Che cosa c’entra il roccioso calciatore Vinnie Jones con la musica soul? Niente. Appunto.
Facciamo un passo indietro: per chi non lo conoscesse Vinnie Jones è un po’ l’Adriano Pappalardo del calcio britannico: faccia da duro, curriculum da collezionista compulsivo di cartellini gialli e rossi, ma con insospettabile animo artistico. Chi l’avrebbe mai detto? Nemmeno lui.
Finita la carriera sui campi da gioco arriva il successo sul grande schermo grazie a un impavido e giovane Guy Ritchie che ha la brillante idea di farlo recitare prima in Lock, Stock and Two Smoking Barrels e sul successivo Snatch. Più che recitare Vinnie gioca a fare la macchietta di se stesso con risultati commoventi. Per noi la carriera di attore potrebbe finire qui, tanto quello che succederà dopo sarà totalmente irrilevante ma gli garantirà una serena pensione. Come dargli torto?
Nel 2002 come per magia si materializza inspiegabilmente un contratto discografico per la Telstar, piccola etichetta inglese che tra gli altri poteva sfoggiare talenti di prima grandezza come gli East 17 in formato reunion (ribattezzati E-17), fetenti baracconate eurodance rumene come le Cheeky Girls e una certa Victoria Beckham che scaricata dalla Virgin riuscì a incidere ben due album per l’etichetta senza pubblicarne nemmeno uno, madnando la casa discografica in bancarotta, ma di questo non ci interessa.
Portare in studio Vinnie Jones è un po’ come raccogliere saponette nelle docce di qualche carcere georgiano: sai che qualcosa andrà storto e non potrai farci nulla.
Volendo tralasciare le riletture scolastiche quello che non va è proprio il nostro Vinnie Jones che reinterpreta i brani con un tirapugni infilato in gola, come se volesse tributare gli originali mantenendo una sana dose di machismo da provincia inglese. Sarebbe stato più divertente registrare una serata di karaoke al pub sotto casa con il pubblico che alla sesta pinta cantava a squarciagola «na na na na na» su Land of 1,000 Dances, si scatenava al ritmo di Shake a Tail Feather e accompagnava avvinazzato i vari «Hi De Hi De Hi De Hi» su Minnie the Moocher.
Più che Respect questa sembra un presa per il culo; chissà come la prese il nostro quando scoprì che il disco non lo comprò neppure sua madre.
Tracce:
01. Everybody Needs Somebody (Solomon Burke cover)
02. Dance to the Music (Sly and the Family Stone cover)
03. Bad, Bad Leroy Brown (Jim Croce cover)
04. Land of 1,000 Dances (Chris Kenner cover)
05. Do You Love Me? (The Contours cover)
06. (Sittin’ On) Dock of the Bay (Otis Redding cover)
07. Hi-Ho Silver Lining (The Attack cover)
08. Shake a Tail Feather (The Five Du-Tones cover)
09. Mustang Sally (Mack Rice cover)
10. Gimme Some Lovin’ (The Spencer Davis Group cover)
11. Boom Boom (John Lee Hooker cover)
12. I Got You (I Feel Good) (James Brown cover)
13. Minnie the Moocher (Cab Calloway & His Orchestra cover)
14. In the Midnight Hour (Wilson Pickett cover)