Oggi che il rock è diventato un reparto di geriatria, dove le giovani leve risalgono alla fine degli anni ’90 e che il cinema pare senza un briciolo d’idea, le biopic su questo genere musicale oramai ignorato dai giovani potrebbero diventare la nuova moda (nonostante la storia sia costellata da esempi tremendi o alquanto discutibili).
In tutta onestà condensare in un centinaio di minuti tratti biografici, eventi e canzoni con correttezza filologica e ritmi cinematografici è un’impresa impossibile. Molto meglio un documentario, ben più fattuale e minuzioso o una pellicola di assoluta fantasia.
Per tale ragione le biopic funzionano solo per gli spettatori occasionali che guardano il film come puro intrattenimento tra una manciata di popcorn e l’altra. Gli unici dogmi sono la somiglianza fisica, il saper catturare le emozioni che la musica trasmetteva in quel determinato momento storico e, ovviamente, le canzoni.
The Dirt non ha niente di tutto questo. La sensazione è che sia un film fatto con un budget davvero troppo risicato e soprattutto ripulito di tutto ciò che potrebbe offendere il mondo molliccio e fintamente perbenista che pascola quotidianamente sui social media. Il risultato è un incrocio tra una commedia americana anni ’80 e un film della Disney. Quando non si azzeccano neppure le parrucche in effetti non è un bel segno.
I Mötley Crüe furono la rock band più famosa e influente degli anni ’80. Non quella che vendette più dischi in assoluto ma quella più popolare: il look trasgressivo e il suono che creò una marea infinita di cloni nella scena di Los Angeles (tutte le band hair metal si sono ispirate – poco o tanto – ai Mötley Crüe), l’uso e l’abuso di groupie e modelle mozzafiato, i successi tra radio e MTV, fiumi di alcol e sostanze illecite, e le continue bravate che portarono anche a tragiche conseguenze (Vince Neil che uccise Nicholas “Razzle” Dingley degli Hanoi Rocks e ferì gravemente altri due ragazzi in un incidente stradale causato da ubriachezza, cavandosela con solo 18 giorni di carcere e un pagamento di 2 milioni e mezzo di dollari). Insomma era un pacchetto completo che incarnava l’immaginario di sesso, droga e rock’n’roll portato agli eccessi nel plastificato mondo degli anni ’80. Cosa volere di più?



Lasciamo stare il libro omonimo su cui si basa il film, composto da almeno un 75% di favole, lasciamo stare la sceneggiatura degna di una soap opera, grossolana, zoppicante, colma di errori, con scene inutili e inspiegabili omissioni, lasciamo stare quel ricorrente tono da commediola per ragazzini (la scena nell’ambulanza in cui un paramedico nero che sembra una scarsa imitazione di Eddie Murphy resuscita Nikki Sixx è da sbattere la testa contro uno spigolo di cemento armato), lasciamo stare il buonismo imperante (è noto a tutti che Vince Neil e Tommy Lee non si sopportano da fine anni ’80), lasciamo stare i quattro attori protagonisti che fanno sembrare i temibili Mötley Crüe i Kidd Video che hanno litigato con il costumista (il belloccio Douglas Booth, in passato già interprete di Boy George nel film Worried About the Boy, qui nei panni del bassista Nikki Sixx, l’insipido Daniel Webber come un improbabile Vince Neil che come frontman offre non più di un invidiabile six pack, Iwan Rheon proveniente da Game of Thrones ad interpretare il chitarrista Mick Mars inspiegabilmente trasformatosi in un troll e infine il rapper Machine Gun Kelly come Tommy Lee, per assurdo il più convincente del lotto).
Dopo la prima ora noia e sbadigli la fanno da padrone. Non esattamente quello che ci si aspetta dalla rock’n’roll band più pericolosa del pianeta. Arrivati faticosamente alla fine, quello che resta é lo squirting dopo due minuti dall’inizio del film (tra l’altro realizzato in maniera molto grossolana, non potevano fare un giretto su PornHub per farsi un’idea più precisa?), la famigerata scenetta da Jackass con Ozzy Osbourne (interpretato da Tony Cavalero proveniente dalla serie TV School of Rock, in fondo alla regia c’è proprio Jeff Tremaine, l’ideatore e curatore del famigerato franchise dedicato agli stunt ridicoli), e il racconto in fast forward della giornata tipo di Tommy Lee (questo ben riuscito).
Nemmeno la musica riesce a risollevare le sorti del film venendo usata inspiegabilmente con il contagocce: la super hit Girs, Girls, Girls non pervenuta forse per non far arrabbiare il popolo del #metoo, un paio di riff qua e là, qualche accenno infilato a caso come Home Sweet Home, una hit che infestò MTV per mesi 24 ore su 24 non merita più di un paio di note al pianoforte quasi per sbaglio, e infine giusto un paio di spezzoni di concerti per giustificare che stiamo parlando di una rock band e non di un gruppo di psicopatici inspiegabilmente ricchi e famosi. Vista la nefandezza delle nuove canzoni incise dai Mötley Crüe ad hoc per questo The Dirt, tra cui un’abominevole cover di Like a Virgin (che cosa cazzo c’entra Madonna con la musica, il mondo o l’immaginario dei Mötley Crüe mi sfugge) forse è meglio così.
Visto che le aspettative erano sotto zero, è un mezzo miracolo che nonostante tutto il film si regga in piedi in un modo o nell’altro come una commediola colorata fintamente trasgressiva. Una brutta ora e cinquanta minuti ma non così brutta da renderla almeno memorabile per la sua bruttezza.