In tempi di crisi profonda dell’industria discografica sentivamo il bisogno di un album di Manlio Sgalambro? A 77 anni, dopo una recente carriera concentrata di vana et futilia come paroliere per Franco Battiato, il filosofo-poeta di Lentini sembrerebbe buttarsi a bomba nel mondo della musica con questo CD di cover. In realtà, come il titolo Fun Club suggerisce, si tratta di un gioco borderline tra l’imbarazzante e la parodia.
Senza sorpresa troviamo alla produzione e agli arrangiamenti proprio il suo amico/discepolo di una vita: quel Franco Battiato qui intento a fornire un morbido e convincente tappeto sonoro per l’attempato cantante che debutta alla tenera etá delle quasi 80 primavere.
Le sorprese però sembrano finire qua, infatti, a parte una inspiegabile versone di Me gustas tu su cui torneremo, le canzoni scelte provengono direttamente dalla giovinezza del filosofo. Troviamo quindi cover di classici della musica italiana (Trio Lescano, Quartetto Cetra), internazionale (Louis Armstrong, Édith Piaf) e tanti brani arcinoti da famosissime colonne sonore dagli anni ’30 agli anni ’60 (Casablanca, Colazione da Tiffany, Gli uomini che mascalzoni…, Cappello a cilindro).
Una provocazione ben confezionata, assecondata da musicisti di prim’ordine e dall’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo o un regalo a un vecchio amico? L’intenso rapporto personale e artistico tra Sgalambro e Battiato farebbe pensare alla prima ipotesi, ma quando arrivano le note dell’orripilante Me gustas tu viene naturale pensare che sia una semplice vaccata. Un innocente divertissement tra amici.
La folle cover del (pessimo) tormentone di Manu Chao piazzata a tradimento tra il Trio Lescano e il Quartetto Cetra è come un rutto in un confessionale. Il non plus ultra del pessimismo materialista in formato pop.
Pur non raggiungendo abissi così profondi quando il filosofo gioca con l’inglese, sfoderando una pronuncia degna di Aldo Biscardi, le cose continuano comunque in maniera drammatica con le strazianti versioni di We Have All The Time In The World, Moon River e As Time Goes By . Stesso discorso vale ovviamente per il francese ed ecco quindi che La vie en rose e La mer diventano poco più di rantoli inintelligibili.
Sui brani in italiano le cose vanno un pochino meglio (ovviamente), ma non di molto a causa di un accento siculo davvero troppo marcato e soprattutto per la voce legnosa come una sequoia secolare rendendo piatte le melodie sinuose di brani come Ciao pussycat, Camminando sotto la pioggia o Donna. Impensabile che qualcuno possa aver solo pensato che la voce sgraziata, sfiatata e gracchiante di Manilo Sgalambro potesse davvero trovare estimatori al di fuori di una ristretta cerchia di completisti delle produzioni di Franco Battiato o degli amanti dei nonni che cantano durante la vendemmia.
Ad onor di cronaca in paio di momenti questo baraccone snob-intellettuale sembra quasi funzionare: Non dimenticar le mie parole e Parlami d’amore Mariù sono indubbiamente dotate di un certo fascino, ma siamo sicuri che sia per il valore intrinseco o per il nulla di cui sono circondate? Sicuramente non bastano a giustificare l’acquisto di questo album che alla fine dei conti suona come una provocazione fine a se stessa.