Luciano Lutring ha sempre avuto un rapporto con la musica, a volte diretto e a volte meno. La madre (meneghina) lo avrebbe voluto pianista, il padre (ex fantino ungherese) spingeva perché imparasse a suonare il violino. Frequenta il Conservatorio, ma ben presto scopre che le mani preferisce metterle su armi e soldi piuttosto che su tasti e archetti.
I primi contatti con la ligera, quella malavita milanese che nel secondo dopoguerra viveva ancora secondo un rigido codice etico e molto spesso rubava solo per fame, ce li ha nel bar/latteria che la sua famiglia aveva in Via Novara, allora periferia fatta di case popolari, prima immigrazione e poco altro e anche la clientela non proprio altolocata, tanto che venne soprannominato Crimen Bar. Lì il giovane Luciano ascolta per interi pomeriggi i racconti dei balordi che frequentano il locale e nel giro di poco riesce a procurarsi la sua prima pistola, una vecchia Smith & Wesson ma senza pallottole perché non erano più in commercio. Con quella infilata nei pantaloni compie la sua prima rapina a un ufficio postale. Una rapina casuale come racconterà in seguito. Era lì solo per pagare una bolletta di sua zia e la pistola la portava solo per darsi arie da gangster. Spazientito dalla lentezza dell’impiegato picchiò una manata sul banco e nel farlo mosse il soprabito che scoprì l’arma. A quel punto l’impiegato inizio ad impilare pacchi di soldi sul banco senza che Lutring ne comprendesse il motivo; una volta capita la situazione non si fece problemi a intascare tutto e andarsene con calma.
Da quel momento la sua carriera criminale crebbe a dismisura fra rapine clamorose (vale la pena citare quella dei gioielli che Bulgari aveva prestato per la sfilata di Miss Italia), fughe rocambolesche anche dai night club (del Derby diceva «ci entravo e uscivo sempre di corsa»), bella vita, auto di lusso e l’aura romantica a cui contribuirono i suoi modi galanti durante i colpi (rapina banche e gioiellerie armato di rose rosse che regala alle impegate, saluta educatamente e si dilegua senza avere bisogno di usare il famoso mitra) oltre al frequente uso del dialetto milanese.



Nella seconda metà degli anni ’50 Il nome di Luciano Lutring sui giornali compariva sempre più spesso (nella sua carriera criminale metterà a segno oltre 500 rapine), complice anche un soprannome che lo rese immediatamente celebre: il solista del mitra, nome coniato dall’allora cronista del Corriere della Sera Franco di Bella dovuto all’abitudine di nascondere un fucile mitragliatore in una custodia di violino durante le düre (le rapine nel gergo della mala milanese). Vedendolo spesso uscire con la custodia gli inquilini del palazzo in cui viveva pensavano che fosse un maestro di musica. E lui, per ingannare loro e la portinaia, registrava le esecuzioni col violino di un amico per poi riprodurle con il mangiacassette la sera fingendo di essere impegnato in lunghe sessioni di prove.



Viene arrestato a Parigi nel 1965 dopo una sparatoria nella quale rimarrà gravemente ferito e passa 12 anni nelle carceri francesi. Qui inizia a scrivere e a dipingere (se avete dei soldi potete acquistare qualche suo quadro anche su eBay); inoltre tiene una corrispondenza con l’allora presidente del Camera Sandro Pertini. Nel 1971 viene graziato dal presidente francese Georges Pompidou ed estradato in Italia e dopo un periodo in carcere, nel 1976 anche da quello italiano Giovanni Leone. Muore il 13 maggio 2013 all’età di 75 anni. La sua storia ispirerà anche un film: Svegliati e uccidi del 1966 per la regia di Carlo Lizzani e Le gitan (Lo zingaro) del 1975 di José Giovanni, in cui a interpretare il protagonista è Alain Delon.
Vent’anni prima di lasciarci, nel 1993, Luciano Lutring era ricoverato in ospedale e durante la degenza ebbe modo di comporre alcune poesie ed entrare in contatto col compositore Fiorenzo Bernasconi che, una volta lette, lo convinse a metterle in musica. Il risultato è Songs for Luciano, disco edito dalla piccola etichetta Ducale nel 2003, suonato dalla G&V Band, che vede Stefano Caniato al piano, Carlo Cantini al violino (non poteva certo mancare il violino!), Fiorenzo Bernasconi alla fisarmonica, Alberto Guareschi al contrabbasso, Massimo Caracca alla batteria, Francesco Salis al piano, Lucia Brovelli alla chitarra, Francesco Montori alla tromba, Marco Cocconi al basso e Riccardo Biancoli alla batteria; è composto da 21 brani e lo stesso Lutring lo descrive così: «C’è l’atmosfera dei night e delle balere della mia gioventù, ci sono i blues e i ritmi messicani. Eravamo una malavita più romantica, rubavamo per regalare un gioiello alla ballerina, o per offrire lo champagne agli amici. Adesso si legge di cose tremende, non c’è più rispetto neppure per i bambini e per gli anziani. Rispetto ai balordi di adesso eravamo dei farlocc (ingenuo nel gergo della mala. n.d.r.)».
Nella scaletta trovano spazio momenti parlati in cui la voce di Lutring ci racconta la sua storia, come nella traccia Nota biografica e altri in cui introduce i pezzi spiegandone il senso. E la vecchia ironia di Lutring non esita a fare capolino, come quando presentando la traccia Tanghero tanghero parla della sua prigionia dicendo «quando ero ospite al convento delle orsoline, ovvero detenuto nei frigoriferi di stato».
Accanto a queste introduzioni parlate troviamo alcune composizioni del pianista Stefano Caniato. Strumentali ispirati alle persone che hanno accompagnato la vita di Luciano come Flora (la terza moglie Flora d’Amato), Blues for Natasha and Katiusha (le sue figlie) e Yvonne (il grande amore del ladro-gentiluomo) e il modo in cui si conobbero racconta bene che tipo di bandito fosse Lutring. Alla fine degli anni ’50, durante una vacanza a Cesenatico, decide di rubare le valigie da una macchina targata Zurigo. Dentro non c’erano soldi, ma solo bei vestiti, biancheria intima e anche qualche foto della proprietaria, la ballerina e indossatrice Yvonne Candy (vero nome di Elsa Candida Pasini) la cui bellezza colpisce il giovane Lutring che si apposta fuori dal suo albergo e le dice che lui può provare a recuperare la sua valigia. La mattina dopo gliela restituisce e 40 giorni dopo i due si sposano (in realtà una balla inventata da Lutring perché i due si sposeranno solo due anni dopo). Rimarranno insieme sino al 1971 quando lei chiederà il divorzio, cosa che gli fece tentare il suicidio. Nel 1978 lei morirà a causa di un tumore, ma l’ormai ex bandito continuerà a ritrarla nei suoi quadri.
E proprio sul pianista Stefano Caniato vale la pena aprire una parentesi, perché la sua carriera presenta uno di quei momenti assurdi che tanto apprezziamo. All’attivo ha diverse collaborazioni sempre maturate in ambito jazz e blues oltre che due album, uno in trio e uno solista, che possono vantare delle copertine di rara bruttezza: Henry’s tune e Kisses for Lara (cercateli, concorderete sicuramente con me) Nel 1992, improvvisamente, si allontana dai suoi generi prediletti e scopre la musica dance (si deve pur sempre mangiare). Il risultato di questa infatuazione sono quattro remix firmati Stefano “Fast Hands” Caniato: due per Revenge, pezzo acid house degli L.S.D., e gli altri per Spend the weekend e It’s the weekend di Amy-Lou Charles.



Tornando al disco, all’interno si trovano anche le canzoni scritte da Luciano Lutring e cantate da Olga Glamour (Tanghero tanghero), Chiara Sgerbini (Brother blues, senza dubbio il testo più surreale del lotto: la storia di un pidocchio che decide di cambiar vita saltando su un altro cane), Monica Della Vedova (La seconda) e Patricia Rappe (Lucky Blues, questa scritta da Bernasconi per Lutring). Le voci delle interpreti non sono certo brutte ma vista l’atmosfera dei brani, che rimanda a una dimensione da night club, è inevitabile pensare a quale sarebbe stato il risultato se a cantarle fossero state Ornella Vanoni, Milva o ancora meglio Didi Martinaz, che un altro bandito milanese, Renato Vallanzasca, era solito andare ad ascoltare insieme alla sua banda per chiederle ogni sera la stessa canzone, Lui andava col motorino.
Luciano Lutring presta anche la voce per la recitazione di due pezzi: La seconda e Lucky Blues. Ma non vi aspettate di essere di fronte a un nuovo Carmelo Bene. Diciamo che è meglio quando racconta a ruota libera le sue avventure piuttosto che quando interpreta dei testi scritti. Ah, pur non essendo propriamente portato per la recitazione non si è fatto mancare nemmeno questa esperienza: nel 2010 infatti ha recitato in un corto intitolato L’uomo col toscano.
E a proposito di brani recitati a chiudere tutta l’operazione c’è Commiato, in cui Luciano Lutring, senza nessun sottofondo musicale, anticipa l’epitaffio che aveva scelto per la sua tomba: «Qui giace un uomo che in vita ha corso molto e che adesso vorrebbe riposare».
Del disco dovrebbe esistere anche una versione deluxe uscita qualche anno dopo, di cui purtroppo però sembra essersi persa ogni traccia. Ed è un vero peccato perché le bonus track sarebbero molto interessanti da ascoltare. Si trattava di alcuni brani strumentali pensati per la colonna sonora di Una vita da dimenticare, il film autobiografico di Lutring che ahimè non ha mai visto la luce. Ma non solo. Nella nuova edizione erano state coinvolte anche le figlie che da buone gemelle omaggiavano le Sorelle Kessler cantando Da-da-un-pa (indimenticabile sigla di Studio Uno) e Concertino, che in realtà non era un pezzo loro ma era stato originariamente inciso dal Quartetto Cetra nel 1959.
Nell’attesa di mettere le mani anche su questa versione non ci resta altro da fare che versarci un bicchiere di J&B, far ripartire il disco dall’inizio e sognare una Milano che non esiste più.