateriali dell’uomo di oggi. Il singolo non riscuoterà grande successo ma Scott va avanti per la sua strada, più che mai convinto di aver capito qualcosa di nuovo.

In questo turbinio creativo e teorico c’è un altro aspetto che solletica l’immaginazione di Scott: la musica disco. Anche se punk e new wave erano musicalmente più stimolanti e veraci Scott riconosce l’indubbio merito della disco di essere una musica alla portata di tutti e di aver portato alla ribalta le tematiche delle minoranze gay e afroamericana, ed è proprio questa estrema accessibilità che la rende, agli occhi del nostro Robin, il “battito del cuore del totalitarismo”, la perfetta fusione di musica e società dei consumi; da qui nasce, nell’aprile 1979, la canzone più frivola e allo stesso tempo impegnata degli anni ’70: “Pop Muzik”.

M New York London Paris Munich“Pop Muzik” è un capolavoro new wave fatto di coretti doo wop, arpeggi scheletrici, tastiere programmat(ich)e, big band virtuale e cantato da cartoon: una summa della musica pop degli ultimi venticinque anni, e della sua industria.

La prima strofa (“Radio, video Boogie with a suitcase Your livin’ in a disco / Forget about the rat race Let’s do the milkshake, sellin’ like a hotcake / Try some buy some fee-fi-fo-fum”) è praticamente un riassunto degli anni ’80 che ancora dovevano cominciare, Scott parla dal punto di vista di un DJ-dittatore che controlla le folle con ordini assurdi, per lui la gente che balla in gruppo non è troppo diversa da una parata militare a San Pietroburgo ma ce lo dice con una leggerezza tale che il messaggio arriva dopo, molto dopo. Nella versione su disco il brano termina con dei finti salti di puntina, costringendoci ad alzarci dal divano per controllare il giradischi, una piccola genialata extra per non farsi mancare nulla.

Tanta modernità aveva bisogno di qualcosa di nuovo ed ecco che si decide di fare un videoclip, uno dei primi, con la regia dell’esordiente Brian Grant (che da lì diventerà uno dei registi più quotati di questa nuova arte); 2000 sterline di budget bastarono per mettere in piedi un videoclip leggendario: effetti video all’avanguardia, due algide modelle/coriste e qualche bella inquadratura, per finire una parata di 45 giri fatti volare con sistematica noncuranza, predicendo la fine del formato fisico quarant’anni prima di Spotify. Il video diviene un tale classico da essere il più trasmesso dalla neonata MTV nel 1981, due anni dopo l’uscita del singolo, un eternità per la musica pop.

Il singolo scala presto le classifiche (secondo posto nel Regno Unito, primo posto negli USA), Scott gira il mondo a cantare il suo pezzo in playback e prenota uno studio in Svizzera per ultimare “New York Paris London Munich”, il primo disco degli M, nei negozi di dischi nel novembre del 1979.

A proposito, perché un nome così poco Google friendly? L’ispirazione fu la M alla fermata della metropolitana, M che raddoppiata diventa Money Market o anche Mickey Mouse, una scelta criptica che va sempre nella direzione di una rilettura dello scintillìo pop di quegli anni. Quella M, nella copertina di Jean-Baptiste Mondino diventa così l’ipotetico logo di una multinazionale cattiva e immaginaria, e che si fotta Google.

“New York Paris London Munich” è un disco che indubbiamente paga lo scotto di arrivare dopo un singolo a dir poco dirompente e nessuno dei suoi brani riesce a scalfire il primato di “Pop Muzik” a livello di vendite e novità ma sarebbe ingiusto relegare questi altri 7 brani a b-side perché di carne al fuoco ce n’è parecchia.

Per esempio c’è il terzo singolo: “Moonlight and Muzak”, nata dalle esperienze di Scott nella discografia americana dove “questi lavoratori dal colletto bianco creavano scientemente musica con la precisione del chimico di laboratorio, anni prima di Brian Eno, concentrati a massimizzare la produttività come lavoratori in una fabbrica”; un brano davvero sui generis dove le voci angeliche del ritornello si scontrano con un ritmica serrata, chitarre rock’n’roll e synth di ogni tipo, il battimano del bridge è ad opera di un certo David Bowie che passava per caso di lì.

Il battito elettronico si fa più serrato in brani come “Made in Munich” e “Woman Make Man” dove i synth richiamano palesemente gli Yellow Magic Orchestra di Ryuichi Sakamoto con cui Robin Scott collaborerà qualche anno dopo.

Grandi cose si sentono anche quando il nostro sfodera degli archi aggressivi degni degli Electric Light Orchestra, mixandoli alle pulsazioni elettroniche della disco più in voga (la già citata “Moderne Man” qui in coppia con “Satisfy your Lust”) o quando ci si ritrova nelle improbabili trame cinematografiche tra Buggles e La Bionda di “Cowboys and Indians” e nel ritrovato reggae del futuro di “That’s The Way The Money Goes”, ironico invito a spendere i soldi finché ce n’è.

A chiudere il disco l’incredibile “Unite Your Nations”: strofa beatlesiana con fiati sintetici e allegria diffusa, ritornello disco al femminile e testo che non lascia prigionieri (“While you rumba and you samba / To the party propaganda melody / A multi million dollar corporation / Starts to collar your destiny”).

Un disco divertente e maturo che trascina l’ascoltatore in un mondo divertente ma un filo distopico, una sorta di “1984” dove c’è ancora spazio per una controllata follia, il suono di questo disco getta le basi per la musica degli anni ’80 ma non verrà mai celebrato come si dovrebbe. “Pop Muzik” verrà ri-edita nel 1989 giusto per dimostrare quanto fosse terribilmente attuale, nel 2009 esce un disco di remix della sola “Pop Muzik”, simpatico ma che nulla può aggiungere ad un brano così perfetto.

Come prevedibile in questi casi il disco non vende quanto sperato e il progetto M cade un po’ nel dimenticatoio degli anni ’80, poco male: Robin Scott criticando l’industria musicale tramite l’industria musicale stessa ha fatto abbastanza soldi per fare quello che gli pare fregandosene di tutto e di tutti, come ha sempre fatto in fondo.

Tracklist:
01. Popmuzik (Nik Launay ’79 12″)
02. Woman Make Man
03. Moderne Man/Satisfy Your Lust
04. Made in Munich
05. Moonlight and Muzak
06. That’s the Way the Money Goes
07. Cowboys and Indians
08. Unite Your Nation

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  1. Caro Lanza,
    mi permetta di dissentire sulla frase “Il progetto M cade un po’ nel dimenticatoio degli anni ’80”.

    Onestamente il primo album, a parte qualche brano, non era certo un granchè a livello musicale.
    E’ con il secondo che, a parer mio, siamo vicini al “capolavoro”.
    Quel “The Official Secrets Act” che, con le sue cupe atmosfere orwelliane, i vari riferimenti agli intrighi politici presi da un punto di vista radicalmente dissociato… beh… si può ben definire un altro “Concept Album” di quelli che lasciano il segno.
    Un lavoro che, dopo l’exploit di Pop Muzik, avrebbe dovuto tentare di bissare il successo precedente a norma di copione discografico, mentre, completamente al contrario, lo Scott gioca la carta del “politicamente scorretto” e sforna un lavoro di tutto rispetto, un disco con tante canzone anche diversissime fra di loro che non si possono non ascoltare nella loro giusta sequenza.
    E io mi ritrovo, anche a distanza di decenni, a risentire spesso tutto il disco trovandoci sonorità ancor oggi moderne e brillanti rispetto a tutto quanto viene prodotto oggigiorno.
    Questo disco mi ricorda tanto il primo album dei Righeira dove, non volendo sottostare all’obbligo di classifica, i due “gemelli diversi”, complici i Fratelli La Bionda e qualche altra “eminenza grigia” rimasta anonima, si sono sbizzarriti a proporre brani come “Luciano Serra Pilota”, “Kon Tiki”, e lo stesso divertissment “Jazz Musik” che, come si potrebbe dire in gergo, rompono …il “coso” ai passeri.
    Robin Scott certo è stato molto sottovalutato nella sua carriera e non si può relegare tutta la sua storia solo al primo LP (ma solo a nome “M”: il suo primo album come Robin Scott è infatti datato 1969!) anche se di quello l’articolo discuisisce: avete per caso ascoltato “Famous Last Words”? E l’ultimo “Emotional DNA” del 2017?
    Concludo invitando chiunque non conosca “The Official Secrets Act” a procurarselo e a chi lo conosce, ma non lo ha apprezzato a riascoltarlo bene, a mente serena, a decenni di distanza dal parto.
    E magari ne udirete delle belle… 🙂

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