Nel lontano 2006 il big bang che fece nascere Orrore a 33 giri fu l’articolo su Zucchero filato nero, il primo e unico disco di Mauro Repetto, l’altra metà degli 883. La parte meno romantica e nostalgica del duo, quella che dava un tocco di realtà quotidiana ai testi di Hanno ucciso l’uomo ragno e Nord Sud Ovest Est (e diverse cosette ne La donna, il sogno e il grande incubo anche se ufficialmente aveva già abbandonato la barca). Pur non sapendo suonare una nota e non cantando praticamente nulla, Mauro era il fondamentale coautore dei testi assieme all’amico del liceo Max Pezzali.

La sua dipartita dalla macchina da soldi che aveva contribuito a creare (fu proprio lui a rompere le scatole a Claudio Cecchetto per fargli ascoltare i demo del gruppo), l’abbandono della celebrità per inseguire un sogno (l’amore per una modella e la chimera di realizzare un film a Hollywood), il ritorno in Italia senza amore, senza film e senza soldi (truffato da un losco avvocato), il goffo tentativo di rigettarsi nella musica con un disco talmente assurdo e imperfetto che oggi suona moderno (per demerito degli altri, sia ben chiaro). Il flop e l’auto-esilio in Francia senza lasciare tracce, se non la leggenda del biondino degli 883 che era finito a fare Pippo a Eurodisney.
Datecene atto: noi siamo stati i primi non solo a riportare alla luce Zucchero filato nero, ma a difendere a spada tratta il carattere prismatico di Mauro da tutti quelli che lo coglionavano. Vera icona della cultura popolare dimenticata. Tutto questo ben prima che nel 2014 anche Claudio Cecchetto lo definisse nella sua autobiografia «un album “cult”, straordinario nella sua pazzia e originalità».
Negli anni Mauro ha evidentemente fatto pace con se stesso; è ritornato più volte a condividere con grande entusiasmo il palco con l’amico Max, con cui ha inciso anche un paio di brani nuovi nel 2012 (non esattamente memorabili) in occasione del ventennale di Hanno ucciso l’uomo ragno. Insomma un tuffo nel passato con piacevoli celebrazioni per i fan.
Nessuno si sarebbe mai aspettato che sul finire del 2022 il nostro Mauro Repetto, ormai da decenni in pianta stabile a Parigi e lontano dal music business, tornasse in pista con un nuovo progetto musicale da lui stesso concepito. Stiamo parlando degli Another 24 e del loro disco di debutto auto intitolato che, stando ai numeri di Spotify, sicuramente non avete mai ascoltato.



In effetti il nome non è granché e scavando in rete dal loro scarnissimo sito another24.hearnow.com durato il tempo di un battito d’ali di farfalla, ma reperibile grazie a WebArchive, scopriamo che la band è (era?) formata da Mauro Repetto nelle vesti di autore, chitarrista e seconda voce, il jazzista americano Josiah Woodson al basso (vincitore di un Grammy Award per il lavoro sul disco del 2013 di Beyoncé Love on Top) e infine la vocalist francese Meryem Barbet.
La cosa più interessante è la descrizione del sound della band: uno stile africano (che cosa significhi esattamente non lo sappiamo, ma essendo la moglie di Mauro originaria del Senegal le influenze arrivano certamente da lì) con influenze latine (e ti pareva!) e con una voce rock multilingue. Potrebbe essere una patchanka dei poveri, ma invece no; si tratta di un nuovo genere musicale che loro battezzano (tenetevi forte): rock-reggaeton!
Sono consapevole che la parola reggaeton dovrebbe essere messa fuori legge, ma poteva andare molto peggio. Pensiamo a una trap-rock con influenze latine per esempio (magari esiste già ma preferisco vivere nella mia beata ignoranza).
Primo singolo e primo brano del disco è Bailaré contigo e quello che appare immediatamente chiaro è che si tratta di un vanity project del solo Mauro al quale gli altri hanno solo prestato voce e arrangiamenti dietro ricompensa. Oltre a non comparire minimamente nel video “poveristico” girato probabilmente con un iPhone per le strade di Parigi (con tanto di passanti che entrano nelle riprese) è chiaro che il tutto è Repetto-centrico.
La voce di Mauro è decisamente meno anarchica rispetto a Zucchero filato nero e qui cerca di cantare e rappare imbracciando impacciatamente una chitarra che probabilmente ha appena preso al negozio dietro casa. La canzone non lascia traccia ma personalmente quello che mi disturba è il suo look da scaricatore di porto marsigliese, che fa a cazzotti con i deliziosi passi di danza di Severine e dei suoi bei capelli ricci.
La sensazione di disco fatto per riempire la domenica pomeriggio viene confermata con il secondo video promozionale per Miles on Your Airlines, chiaramente girato lo stesso giorno del precedente: Mauro avrebbe potuto almeno cambiarsi d’abito, no?
Messo da parte il supporto video in effetti si sente quel mix di sapore africano da cartolina e beat reggaeton, la parte rock personalmente mi manca, ma fa nulla. Siamo onesti, se Lufthansa l’avesse utilizzata per una campagna pubblicitaria nessuno si sarebbe lamentato.
Finalmente la spruzzatina rock arriva con Let Me Hear You Say e onestamente non se ne sentiva la mancanza. Sarà per il pasticcio delle due voci di Mauro e Meryem che fanno un po’ a cazzotti cantandosi sopra, o forse per il mix di italiano e inglese che personalmente non apprezzo mai, soprattutto se buttato a casaccio come in questo caso. Ad ogni modo il ritornello che si sforza di essere accattivante ma non ce la fa, davvero non aiuta.
Quello che si nota immediatamente è che il miscuglio di generi tanto sbandierato, improvvisamente scompare o quasi (unica eccezione Rock Reggaetton Grammar), lasciando spazio a una sfilza di brani pop-rock cantati dal nostro Mauro che suonano perfettamente intercambiabili tra loro, vista la scarsa intuizione melodica, gli arrangiamenti da minimo sindacale e la produzione casereccia che li rendono completamente dimenticabili, se non quando si sfonda la barriera del diversamente bello come 2night, con quel rimarchevole ritornello «to-to-to tonight, oh-oh-oh alright / to-to-to tonight, ooh-ooh-ooh-ooh» che non avrebbe stonato troppo su Zucchero filato nero (che sia un pregio o un difetto decidetelo voi).
Insomma, superata la fase emozionale del ritorno di Mauro Repetto alla musica, del disco e di questa operazione Another 24 rimane davvero poco (ci piace pensare che il nome sia un riferimento ai suoi 24 anni quando raggiunse il successo nel 1992 con gli 883) e visto come il tutto è evaporato nel giro di qualche mese direi che questo nuovo rock-reggaeton è già nato morto, senza alcun dispiacere. Ora torniamo a riascoltarci Zucchero filato nero.