La crisi tra Stati Uniti e Iran in 10 canzoni

L’inizio del 2020 è stato segnato dall’ennesima crisi politico-diplomatica-economica tra Stati Uniti e Iran, tra nuove preoccupazioni e vecchie tensioni mai sopite. Come sempre, la cultura popolare sa riflettere e a rielaborare alla perfezione ogni grande evento politico, ma andiamo in ordine ed esaminiamo un curioso fenomeno della storia della musica nei decenni scorsi.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 ci fu un sensibile incremento di brani musicali prodotti principalmente negli Stati Uniti a tema Iran. Questo fu il risultato dello scontro politico-diplomatico-economico tra le due nazioni che all’inizio del 1979 raggiunse l’apice quando il costo del petrolio aumentò spropositatamente a causa della rivoluzione iraniana che detronizzò la monarchia trasformando il paese in una repubblica islamica guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, privando di fatto gli Stati Uniti di una delle più grandi risorse petrolifere del pianeta. Se tutto questo non bastasse alla fine dello stesso anno 52 membri dell’ambasciata statunitense a Teheran vennero catturati e tenuti in ostaggio per oltre un anno in quella che divenne nota come la crisi degli ostaggi.

Fu così che in quel periodo iniziarono a diffondersi canzoni che trattavano dell’Iran come di un paese lontano, misterioso ed estremamente pericoloso. Spesso questi singoletti/singolacci erano veri e propri messaggi rivolti al governo iraniano e all’ayatollah Khomeini o al presidente americano Jimmy Carter: si passava da tematiche anti-iraniane e iper-pariottiche che incitavano all’attacco militare il prima possibile, fino a denunce anti-militariste e pacifiste sulla questione, che mettevano in luce la paura dell’escalation non tanto per la semplice vita degli ostaggi quanto per il rischio di una possibile terza guerra mondiale e il timore profondo di un disastro nucleare.

Visti i recenti eventi queste canzoni stanno tornando un po’ alla ribalta in patria, così scartabellando tra centinaia di titoli noi abbiamo raccolto dieci delle più bizzarre e memorabili canzoni sulla crisi tra Iran e Stati Uniti.

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Benedict Arnold & The Traitors – Kill The Hostages (1980)

Pubblicato a fine ’80, questo piccolo singolo, tra shock-punk e attivismo politico provocatorio propose una facile soluzione alla crisi degli ostaggi: ucciderli e farne salsicce. Già il nome della band Benedict Arnold & The Traitors, ispirata al più noto traditore della storia americana (un generale statunitense che durante la guerra d’indipendenza del 1780 passò al servizio dei britannici) ci fa capire che si tratta di provocazione fine a se stessa. Inutile dire che Kill the Hostages attirò le critiche più aspre da parte dei media e della comunità americana portando una certa fama alla band e facendo diventare il disco un piccolo caso bizzarro nonché un bramato oggetto di collezionismo.

Greg Baker – One Komani Too Many (1979)

One Komani Too Many di Greg Baker è intriso di soul dal sapore funk, con un ritornello appiccicoso quanto geniale nel suo gioco di parole, il tutto in una parodia dello stile black del periodo. «Un solo Khomeini è pure troppo» viene ribadito agli ascoltatori della terra a stelle e strisce, e nella coda del brano vengono avvertite anche Russia, Cina e Cuba di fare attenzione in quanto «l’America è il boss» nonché la nazione portatrice della pace nel mondo (ovviamente armata di bombe e fucili).

Dickie Goodman – Energy Crisis (1979)

Dickie Goodman è stato un geniale produttore americano e speaker radiofonico il quale ha pubblicato diversi singoli curiosi quanto divertenti già a partire dagli anni ’50 utilizzando la tecnica del break-in (un antenato del campionamento): Goodman leggeva delle finte notizie o recitava delle false interviste radiofoniche inframmezzando il suo dialogo con degli spezzoni di altre canzoni in un curioso esempio di satira politico-musicale. In questo caso si “intervista” il presidente americano sulla spinosa questione con l’Iran attraverso l’aiuto di alcune hit del periodo.

The Americans – Hotter Than Hell in America (1979)

Brano bubblegum-rock con sfumature hard rock per una band sotto pseudonimo (uscito inoltre sotto la fasulla etichetta Hostage): gli Americans sfornano una canzone ultra-patriottica, probabilmente scritta in una decina di minuti al massimo che nasconde le sue intenzioni sotto un titolo che in realtà non ha nulla da spartire col secondo album dei KISS: in America negli ultimi tempi la situazione è calda, non per il riscaldamento climatico, ma per la voglia di suonargliele all’ayatollah.

Mike Martin – We Are the Americans (197?)

Alla fine degli anni ’70 oltre alla crisi in Medio Oriente stava ritornando anche la moda delle sonorità rock’n’roll degli anni ’50 (complice anche il successo strepitoso di Grease). In questo caso Mike Martin, senza l’innocenza tipica del genere, esorta gli Stati Uniti a svegliarsi e non farsi tanti scrupoli per bombardare l’Iran prima che diventino una minaccia al pari dei maledetti comunisti. Gli autori non si riescono a spiegare perché ancora non sia partita una missione militare coi fiocchi: «Why don’t we hit Iran? Send in the marines. Can’t let history repeat itself like in Vietnam. It’s time to stand up.» Dopotutto sono gli americani, i salvatori del mondo, o no?

Roger Hallmark – A Message to Khomeini (1979)

https://www.youtube.com/watch?v=4X018MV91U0

Il country è sempre il genere migliore quando si tratta di musica made in USA, soprattutto quando è infarcito di tematiche iper-patriottiche. In questo A Message to Khomeini la cosa però viene trattata in maniera bizzarra, in un limbo tra la serietà delle tematiche trattate e la volontà di voler far ridere (forse solo parzialmente voluta) dovuta a stereotipi culturali, oltre alle solite minacce con tanto d’imitazione della musica araba. Il testo apertamente guerrafondaio, è un coacervo di esilarante retorica redneck e luoghi comuni, forse la maniera più grottesca per far soldi da una situazione allarmante. Non per niente il singolo di Roger Hallmark ebbe un breve momento di grande successo a livello nazionale prima di cadere nell’oblio ed essere riciclato occasionalmente da stazioni radio e classifiche di appassionati del brutto come noi.

David Lampell – I Ran Iran

Curiosamente I Ran Iran è una delle prime canzoni disco-rap nonché uno dei primi brani della scena hip hop politicamente impegnati. David Lampbell ricorda lo stile del primo Kurtis Blow ma su una base più poveristica che minimale, snocciolando un testo che è la solita retorica sulla superiorità degli Stati Uniti e su come l’Iran non dovrebbe permettersi di alzare la voce. Difficile capire se l’intento sia effettivamente parodistico o meno.

Cliché – I Ran From Iran (1979)

I Cliché sembrano essere stata una band rock nata solo per l’occasione di questo loro singolo dal gioco di parole I Ran From Iran. Il nome sembra essere presagio visto che il loro unico prodotto discografico ricalca tutti i luoghi comuni di un qualsiasi brano pop-rock che strizza l’occhio al punk, i soliti riferimenti alla superiorità americana e alla follia dell’ayatallah Ruhollah Khomeini, che, con una nota di umorismo, ora si nasconderà come uno struzzo con la testa nella sabbia,  per quanto sembra estremamente difficile capire se si parli sul serio o si faccia satira delle posizioni più estremiste e interventiste, compresa la citazione all’inno americano nell’intro o la foto in copertina, in cui la band incendia la bandiera iraniana.

Steve Dahl & The Teenage Radiation – Ayatollah (1979)

Lo speaker radiofonico e comico Steve Dahl ebbe la geniale trovata di unire il tormentone dell’anno, quella My Sharona degli Knack, che poi si rivelerà essere il più grande successo power pop di sempre, e la crisi iraniana che catalizzava l’attenzione di tutti i media. Sfruttando il ritmo della bestia nera della crociata contro la musica disco, il nostro decide di non prendere sul serio tutta la questione degli ostaggi. In effetti c’era ancora la minaccia dell’Unione Sovietica e un uomo con sandali, turbante nero e barba bianca sembrava certamente comico rispetto all’intera faccenda della guerra nucleare globale.

Vince Vance & The Valiants – Bomb Iran (1980)

Un “fattaccio” che fece perdere consensi a John McCain durante la sua campagna presidenziale nel 2007 fu citare questa (in)dimenticata parodia di Barbara Ann (brano dei Regents reso popolare dai Beach Boys nel 1965) durate una suo comizio. La pietra dello scandalo è il testo anti-islamico del brano (almeno per gli standard odierni): «Bomb, bomb, bomb, bomb Iran. Went to a mosque, gonna throw some rocks. Tell the Ayatollah…”Gonna put you in a box!”». Curiosamente oggi pare ritornata più popolare che mai.

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