Ho sempre nutrito un certo disappunto riguardo al fatto che un artista come Ivan Graziani non sia mai stato oggetto di celebrazioni postume adeguate dopo la sua prematura scomparsa nell’anno 1997, come invece è stato fatto con altri compianti cantautori nostrani come ad esempio Rino Gaetano.
Senza nulla voler togliere a quest’ultimo infatti, il rocker teramano ha costellato la sua carriera di brani di grande spessore artistico e musicale, sia quando accendeva gli amplificatori (“Monna Lisa”, “Dr. Jeckill & Mr. Hyde”, “Tutto questo cosa c’entra con il R’n’R?”) ma anche quando dipingeva struggenti ritratti femminili (“Paolina”, “Agnese”, la Marta di “Lugano Addio”, la cruda “Dada”), storiacce di provincia ruspanti (“Motocross”, “Gabriele D’Annunzio”) o ballate colme di immaginario pop-olare (“I Lupi”, “Pigro”, “Firenze”).
Ex chitarrista di Lucio Battisti e fine arpeggiatore con un orecchio a Memphis e l’altro alla musica popolare, Ivan Graziani non è stato del tutto esente da divertissement demenziali soprattutto nell’ultima parte della carriera, ma in ogni caso il suo talento ironico e dissacrante e la sua lingua affilata evitavano di far sprofondare il tutto nel kitsch italico.
È il caso di “Poppe Poppe Poppe” (indovinate di che cosa si parla), brano tratto dall’album “Malelingue” del 1994, ultimo e certamente non uno dei più memorabili LP di Ivan. Il pezzo è in pratica un elogio tout-court alla mammella femminile descritta come un’ossessione nata in età puberale e protratta negli anni a venire dalle visioni di procaci professoresse, donne prèsidi “con spade nella camicia”, giornaletti sexy e calendari da barbieri, salvo poi concludere filosoficamente che “al mondo ci sono troppe poppe”. E via così su un saltellante tappeto rock-blues, con Ivan che declama elogi sperticati al seno femminile “rigoglio sano di femminili ormoni, colline bianche e solchi misteriosi” icone di maschi allupati e poi scollature, panettoni e tette ricoperte di schiuma…
Insomma, un pezzo minore del repertorio di Graziani, ma in effetti sul contenuto intrinseco di un testo come questo chi di noi maschietti avrebbe qualcosa da obiettare? Chi non ha mai sbirciato nella camicetta della sconosciuta che si china di fronte a noi in autobus? Chi non ha mai abbassato lo sguardo sulle rotondità della cassiera allo sportello? Sicuri? Su, che non me la raccontate giusta… Questa canzone è frizzante come un supplemento estivo di Playboy e nonostante tutto suona schietta come uno specchio che ritrae il Satiro Marpione nascosto in ognuno di noi.
Ci mancherai, Ivan!
Poppe
Ma io non so com’è nata
questa cosa qui e quando mai è cominciata.
Sarà stata mia zia con quei seni anni cinquanta
a contagiarmi in questa mia mania.
Poppe, poppe, poppe
Poi la mia prof. di Petralia di Sotto
che aveva due tette che sembravano quattro.
E cosa dire della Preside, laureata in Ostetricia
aveva due spade proprio dentro la camicia.
Scollature, panettoni
rigoglio sano di femminili ormoni
colline bianche e solchi misteriosi
dove si appuntano gli sguardi dei golosi
perché al mondo, al mondo ci sono troppe poppe
E mi ricordo dal barbiere le donnine profumate
con quelle tette da illusioni disperate.
E dal meccanico della Pirelli il calendario
aveva in copertina un seno leggendario.
E non ho mai guardato più in giù della cintura
perché è di sopra che si esprime la natura.
E io voglio annegare nella gommapiuma
su due tette ricoperte di bagnoschiuma.
Scollature, panettoni
rigoglio sano di femminili ormoni
colline bianche e solchi misteriosi
dove si appuntano gli sguardi dei golosi
perché al mondo, al mondo ci sono troppe poppe
That’s right.