Ho tra le mani questo Gast(Rock)nomia da un anno ma non ho mai trovato il tempo di scriverne. Un vero peccato perché è un saggio di circa 200 paginette, divertente e intrigante, in cui si parla di storie, aneddoti e parallelismi tra musica e cucina, ma con una logica “emozionale”: passioni, aromi, luoghi, disguidi.
Un modo altro e diagonale per parlare di musica che a noi piace molto. Quindi quale migliore occasione per fare due chiacchere con l’autore John N. Martin?
John, il tuo primo libro parlava di architettura e di movimenti sociali, il secondo di rock progressivo e il terzo di musica e cucina. C’ è per caso un filo conduttore?
Semplicemente uso la scrittura per trasmettere e condividere le mie grandi passioni e giustapporle su diversi piani. Così. Da Analista di Sistemi Urbani quale sono, il primo passo è stato mettere insieme la storia di Milano con i movimenti antagonisti ne La Luna sotto casa” (Shake, 2007), scritto a quattro mani con Primo Moroni. Poi, visto che alle culture alternative mancava una colonna sonora, arriva Il libro del prog italiano (Giunti, 2013) commissionatomi personalmente da Riccardo Bertoncelli. E alla fine ti guardi allo specchio, vedi che la tua maggiore passione è la cucina (spignatto da più di trent’anni), e allora cerchi i rapporti tra musica e cucina. Nasce così Gast(Rock)nomia (Arcana, 2014).
Il prossimo libro? Vedremo. Per ora posso solo dirti che dopo tanti anni di saggi vorrei misurarmi con un romanzo.
Quello che ho trovato particolarmente accattivanete e riuscito è lo stile che accavalla spesso situazioni diverse. Il libro infatti parla del rapporto tra musica e cucina, ma non in modo puramente didascalico.
Infatti, pur essendo di base un autore di saggi, quindi piuttosto rigoroso in quanto a date, nomi, avvenimenti eccetera, non amo molto la loro ortodossia che spesso li rende pesanti, se non proprio noiosi. Per cui, al di là della precisione storica, cerco sempre di stimolare la fantasia del lettore: contaminando ad esempio il racconto con elementi mutuati dalla cultura popolare o dalla oral history, alternando scenari e percezioni, sovrapponendo livelli narrativi e via dicendo. Un linguaggio per così dire “rock”, insomma. Un po’ come quello che utilizzò Sofia Coppola nel film Marie Antoinette, dove la new wave inglese degli anni ottanta accompagnava fatti avvenuti nel Settecento. Del resto il rock è soprattutto immaginazione, e sarebbe un reato dimenticarlo.
Onestamente: non è che ti sei lasciato influenzare da questa “moda dei cuochi” che è scoppiata da qualche anno a questa parte?
Mentirei se ti dicessi di no, ma è anche vero che avevo già in testa di scrivere Gast(Rock)nomia diversi anni fa, dopo che lessi la biografia di Gualtiero Marchesi, noto gourmet-melomane, e un libro su musica e pittura. Il successivo boom dei cooking show mi ha solo spronato a passare definitivamente all’azione.



Da amante ed esperto di rock progressivo italiano di cui parli dettagliatamente anche sul tuo sito ClassikRock come potrebbe essere un “menu progressivo”? E con queli bevande lo accompagneresti?
Vedrei bene un menu barocco modernizzato: con sapori diversi ma concertati, riconoscibili, innovativi e soprattutto presentati in modo principesco: come alcune creazioni di Ferran Adrià o di Gualtiero Marchesi che sembrano dei quadri metafisici. Oppure come certi piatti della cucina Thai che riescono ad accordare oltre venti spezie diverse e mettono appetito solo a guardarli.
Per quanto riguarda le bevande, vini in particolare sui quali ho competenze piuttosto modeste, preferirei invece affidarmi a un esperto (se non a un sommelier) che armonizzi commestibile e potabile come in un concept album degli anni settanta. Più progressivo di così…
E se dovessi consigliarci un “disco gast(rock)nomico” per eccellenza quale sceglieresti?
Direi Hamburger Concerto (1974) dei Focus, dove ogni movimento della suite era intitolato come un livello di cottura dell’hamburger: rare, medium e well done.
Per chiudere, abbiamo visto che nel libro ci sono momenti e situazioni un cui musica e cucina non vanno assolutamente d’accordo. Ad esempio nella tua lista dei “peggiori dischi per cucinare”. Dunque: cosa sconsigli caldamente di ascoltare quando si cucina?
Personalmente consiglio sempre di cucinare concentrati e nel silenzio più assoluto. Ma se proprio non si può fare a meno della musica, che almeno sia funzionale alla preparazione. Chessò: il rock/metal per una grigliata, Mozart per una mousse di fragole, o quello che vi pare. Di sicuro, le poche volte che ho provato a cucinare ascoltando qualcosa, ho scoperto che i Gentle Giant mi distraevano troppo, James Brown mi provocava degli scatti motori improvvisi con conseguente rischio di tagli e ustioni, mentre Leonard Cohen, Damon Albarn o i Tangerine Dream mi deprimevano sino all’assopimento e il risotto si bruciava sulle note di Phaedra.
Quando si cucina, insomma, la musica è meglio immaginarla. Conviene, ed è molto più sexy.
Come giusto compendio non potevamo esimerci dal proporvi una nostra personalissima colonna sonora gast(rock)nomica, quindi buona lettura, buon ascolto, ma soprattutto buon appetito!