Non serve a molto scervellarsi per comprendere l’evoluzione (intendo in senso cronologico) del pensiero di Franco Battiato, che talvolta lo ha portato a compiere alcune strane scelte artistiche. Sarebbe complicato all’incirca quanto rispondere alla famosa domanda «Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo. Io a quale corpo appartengo?». Nel 1972 Beta, quarto brano di Pollution, capolavoro dell’avanguardia musicale italiana in odor di progressive, finiva proprio con questa sublime riflessione, buttata quasi come appendice eterea in coda al brano, densa come un pensiero rispetto al corpo specifico della struttura che lo sostiene.
Personalmente credo che la densità della collaborazione del genio catanese con Mika sia simile a quella di un gas intestinale prodotto da chi ha organizzato questo improponibile duetto. È evidente come Battiato e i microrganismi che lo abitano appartengano strutturalmente anche al corpo del business discografico. E questo era chiaro anche in passato, essendo l’illustre etneo sempre stato prodotto da varie etichette importanti che hanno diffuso e sviluppato a dovere i suoi lavori, dai più avanguardistici fino a quelli contaminati dalla new wave o dal pop, in cambio naturalmente di un tornaconto.
Mika al cospetto di Franco Battiato è come Jessi Malò (il ballerino tarantolato scovato dalla Gialappa’s Band a Mai dire TV) paragonato a Michael Jackson o Gabriele Muccino ad Alfred Hitchcock, ma se Francuzzo e i suoi discografici hanno fatto questo ci sarà un perché. E se fosse stata l’autodeterminazione di Mika a portare i pantaloni in casa Universal Records dettando la scelta dall’alto dei suoi numeri di vendita? Saremmo messi davvero male! Ma chi è Mika? O meglio, che cos’è?
Classe 1983, madre libanese e padre americano, vissuto tra Parigi e Londra, nel 2006 grazie a MySpace si fa notare da un produttore e pubblica il suo primo singolo. Una bella favola insomma: la favola di un “pariolino” che ce l’ha fatta. Caratteristica peculiare del nostro è l’estensione vocale che gli permette di raggiungere un fastidiosissimo falsetto che lodarlo dovrebbe essere un reato punibile con dolorose pene corporali e ammenda pecuniaria. A chi invece lo accosta a Freddie Mercury, mi permetto di fargli notare che forse poteva paragonarlo a Ian Gillan per farla ancora più schifosa.
Nel 2007 ce lo ritroviamo come ospite al Festival di Sanremo e dal 2013 al 2015 veste i panni di giudice per X Factor, raggiungendo praticamente il culmine della sua carriera artistica; tutto ciò fra l’immobilismo delle autorità che non muovono un dito per frenare questa invasione selvaggia che macchia la cultura italica.
Il brano sfornato dall’inedita coppia nel 2015 è una riscrittura di Centro di gravità permanente, tratto dall’album-capolavoro La voce del padrone del 1981 che diventa per l’occasione Center Of Gravity: una sverniciata di inglese e tutto suona tremendamente piú cool.
Per nostra fortuna non hanno stuprato mortalmente l’arrangiamento del brano originale, conservando tutto sommato una buona impronta new wave nonostante la scelta di suoni in parte discutibili. Il falsetto di Mika, con sommo stupore, è tenuto sotto controllo, ma il testo… non c’entra proprio niente con la stesura originale.
Praticamente è come se Franco Battiato avesse concesso a Mika di utilizzare esclusivamente il ritornello (e l’immancabile «uacciu uari uari») spoglio di tutto il resto. Una bella paraculata filosofica che forse riesce a dare una buona spolverata alla coscienza dell’illustre artista siciliano il quale, nonostante l’abbia pubblicata nella raccolta Anthology – Le nostre anime, si è voluto comunque discostare ufficialmente dall’operazione, dichiarando in un’intervista a Rockit che il tutto è stato voluto (o imposto?) dalla comune etichetta discografica dei due cantanti, meri attori di un mondo contorto in cui se fosse vivo Georges Ivanovič Gurdjieff collaborerebbe con Jo Squillo per sostenere che oltre all’ipotalamo c’è di più.