Navigando su internet capita di imbattersi in progetti musicali così fuori di testa che ti acchiappano subito con la loro originalità, coi Distractor è andata così, un link, trenta secondi di video ed ero già il loro fan più sfegatato, purtroppo continuando a navigare ho scoperto qualcosa che rovinerà la festa ma ne parliamo dopo.
I Distractor sono cinque ragazzi poco più che ventenni di Costa Mesa in California, cinque tipi come altri che si divertono come sanno: mangiano schifezze, bevono birra, giocano ai videogiochi, hanno la mania per lo spazio e passano i pomeriggi a suonare in garage. A differenziarli dalla marea indistinta dei gruppetti da garage è un’attitudine musicale difficile da rintracciare nei loro coetanei: drum machine e synth del supermercato s’incrociano con ukulele, tromba e cantato da cartone animato in un tripudio di brevissime canzoncine retro-futuristiche che pagano un chiaro tributo a Devo, Residents e Rockets, ammantate da un velo di genio buttato là che solo chi suona tanto per farlo riesce a dare, in pratica un synth-pop che sa di unto e topexan con qualche velleità punkettara blandita per cercare di strappare lo sguardo di qualche bella ragazza ma che non tradisce la natura nerd del progetto.



Da questo nasce “Devotion”, album di poco concetto uscito in digitale nella primavera del 2015. Ad aprire le danze è “Dig Dug”, cavalcata spaziale disperata di un cantante stonato che non riesce ad uscire da una buca, poi abbiamo “Similar Alien”, melodia perfetta minimamente intaccata dal falsetto ultrasonico del cantante, una chitarra che suona dal garage a fianco e una storia di amicizia spaziale con un alieno amante dei videogames che non mancherà di far sentire il suo vocione qua e là nel pezzo. “Jetpack” introduce una tromba sfiatatissima ma perfetta per sottolineare lo sconforto di un uomo del futuro che non trova più il suo zaino razzo; tromba che torna in “Devotion”, chiaro omaggio ai Devo. “All The Things Do” è un lentone sintetico che richiama certe cose più riflessive dei Joy Division, in un’ipotetica formazione che lascia da parte quel malmostoso di Ian Curtis e ingaggia quel tipo simpatico del bar all’angolo; a chiudere il disco il nervosissimo post-punk oratoriale di “Went To The Store” e il Gary Numan ubriaco di “Spaceman”, la perla del disco, dove cori di robottini, rumori di scarico di stazione spaziale e una chitarra elettrica finalmente microfonata lanciano il finale a suo modo epico di un disco a suo modo memorabile.
Un giretto su YouTube vi aprirà un piccolo mondo: tutte le tracce del disco hanno il loro videoclip, si va da dei piccoli corti fantastici a fondo verde degni di Meliès al didascalismo puro del cantante intrappolato nella buca o che si fa un giro al supermercato, l’estetica visiva è tenuta assieme con lo scotch e l’elemento più ricorrente della scenografia sono lattine di birra schiacciate; inutile dire che sono il perfetto contorno di questa proposta così borderline.
Proposta che in zona ha avuto comunque la sua piccola fortuna, tanto da guadagnarsi concerti di un certo livello e l’attenzione di alcune etichette underground, compresa la Burger Records che ha stampato il disco su cassetta.
Ora è il momento della brutta scoperta: Glen Christensen, il cantante di cui tanto abbiamo apprezzato il mal canto, è morto dopo una lunga guerra contro il cancro a soli 25 anni; gli ultimi mesi della sua vita sono stati dedicati a questo delirante progetto musicale, a girare video dementi, a suonare e a far festa, quella cassettina sgraziata è quello che voleva rimanesse di lui, lo spaceman dei Distractor. I suoi genitori hanno raccolto su gofund.me più di 10.000 dollari per mandare le sue ceneri nello spazio, la sua musica lo aspetta proprio lì.
Tracklist:
01. Dig Dug
02. Similar Alien
03. Jet Pack
04. Devotion
05. Blue Flowers
06. What Does The Moon Do
07. All The Things Do
08. Went To The Store
09. Spaceman