Se tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 si vedevano spuntare le magliette della band davvero ovunque, per la legge del contrappasso oggi nella cultura pop-olare tutto quello che resta sono (ingenerosamente) solo una manciata di canzoni: November Rain, Paradise City, Don’t Cry e soprattutto quella Sweet Child O’Mine suonata compulsivamente in ogni occasione: matrimoni, compleanni, laure, battesimi, cresime, funerali e programmi TV.
Il singolo-tormentone che ha lanciato nella stratosfera la band è, non a caso, il brano più “coverizzato” da altri artisti, ma sembra più un affare da dive del pop (Sheryl Crow, Texas, Anastasia) piuttosto che dalla nuove (poche) leve del rock’n’roll. Oggi però il piatto della casa prevede una succosa raccolta delle 10 versioni più strane e bislacche di Sweet Child O’Mine. Come gridava il pazzerello Axl Rose «You know where you are? You’re in the jungle baby! You’re gonna die!» …allora cominciamo senza indugio!
Gregorian (2009)
I Gregorian sono l’anticristo, non c’è altra spiegazione per l’esistenza di questa sottospecie di progetto ideato e partorito in terra germanica e diffusosi in mezza Europa come la peste. Questi tizi ebbero la grande idea di scimmiottare (malissimo) la ambientazioni evocative degli Enigma mischiandole a canzoni pop cantate in stile simil-gregoriano su arrangiamenti tra il rock e la new age da sala d’aspetto.
Idea pessima vero? Bene, come ci spieghiamo gli oltre 15 dischi incisi fino ad oggi? Il governo tedesco deve al mondo una spiegazione per questo scempio perpetrato negli ultimi 15 anni ai danni dell’umanità, ma soprattutto non poteva intervenire l’ONU in qualche modo? Mi domando dove siano i bombardamenti preventivi quando servono.
Ed Alleyne-Johnson (2007)
Mi rendo conto che probabilmente a causa di qualche trauma infantile nutro un odio esasperato per il violino elettrico e soprattutto per le cover di brani pop/rock fatte da artisti di strada, siano essi tzigani, peruviani o senzatetto giramondo, non importa. Parto in effetti prevenuto all’ascolto della versione di Ed Alleyne-Johnson, popolare artista di strada ma noto anche come “quello che suonava il violino con i New Model Army“.
Ora immaginate Sweet Child O’Mine suonata con il solo violino dotato di funambolica distorsione; ecco, la sua versione suona esattamente come quella che avete pensato. Perfetta per il turista distratto che passeggia guardando le vetrine e ascoltando un motivetto noto magari sgancia qualche monetina, io personalmente avrei voglia di strappargli quel cazzo di violino a cinque corde dalle mani e spaccarglielo in testa. Molesto.
湯川潮音 (Shione Yukawa) (2009)
Questa deliziosa Lolita giapponese che si divide tra cinema e musica ci mette del suo per regalarci una versione creativa del brano a metà strada tra il country-folk anglosassone e il J-Pop acustico. Shione Yukawa è assolutamente deliziosa quando canta in lingua madre mentre qui suona un po’ forzata, ma come non perdonarla con quel faccino che sembra uscito da qualche anime? Il risultato non ci fa strappare i capelli, ma neppure ci viene voglia di sculacciarla perché in effetti potrebbe essere il perfetto accompagnamento sonoro per i titoli di coda di qualche commedia per teenager “made in Sol Levante”.
Iron Horse (2007)
Un po’ di sano bluegrass non guasta mai, se poi sono dei coverizzatori seriali come gli americani Iron Horse tanto meglio, giusto? Non proprio, a meno che non siate sulle strade della Georgia alla guida di una Dodge Charger arancione del ’69 con la bandiera confederata dipinta sul tetto.
La band dell’Alabama l’ho sempre trovata di una noiosità pari solo a un disco di Phil Collins. Fa impallidire la loro maestria nel riuscire ad appiattire ogni brano ammantandolo con i soliti tre arrangiamenti per banjo, chitarra e mandolino. Ancora più spaventoso che questi quattro tizi, evidentemente con un sacco di tempo libero, siano riuscito ad incidere tre o quattro dischi all’anno pescando a casaccio tra il repertorio di Metallica, Goo Goo Dolls, Led Zeppelin, Black Sabbath, The Shins e Guns N’ Roses appunto. La cosa davvero incredibile, però, è che ascoltare loro versione di Sweet Child O’Mine è come ascoltare tutta la loro discografia in 3 minuti.
Infinity – Dirty Love (1993)
OK questa non è tecnicamente una cover, piuttosto un ibrido da laboratorio creato mettendo insieme il riff di chitarra di Sweet Child O’ Mine e il sample di I Forgive You preso in prestito, probabilmente a caso, da Human degli indimenticati Human League. Il perché di tutto questo? Inutile chiederselo, comunque il risultato suona dannatamente accattivante come solo la migliore eurodance made in Italy ignorante riusciva a fare. Se tendete l’orecchio potrete sentire degli indizi inequivocabili: dietro il nome Infinity si nascondono praticamente gli U.S.U.R.A. sotto mentite spoglie. Italians do it better.
Gelugugu (ゲルググ) (2007)
Japanese extravaganza. Basterebbe questo per perdonare qualsiasi cosa. Infatti non possiamo non amare la folle versione ska-core che ci regala la band di Osaka molto probabilmente in preda a speed e anfetamine. Come spesso accade a questo tipo di rivisitazioni ad alta velocità l’effetto “versione a 78 giri” è in agguato, ma questa goliardata è talmente sguaiata e scazzata che ci fa innamorare al primo ascolto. Attenzione: genera dipendenza.
Akasha feat. Neneh Cherry (1998)
Probabilmente solo i fanatici del trip hop ricorderanno gli Akasha, band inglese che mischiava il suono di Bristol con accenni jazz-fusion. Il duo non fece mai il botto, ma in eredità ci lasciano questa cover piuttosto interessante soprattutto perché riadattare nel 1998 (in piena recessione del rock’n’roll) un brano dei Guns N’ Roses per un pubblico completamente diverso fu una scelta quantomeno stimolante e coraggiosa.
Aiutati dalla sempre brava Neneh Cherry gli Akasha aprono il grande manuale della musica e vanno direttamente al capitolo “come incidere una cover perfetta”; questa versione conserva la melodia dell’originale, ma il resto viene completamente adattato al suono elettronico e notturno del duo che la fa propria. Peccato che questa sia la cosa migliore che gli Akasha abbiano mai fatto, ma questo è un altro discorso.
Ryu, Juelz Santana & Celph Titled – S.C.O.M. (2005)
Era solo una questione di tempo, era chiaro che anche il riff di Sweet Child O’Mine sarebbe dovuto entrare nel girone infernale dei brani rock riciclati come base hip hop. Se almeno Led Zeppelin, Police e Queen ci hanno fatto un sacco di soldi con successi radiofonici di dubbio gusto, qui il risultato è solo aberrante. Abbreviata senza ragione in S.C.O.M. questa versione di Ryu, Juelz Santana & Celph Titled è un brano con la licenza di uccidere… Sì di uccidere glio interpreti che evidentemente non avevano di meglio da fare che tritarci i coglioni con questa roboante vaccata con la scusa del rap. Poi scopriamo che dietro a questo scherzo che non fa ridere si cela Mike Shinoda dei Linkin Park e tutto torna.
Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox feat. Miche Braden (2014)
Chapeau signore e signori. Se l’idea di cover jazzate non è certo nuova né originale, il risultato è in questo caso magnifico. Il classico dei Guns N’ Roses viene trasformato dagli Scott Bradlee’s Postmortem Jukebox in un’irresistibile versione che sembra uscita da qualche jazz club di New Orleans puzzolente di fumo, rum e sudore. Vera mattatrice è la divina Miche Braden che si appropria dei vocalizzi di Axl Rose facendoli suoi senza se e senza ma. «Where do we go now?» Beh, ora fate i compiti a casa e recuperate tutta la loro discografia, poi mi ringrazierete.
Krist Novoselic & Duff McKagan (2015 – live)
OK qui sfondiamo il muro dell’assurdo: Krist Novoselic, l’ex bassista spilungone dei Nirvana, strimpella la sua fisarmonica accompagnato dal basso di Duff McKagan recentemente tornato nei Guns N’ Roses. 25 anni prima tutto questo sarebbe stato inimmaginabile, ma si sa che il tempo fa dimenticare molte cose e in fondo in fondo è galantuomo, ma non per il simpatico Krist, trasfigurato tragicamente in un pacioso signore di mezza età che immaginiamo passi le giornate tagliando l’erba del giardino e accompagnando la moglie a fare la spesa al centro commerciale dietro casa. Lo zio e il rocker-economista intonano una surreale versione strumentale di Sweet Child O’Mine, improvvisata, impacciata e assurda, tanto da risultare deliziosa, quasi un omaggio senile ai Vaselines. Siamo sicuri che Kurt si sarebbe fatto un sacco di risate, Axl probabilmente un po’ meno, ma si sa che il rosso non ha mai avuto grande senso dell’umorismo.