Come se la pandemia e la crisi di governo non fossero già supplizi sufficienti il 25 gennaio è approdato su Prime Video Ballo ballo, un musical che in Spagna era uscito nei cinema a ottobre dello scorso anno. Il film è diretto dal trentacinquenne Nacho Álvarez alla sua prima esperienza con un lungometraggio e finanziato del governo spagnolo, che evidentemente aveva dei soldi da buttare.
Sì perché stiamo parlando di un prodotto talmente sbagliato che è persino difficile decidere da dove partire.
Prendiamo l’attrice scelta per interpretare la protagonista, una ragazza che pianta all’altare il promesso sposo italiano e scappa per tornare in Spagna dove diventa prima una hostess e poi una ballerina. Ecco, se giri un musical e la tua protagonista ricopre il ruolo di una ballerina magari è il caso di prendere un’attrice che sappia danzare. Di certo non è il caso della povera Ingrid García-Jonsson, le cui movenze ricordano da vicino quelle di Maria de Filippi quando qualche anno fa si mise in testa di ballare dando un significato completamente nuovo alle parole “pezzo di legno”.
Beh, ma almeno reciterà bene. No, anche lì si latita parecchio. Tra occhi strabuzzati e pianti bruttissimi e ripetuti anche la sua recitazione risulta spesso irritante.
Beh, ma almeno le avranno cucito addosso un personaggio molto piacevole col quale si empatizza facilmente. Di nuovo sbagliato: dietro i balli, la spensieratezza e il lieto fine si nasconde, mi si passi il termine “masinesco”, una bella stronza: la nostra María, come detto, scappa prima del matrimonio e, dopo che il poveraccio italiano che aveva abbandonato riesce a ritrovarla e a convincerla a tornare con lui, lo molla nuovamente quando l’aereo che li stava riportando in Italia è pronto per decollare.
Intorno a lei poi si muovono personaggi che spaziano dal piatto all’inutile passando per il macchiettistico. Degno di nota soltanto il regista Chimo (Fernando Tejero), che perlomeno ricorda nell’aspetto il giovane Sergio Japino.
Spostandosi sul lato tecnico ci si trova di fronte una fotografia degna dell’accoppiata Duccio/Biascica: colori accesissimi che se da un lato si adattano alla favola raccontata dall’altro hanno messo a dura prova la retina. La versione italiana è ulteriormente peggiorata da un doppiaggio fastidioso che non si preoccupa minimamente di andare a tempo col labiale originale ottenendo un risultato simile, per bruttezza, ad Asia Argento che doppiava sé stessa nei film del padre (vedere La terza madre per credere).
Poi ci sono loro, le canzoni di Raffaella Carrà che accompagnano e raccontano la trama in un’operazione che ricalca da vicino l’arcinoto musical Mamma mia! uscito nel 2008, almeno nelle intenzioni. Una trama decisamente esigua e puntellata da cliché (il colpo di fulmine fra due persone che si scontrano, gli italiani perennemente in Vespa) e dialoghi imbarazzanti. Basti pensare a una frase come «non hai la testa piena di porcellate. Sei praticamente un pretino innocente senza tonaca», che il censore della televisione di stato spagnola rivolge a suo figlio; oppure all’italiano, smargiasso e ovviamente munito di Vespa (lo abbiamo già detto?) che all’amica della protagonista chiede se vuole vedere la sua torre pendente.
Le canzoni, si diceva. Accanto alle hit come Tuca tuca, Tanti auguri e il pezzo che dà il titolo al film troviamo canzoni come Male (che sarebbe stato un titolo decisamente più azzeccato), che accompagna la prima esibizione della protagonista col corpo di ballo della televisione. Un’esibizione che, pur essendo al livello di una recita delle medie, lascia tutti i presenti di stucco e apre alla protagonista le porte del successo.
Da citare assolutamente anche Luca, pezzo che vedeva la Carrà innamorata persa di un ragazzo gay (se qualcuno sa perché nel mondo della canzone italiana se ti chiami Luca sei o sei stato gay ce lo faccia sapere). Luca, proprio come il testo racconta, vede la migliore amica di María scoprire che il vichingo del nord di cui era innamorata «ama il manzo», per dirla con le sue parole. Che poi poteva anche arrivarci prima; la prima volta che s’incontrano si scatena cantando e ballando una canzone di Raffaella Carrà.
La chiusura del film è affidata a Fiesta, e la scena è un po’ la summa di tutto ciò che c’è di sbagliato in Ballo ballo: cliché a non finire, buonismo, accozzaglia di colori, gente che balla male, i soliti italiani baffuti e le loro cazzo di vespe e soprattutto una Roma ricostruita approssimativamente al computer in cui compare anche una Raffaella Carrà di cui è possibile vedere i contorni.
Per scrupolo e per autolesionismo ho guardato il film anche in lingua originale (originalmente intitolato Explota explota, cioé “esplode esplode”). Devo dire che mi è parso migliore, ma la cosa credo che dipenda dal fatto che non parlo lo spagnolo e quantomeno non ho capito quello che dicevano gli attori.
Amiamo e abbiamo sempre amato Raffaella Carrà, ma Ballo ballo è indifendibile sotto ogni punto di vista; l’immensa grandezza di Raffa meritava molto più di questo raffazzonato tentativo di tributo.