È probabilmente quasi impossibile trovare nella discografia mondiale un documento analogo a questo C’è una casetta piccina (sposi) di Giancarlo Magalli, con un valore di vendite praticamente allineate allo zero assoluto e con un altrettanto zero assoluto di contenuto artistico. Eppure questo prodotto ha tanto da insegnare, per comparazione, a roboanti dischi di platino, opere maudit o bootleg introvabili: questa microscopica iniziativa merceologica ha in nuce, difficile a credersi, vertiginosi concetti sociali, economici e anche politici, a scapito (o a favore) dell’assoluta invisibilità.
Avremmo potuto liquidare C’è una casetta piccina (sposi) con facile ironia, deridendone il sound midi-Bontempi (prodotto dal geniale Claudio Simonetti che comunque ogni tanto qualche svista l’avra pure fatta) scopiazzato da qualche sigla per cartoni animati, con un Giancarlo Magalli che canta sommessamente dietro ad un coro. Sembra voglia quasi nascondersi, va e viene e perde pure il primo stacchetto; l’effetto è come se qualcuno cantasse da un’altra stanza e stentamente si percepisce cosa intoni.
Artisticamente, in effetti, un po’ poco. Ma questa non è musica da ascoltare, bensì musica da ricercare.
Domani sposi è stato un programma TV trasmesso dalla RAI dall’ottobre 1988 al marzo 1989, seguito da una media di oltre 3 milioni di spettatori, in onda dal lunedi al venerdì in preserale. Uno di quei tanti show per stomaci forti che ci invidiano in tutto il mondo. L’intreccio narrativo verteva su due coppie prossime al matrimonio che si sfidavano a suon di giochini sempre più scemi durante la settimana, per cercare di vincere un’agognata luna di miele. Insomma una consolante competizione coniugale vorticosa e spasmodica, con i sentimenti più intimi ben sbandierati in piazza (oggi diremmo “social”) e con tante cortesie a effetto e di facciata.
Chi meglio di Giancarlo Magalli poteva condurre questo capolavoro? Un personaggio bonario, innocuo, accomodante, ma anche un cantante improvvisato che ha omaggiato coercitivamente i 3 milioni e rotti di telespettatori con la sigla del programma stesso per ben sei mesi: stiano parlando della già citata C’è una casetta piccina (sposi), pubblicata per qualche strana ragione anche su 45 giri.
Dietro questa apparente cortina sonnolenta e inerte c’è qualcosa che ha un po’ dell’incredibile, se non del torbido. La canzone infatti è la cover di un brano di Alberto Rabagliati pubblicato nel lontano 1941; fin qui poco male se non fosse che la canzone di Rabagliati venne utilizzata dal governo fascista come inno della campagna demografica dei tempi. Forse in via Teulada pensarono di tradurre il MinCulPop fascista in una sorta di cultura pop in salsa nazional-popolare, in un ideale continuum col “ventennio” a forma di quiz-show per famiglie o semplicemente, di riffa o di raffa, l’hanno buttata lì insieme a tutti i preziosismi di quell’imperdibile programma.
Questa C’è una casetta piccina (sposi) mostra un Giancarlo Magalli non tanto e non solo come un presentatore per tutte le stagioni e un conduttore di melense futilità televisive seriali, ma forse delinea anche uno spregiudicato e inaspettato operatore discografico al soldo del potere che opera nell’ombra? Difficile dirlo. Probabilmente gli avranno solo chiesto di cantare la canzone per tagliare i costi di produzione.
Tony Maniccia