Parlare di Adriano Celentano non è impresa facile essendo un personaggio dai mille volti e difficilmente inquadrabile: interprete carismatico, divertente caratterista, modestissimo regista e sceneggiatore, presentatore televisivo sopra le righe e, ovviamente, predicatore.
Messo da parte il culto del personaggio, costruito con machiavellica efficacia nel corso dei decenni, non è che rimanga poi questo granché, eccezion fatta per qualche buon 45 giri scrittogli su misura, oltre ovviamente alla grandiosa “Prisencolinensinainciusol” che col senno di poi sembra più una botta di culo che vero talento.
Nel 1972 il nostro è giovane, ricco e famoso. Una miscela particolarmente esplosiva per un trentenne sicuramente abile a muovere gambe e bacino, ma con scarsa, scarsissima proprietà di linguaggio, sopperita però da un ego tendente a più infinito.
“Fanculo tutti! Ora le canzoni me le scrivo io!”, così deve aver pensato Adriano prima di entrare in studio per registrare l’album dal profetico titolo “I Mali del Secolo”, primo tentativo di vero cantautorato celentanesco che nelle intenzioni avrebbe voluto essere un disco di protesta per mettere alla berlina inquinamento, caccia, decadimento morale, sostanze stupefacenti e speculazione edilizia. In fondo per fare del rock’n’roll basta una chitarra e tanta attitudine. Beh, più o meno…
Il problema di fondo, un po’ come avviene durante i suoi sermoni televisivi in diretta nazionale, è il passaggio da “concetto” a “locuzione”. Una sorta di “lost in translation” tra bocca e cervello. Diciamo che l’idea di fondo non sarebbe (il più delle volte) disprezzabile, ma il passaggio attraverso l’apparato fonatorio la rende patetica.
Il risultato è, nel migliore dei casi, un farfugliamento di ovvietà imbarazzanti a sfondo sociale, miste a pseudo-cattolicesimo ecologista, buone forse per un campo scout estivo.
Il punto più basso del Celentano-pensiero dell’epoca lo possiamo riassumere nei quattro minuti abbondanti de “La Siringhetta”, canzone che, sì, è proprio come pensate, parla di droga come lo farebbe vostro nipote di 5 anni.
Il nostro eroe non solo addita allegramente come subumani i tossici che si “fanno” (“come uomo non valgo molto anzi poco, quasi niente se non buco la vena”) o meglio che spingono “la siringhetta nella venetta”, ma dimostra particolare ignoranza sugli effetti degli oppioidi che non creano affatto allucinazioni o distorsioni percettive, come cerca di farci credere (“ora mi sento più leggero dell’aria dal mio terrazzo del sesto piano prendo il traffico con una mano, ora so cosa fare noi dobbiamo volare!”), causa, a suo dire, di morti violente dovute a gente che si getta dalla finestra dopo uno “schizzo” pensando di poter volare.
Si salva giusto l’arrangiamento di Detto Mariano, suonato da Gianchi Stringa e Gianni Leone del gruppo prog Il Balletto di Bronzo, che probabilmente in quel momento avevano bisogno di soldi altrimenti non si spiega la collaborazione con il Molleggiato. Ultima curiosità, ai cori una giovanissima Giuni Russo!
Adriano, è (quasi) meglio che canti.
La Siringhetta
Sono le quattro e ho bisogno di un po’ di droga,
presto o mia cara corri a prendere la siringhetta,
non ce la faccio neanche a parlare.
Mia cara mia aiutami a spingere
la siringhetta dentro la venetta
così la mente mia vola subito via.
Così dimentico che come uomo
non valgo molto anzi poco,
quasi niente se non buco la vena!
Sono ormai schiavo di questo piccolo ago d’acciaio
che quando morde col suo veleno vedere ti fa
un mondo che poi non esiste si sa, oh che fregata!
Ora mi sento più leggero dell’aria
dal mio terrazzo del sesto piano prendo il traffico con una mano,
ora so cosa fare noi dobbiamo volare!
Mia cara mia apriamo le ali
questo è il momento di andare in alto e guardare da su
quel che succede giù, come è bello volare!