Intollerabili come i Green Day non ne esistono. Prima giovani e innocui alfieri ossigenati di un pop punk senza contenuti di alcun genere, poi miliardari annoiati dai loro stessi quattro accordi e infine alle prese con la scrittura di tre o quattro dischi di scialbe invettive politiche per massimizzare i profitti nei prossimi quattro anni.
Tre imbecilli capaci persino di rinnegare l’unico disco buono prodotto nella loro disastrosa carriera ventennale, stiamo parlando di “Money Money 2020” dei fantomatici The Network, uno dei rari casi in cui il side project supera l’originale, qui probabilmente ci voleva poco, ma vediamo come sono andate le cose.
Nel 2003 era prevista l’uscita di “Cigarettes and Valentines”, atteso seguito del mezzo flop di “Warning” ma succedono due cose: nel novembre del 2002 un ladro filantropo e amante della musica fa sparire i master del disco ormai praticamente pronto e i tre, interpretando la cosa come un segno del destino, decidono di accantonare il progetto. A settembre del 2003 la Adeline Records (di proprietà del frontman Billie Joe Armstrong) fa uscire l’esordio di questi misteriosi The Network; nonostante in alcuni pezzi si senta chiaramente la voce nasale dello stesso Billie Joe lui nega tutto sbraitando degli eleganti “Fuck the Network!” ogniqualvolta qualcuno li accosti al suo gruppetto inutile, l’unico ad ammettere il coinvolgimento in questo disco stranamente buono è il bassista Mike Dirnt.



“Money Money 2020” è sostanzialmente un disco post-punk allegro e superficialmente distopico che parla di affamate modelle robot, futuri spastici e hamburger liofilizzati ma senza farcela pesare troppo, un po’ come se Gary Numan si facesse accompagnare dai Ramones musicando dei testi di un Philip K. Dick che si sforza di divertirsi.
Si parte così col riff suadente di “Joe Robot” che è puro Tubeway Army, passando per la vitaminica “Transistors Gone Wild” e per “Reto”, un chiaro omaggio ai Devo più fantascientifici, “Roshambo” è la perfetta fusione di suggestioni ottantiane con un ritornello pestato e piacevolmente anni ’90, e a ingolosire il tutto anche una bella cover dei Misfits; che chiedere di più?
Se il songwriting è grezzo proprio come quello dei Green Day, le atmosfere sintetiche, l’andamento marziale e gli arrangiamenti spaziali trasformano un disco certamente non originale in un piccolo trattato di post-punk perfetto per noi noiosi waver in là con gli anni, ma anche abbastanza facilone da avvicinare sbarbatelli poppunkettoni a proposte più nobili e innovative.
Un disco brillante di cui qualsiasi gruppo andrebbe fiero, tranne ovviamente i Green Day. Oltre al fatto che la voce della maggior parte dei brani è incontrovertibilemente di Billie Joe Armstrong ci sono un sacco di dettagli che li inchiodano, eccone alcuni:
- Il sito ufficiale del gruppo è di proprietà della Green Day Inc;
- i Foxboro Hot Tubes, ruspante e legittimato side project dei Green Day dalle tonalità più garage, suonano più volte alcuni pezzi dei The Network nei loro live;
- Nelle foto promozionali dei The Network è impossibile non riconoscere l’importante naso del batterista Tré Cool e il volto di Billie Joe malcelato da una sorta di passamotagna a strisce;
- I nomi d’arte sono tutti riciclati da altri side project dei Green Day;
- La Warner Bros. stessa ammette senza troppi problemi che i tre sono accreditati come autori dei brani;
- Billie Joe Armstrong che, ricordiamo, ha prodotto il disco con la sua etichetta a un certo punto rilascia queste dure parole: «I just wanted to talk about the rumors and the bullshit that has been going on lately. All I gotta say is fuck The Network. These guys are totally spreading rumors. I try to do those guys a favour by bringing them to this country and putting out their record and this is how I get repaid, by talking shit about my band. Unfortunately there is a contract and I have to put out their record. The only thing I can say is Fuck you, Network. Bring it on.»
Quindi, siamo davanti ad un intelligente operazione di marketing artistico, un riuscito divertissement cazzaro di tre annoiati musicisti miliardari? O l’aver alzato l’asticella e attirato un pubblico più esigente ha in qualche modo sminuto il già fin troppo elementare rockettino da stadio dei Green Day portando a questa violenta rimozione?
Nonostante la scarsa stima per i tre di Berkeley propendiamo per la prima, forse questa cosa non ce li renderà meno intollerabili e non ci farà ascoltare il nuovo “American Idiot 2.0” ma ai nostri occhi li porterà di un piccolo punticino sopra l’inutilità.
Tracklist:
01. Joe Robot
02. Transistors Gone Wild
03. Reto
04. Supermodel Robots
05. Money Money 2020
06. Spike
07. Love And Money
08. Right Hand-A-Rama
09. Roshambo
10. Hungry Hungry Models
11. Spastic Society
12. X-Ray Hamburger
13. Teenagers From Mars (Misfits cover)
14. Hammer Of The Gods