Una cantante che usa il nome d’arte di Sibilla, che canta una canzone dal titolo Oppio (droga sì, ma esotica), con un testo che parla di Cartagine, della sua bellezza nei tempi antichi e il cui ritornello culmina con la frase in ebraico «Uru belev sameach» (dal canto popolare Hava Nagila) non vi porta alla mente nessuno?
Se il vostro pensiero è stato Franco Battiato, complimenti perché avete fatto centro.
Sibilla è il nome d’arte della cantante italiana, ma nata nello Zimbabwe Sibyl Amarilli Mostert. A parte un paio di 45 giri firmati da Franco Battiato e Giusto Pio (violinista e collaboratore del cantautore siciliano per molti anni) nel suo curriculum spunta il brano Keoma (1976) tratto dalla colonna sonora del film western omonimo di Enzo G. Castellari e composto dai fratelli Guido e Maurizio De Angelis, nonché una piccola particina nella pellicola di Federico Fellini Prova d’orchestra (1979) nel ruolo della flautista.
Dopo questo il nulla e il nulla sarà anche della sua carriera dopo una sfortunatissima partecipazione al Festival di Sanremo nel 1983, a eccezione di un prestigioso duetto con Paolo Conte nel brano La canoa di mezzanotte incluso nel suo album album Parole d’amore scritte a macchina del 1990. Tutto questo per dire che la ragazza aveva stoffa.
Praticamente senza nessuna esperienza Sibilla approda alla competizione canora più prestigiosa d’Europa presentando il brano Oppio scritto a sei mani assieme alla copia Franco Battiato e Giusto Pio venendo eliminata alla prima serata principalmente a causa di un problema tecnico che ne compromise irrimediabilmente l’esibizione.
Giusto Pio lo racconta nel dettaglio in un’intervista: «Stonò in modo allucinante! Io e Battiato non potevamo andare a Sanremo, non avevamo tempo perché eravamo in sala d’incisione. Allora la accompagnò il produttore. Lei fu presa dal panico e per aiutarla, invece di mandarle la base sopra cui lei doveva cantare, le mandarono il brano intero. Lei doveva solo far finta di cantare. Invece cantò lo stesso e si sentì ancora di più la stonatura. Quando la sentii in televisione la sera a casa mia, mi misi a ridere. Fu un disastro. Un disastro! Peccato, perché era bravissima, e la canzone ha venduto 30.000 copie nonostante tutto! Poi, dopo Oppio e Svegliami fece un altro paio di canzoni, Plaisir d’Amour e Sex-Appeal to Europe, sempre cantando molto bene, ma ormai la casa discografica l’aveva scaricata».
In realtà riguardo questo incidente Eddy Anselmi, uno dei più grandi esperti mondiali di Sanremo, sostiene che le cose siano andate in maniera diametralmente opposta, ovvero che Sibilla sapeva di dover cantare in playback, ma come vuole la norma, quando gli artisti cantano in playback hanno solo il microfono spento ma cantano davvero, per rendere più realistico lo sforzo e le espressioni facciali. A quanto pare a Sibilla fu lasciato accidentamente acceso il microfono quindi alla traccia vocale sul nastro si sovrappose la sua vera voce che però stava intonando in libertà non sapendo di avere il microfono aperto.
A parte la disastrosa performance in diretta televisiva la canzone fu presto dimenticata da tutti anche perché quell’edizione regalò parecchi brani di successo rimasti nel bene o nel male nella memoria della musica italiana e non solo, tipo L’italiano di Toto Cutugno, Vita spericolata di Vasco Rossi, Vacanze romane dei Matia Bazar e la vincitrice Sarà quel che sarà di Tiziana Rivale.
Il tempo non è stato nemmeno galantuomo con Oppio che spesso viene ricordata come un esempio di “canzone brutta”, ma è effettivamente così? Riascoltato senza pregiudizi il brano di per sé è bello e neanche poco: orecchiabile, elaborato ed interessante, si coniuga perfettamente con il pop elettronico e sofisticato di Franco Battiato della prima metà degli anni ’80 sulla scia gravitazionale di canzoni come La stagione dell’amore o Voglio vederti danzare.
La cosa in fondo non sorprende, eravamo nel periodo d’oro per la penna del cantautore siciliano che partoriva canzoni o addirittutra interi album con instancabile facilità sia per sè sia per altri (Alice, Giuni Russo, Milva e lo stesso Giusto Pio) raggiungendo livelli impressionanti e difficilmente eguagliabili per qualità, quantità e successi.
In Oppio non c’è nulla di sbagliato, nulla fuori posto; musicalmente è una canzone più che suggestiva e Sibilla canta molto bene passando da un tono basso nelle strofe al falsetto (pur se contenuto) nel ritornello. Però manca quella scintilla che fa la differenza e che strappi la canzone dal buco nero del dimenticatotio, relegandola nel migliore dei casi alla sezione “curiosità” del repertorio del maestro di Ionia.
Chi la conosce se la vada a riascoltare mentre chi è a digiuno provveda a scoprire questo piccolo gioiellino, perché canzoni con versi quali «Ho perso la testa, ma sto bene anche senza» (quel sottile filo d’umorismo che in Battiato non deve mai mancare) non meritano di essere abbandonate a sé stesse.
Oppio
Fuochi accesi negli accampamenti nomadi
E fumatori d’oppio dall’Oriente sui tappeti
Le visioni riempiranno le mie mani vuote
Cartagine era bella in mezzo ai melograni
È vero, dò i numeri
Dividili con me
Ho perso la testa
Ma sto bene anche senza
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Scivolando sulle soglie di nuovi amori
Con misteriosi nomadi per misteriose mete
Giochi di prestigio con i fili del destino
A quel tempo l’oppio ci costava meno di una birra
È vero, dò i numeri
Dividili con me
Ho perso la testa
Ma sto bene anche senza
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
L’equilibrio di quel té alla menta alla Medina
E i passi nelle dune fanno l’eco all’universo
Eravamo ancora dilettanti di delitti
Cartagine era bella in mezzo ai melograni
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach
Uru belev sameach