La megalomania di Adriano Celentano non è mai stata una sorpresa, e questo Joan Lui ne fu la manifestazione più tangibile nonostante la pellicola sia oggi caduta nel dimenticatoio al contrario di altri suoi lavori cinematografici di maggior successo; sta di fatto che né la travagliata produzione né gli incassi disastrosi sminuirono di un millimetro l’ego smisurato del Molleggiato.
Dopo 15 anni di successi in hit parade negli anni ’80 il nostro Adriano subisce il fascino della settima arte che gli regala tanti successi come attore in film campioni d’incassi (Il bisbetico domato, Asso, Innamorato pazzo, Bingo Bongo, Grand Hotel Hexcelsior e Lui è peggio di me), mentre la musica passava inesorabilmente in secondo piano.
Pare quindi normale la gestazione di un nuovo film scritto, diretto, montato, musicato e interpretato da lui stesso, così come fece nel 1975 con il fortunato Yuppi Du. Questa volta però poteva vantare, oltre alla fama di cantante, anche quella di attore di successo, il che gli permise di realizzare nel 1985 il suo sogno nel cassetto: un kolossal da 20 miliardi di lire (che oggi sarebbero poco meno di 30 milioni di Euro), un costo esorbitante per il cinema italiano dell’epoca.
Come un novello Re Mida dello spettacolo, in quegli anni il Molleggiato nazionale trasformava in un successo ogni cosa a cui si prestasse (commediole cinematografiche, canzoni svogliate e apparizioni televisive), tanto che i Cecchi Gori gli diedero carta bianca per realizzare questo Joan Lui – Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì, un progetto che aveva in cantiere da anni.
Il risultato furono oltre due ore e mezza di tutto e di niente, in una fusione delle cose più disparate: elementi religioso-profetici con un Satana giapponese opposto a Adriano Celentano nella parte del nuovo Messia, critica sociale populista, ecologismo generalista, scenografie imponenti, la Guerra Fredda e un finale horror splatter. Un frullato impazzito di generi e tematiche che nonostante sia costato l’ira di Dio (tanto per rimanere in tema) ha rappresentato uno dei più grandi flop della storia del cinema italiano (incassò poco più di 7 miliardi di Lire).
Per i fortunati che non avessero visto la pellicola è davvero difficile capire quanto il film sia talmente saturo di eventi e di scene memorabili che è impossibile citarle tutte, per questo abbiamo deciso di riassumere la trama in alcune macrosequenze per dare un’idea di un film che sembra l’opera di un folle megalomane:
L’arrivo
In un preambolo che ha un non so che di spaghetti western vediamo un misterioso figuro di nome Joan Lui (Adriano Celentano) a bordo di un vecchio treno a vapore interamente occupato da persone di colore: cappottone nero, camicia sdrucita, immancabili stivaletti di pelle e un’improbabile sciarpa legata intorno alla testa; dopo essere stato servito in malo modo con del riso crudo (unica pietanza disponibile nel menù del treno) e additato come «sporco bianco» deve scendere dal treno perché «qualcuno ha rubato i binari» ed è così costretto a proseguire il suo viaggio a piedi in un paesaggio selvaggio.
Attraverso un sottopassaggio Joan Lui arriva in Italia trovandosi però davanti a uno scenario apocalittico da guerra civile quasi fossimo nel primo Mad Max con tanto di elicotteri militari, sparatorie, rapimenti, degrado urbano e auto che esplodono a raffica (esattamente quello che proporrà durante il suo intervento al festival di Sanremo 2012). Subito capiamo la provenienza divina del protagonista, infatti quando la polizia (vestita da SS) cerca d’identificarlo nel database, parte “Astro del ciel”. In tutto questo a Joan Lui sembra l’occasione giusta per farsi sentire cantando una canzone disco-rock (che per inciso scopiazza male Giorgio Moroder) sulla decadenza dell’essere umano nella società contemporanea.



La fama e i primi miracoli
Una voce fuori campo s’intromette creando un buco logico-spazio-temporale e di sceneggiatura, spiegandoci che grazie alle sue canzoni impegnate più parlate che cantate Joan Lui è divenuto un artista famoso in tutta Italia e una misteriosa affarista di nome Judy (Marthe Keller) gli propone un ricco contratto musicale che lo fa conoscere in tutto il mondo.
Joan Lui (che inspiegabilmente alcuni personaggi chiamano John) si esibisce in una chiesa ormai divenuta una discoteca (profeticamente chiamata Il Tempio), piena zeppa di libidine ed eroina con una coreografia di suore vestite da piacenti odalische, dove inizia a cantare nel suo tipico inglese tanto scombiccherato quanto spettacolare, ma nessuno comprende la sua lingua (ipotizzato da alcuni come aramaico) mentre lui si difende «Lo so che non capite ciò che sto dicendo, del resto non l’avevate capito neanche quando venni la prima volta» confermandoci quindi che egli è il Messia. Nel frattempo si scatena una tempesta e nel delirio collettivo Joan Lui si mette a curare storpi e ciechi con la semplice imposizione delle mani improvvisamente piagate dalle stigmate.
A questo punto Joan Lui chiede al presidente della Nazione di ricevere due telecamere che lo seguano costantemente affinché, a comando in qualsiasi momento, possa connettersi in diretta sulle televisioni mondiali per lanciare i suoi messaggi «senza dover andare casa per casa» (quello probabilmente lo lasciava ai Testimoni di Geova). Nel frattempo raccatta degli inseparabili seguaci: un tassista che sente il bisogno, inspiegabile, di seguirlo e il buon Winston (rispettivamente Mirko Setaro dei Trettrè e Gian del duo comico Ric e Gian, impossibile prendere sul serio la cosa). I tre fanno così visita a tale Jarak, una specie di santone giapponese (nientepopodimeno che il caratterista Hai Yamanouchi) che lascia intendere di essere il Diavolo e (guarda caso) di conoscere già Joan Lui che tenta, senza successo, di piegare alle leggi mondialiste del business, basate sullo sfruttamento, la droga, la prostituzione e le armi.



La diretta televisiva
Dopo un’ultima cena d’iconografia leonardiana, Joan Lui procede con la prima diretta televisiva, ma rimane in silenzio senza dire nulla (cosa che Adriano Celentano farà due anni dopo a Fantastico 8); nonostante ciò il suo intervento registra «il più alto indice d’ascolti della storia della televisione» venendo lodato poiché finalmente viene dato un monito ai politici che al contrario «parlano parlano e non concludono mai niente». Nella seconda diretta invece dice in maniera epigrafica di «non uccidere» in quanto, afferma, nessuno in TV l’hai mai detto prima. Inoltre in una scena abbastanza inquietante Joan Lui fa scoprire in maniera quasi sibillina un treno pieno di feti umani destinati ad essere clandestinamente utilizzati per farne cosmetici e crudeli esperimenti (guarda caso sulla spedizione del carico c’entrava il Satanasso orientale).
A spezzare la tensione per un attimo arriva una breve scena che da sola vale il prezzo del film: Joan Lui ha una visione musicale di Claudia Mori che corre e danza nei pressi di un fiume vestita con le bandiere dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti che poi getterà via.
L’assassinio e l’epilogo
il progetto di Joan Lui di ostacolare il male non va giù al malefico Jarak che quindi telefona a Joan Lui dicendogli che questa sua strampalata idea va contro le leggi naturali e che quindi sarà costretto a fermarlo con la forza. Quindi cosciente della propria fine Joan Lui organizza un’ultima diretta televisiva in cui, nel classico stile celentaniano a metà tra predica confusa e flusso di coscienza, critica i partiti per il loro continuo dividere le persone invece di unirle e ammonisce la gente comune che sceglie i leader sbagliati e li mantiene al potere e che tanto non riuscirebbe nemmeno a riconoscere Gesù Cristo se arrivasse di persona. Il delirio di onnipotenza di Adriano Celentano si palesa al massimo grado quando detto ciò cade morto assassinato da un sicario.
Come da copione però Joan Lui/Gesù Cristo/Adriano Celentano risorge puntualmente mentre si scatena un terremoto e una slavina di didascaliche citazioni bibliche. All’ennesima canzone, questa volta incentrata sulla fine del mondo, il Maligno si caga letteralmente in mano lanciando i propri escrementi contro una croce su cui aveva crocifisso poco prima un simulacro di Joan Lui, al grido di «questa è la merda del mondo e tu devi mangiarla!» (detto con tanto di stereotipato accento giapponese). Si tratterà di vanagloria visto che Jarak verrà immediatamente colpito da una triade di raggi laser usciti dalla croce che lo trasformano in un serpente con effetti speciali degni della peggiore carnevalata anni ’80. Ma non è tutto: subito dopo Judy, la donna che aveva scoperto il suo talento di musicusta-profeta, gli restituisce addolorata trenta denari scoprendo quindi di essere la reincarnazione di Giuda Iscariota (!) mentre Joan le assicura comunque un posto in paradiso. I minuti finali si consumano in un’Apocalisse splatter, tra arti amputati e gente che viene risucchiata nel sottosuolo. Fine.



Il progetto era senza dubbio una delle cose più opulente e ambiziose che siano mai state concepite per il cinema italiano e Adriano Celentano stesso era realmente convinto di poter dare un messaggio al mondo intero che avrebbe potuto cambiare qualcosa nel concreto, ma il tutto fallì miseramente su ogni livello, complice una sceneggiatura scombinata e confusa, regia inesperta, ma soprattutto troppa carne al fuoco; la pellicola ha l’ambizione di parlare di tantissimi argomenti tutti diversi tra loro, trattandoli in maniera sommaria, populistica e didascalica (il Comunismo, l’aborto, la droga, la guerra fredda, l’etica umana occidentale, il potere della televisione e dei mezzi di comunicazione, la religione…)



Le ragioni del fallimento si aggravarono dopo l’uscita del film nelle sale. Infatti dopo 8 lunghi mesi di riprese a singhiozzo che sprecarono ampie porzioni del budget, il film venne fatto uscire non a caso il giorno di Natale (il compleanno di Joan Lui?) del 1985 dopo un’intensa e dispendiosa promozione nazionale e venne distribuito nei cinema grazie a degli elicotteri appositamente prenotati per l’occasione, ma fu solo l’inizio dei guai.
A causa del lavoro fatto in fretta e furia per farla uscire in tempo la pellicola presentava evidentissimi difetti di produzione e un montaggio assai approssimativo. Visti quindi i miseri incassi del film nei primi giorni di programmazione i produttori decisero, all’insaputa di Adriano Celentano, di distribuire una versione ridotta della pellicola cercando disperatamente di rendere il film più fruibile al pubblico che si attendeva la classica commedia leggera.
Tutto questo non solo non servì a salvare l’insalvabile, ma peggiorò ulteriormente la situazione con gli spettatori ancora più confusi per via di una trama ancora più incomprensibile. Il colpo finale fu dato, oltre che dai giudizi estremamente negativi da parte della critica, anche dalla pubblicità negativa che venne data dalle istituzioni e dalla politica del tempo (sopratutto la frangia cattolica) la quale giudicò il film blasfemo e immoralmente demagogico, rendendolo un piccolo caso nazionale. Venuto a sapere di questa nuova versione non autorizzata il Molleggiato decise di bloccarne la proiezione e fare causa agli ex-produttori Cecchi Gori per oltre 10 miliardi di Lire con la motivazione di avergli irrimediabilmente danneggiato l’opera e la carriera. Nonostante il flop commerciale di proporzioni gigantesche il film ottenne, inspiegabilmente, un certo successo in Germania e in Russia, da sempre avide del nostro made in Italy.



Tra le poche cose da salvare in tutto questo, quantomeno abbiamo le musiche di Celentano, a metà tra cantautorato rock, new wave e musica elettronica, tutte pubblicate nell’album omonimo scritto appositamente per il film. L’ennesima prova che Celentano quando canta è (quasi) sempre eccezionale, da attore non è affatto male, ma è assolutamente terribile quando si improvvisa predicatore, mostrando puntualmente un narcisismo egomaniaco di livelli estremi, tanto da arrivare ad auto-identificarsi con Gesù Cristo in una maniera neanche tanto velata, il che è ben diverso dal semplice recitarne la parte come (vedi ad esempio il più famoso Jesus Christ Superstar).
Ammettiamolo: i concetti espressi dal film e i messaggi filosofici e socio-politici avrebbero pure un loro senso, per quanto semplificati e banalizzati, ma la cosa che sconcerta maggiormente è il fatto che il messaggio diventi inscindibile dal suo ambasciatore, presentandoci Joan Lui/Adriano Celentano come l’ultimo dei profeti arrivato a far aprire le orecchie alla gente. A tutto ciò si aggiunge il difetto di prendersi troppo sul serio in maniera del tutto sfrontata e presuntuosa, ancora più sbagliata tenendo conto che abbiamo di fronte la stessa persona che ha realizzato film come Yuppi Du o Bingo Bongo.
Terminata rovinosamente la carriera di regista, Adriano Celentano non mancherà di dire la sua su qualsiasi tematica di attualità nelle occasionali ospitate nei programmi Rai in prima serata, evidenziando così nella sua tenacia la perfetta evoluzione dei monologhi televisivi del profeta Joan Lui; personaggio insolito entrato nella storia del cinema nostrano, protagonista di un film impossibile da prendere sul serio su quasi ogni piano.
Enigmatico, personalissimo, irrisolto ma anche estremamente interessante e divertente. Indiscutibilmente un vero unicum.