Roberto Ferri è un contautore piuttosto borderline: autore contemporaneamente di canzoni di enorme successo come Sarà quel che sarà per Tiziana Rivale che vinse il Festival di Sanremo del 1983 o …E dimmi che non vuoi morire per Patty Pravo (assime a Vasco Rossi e Gaetano Curreri), e brani scherzosi ma intelligenti per la moglie Marinella (Bulzamini) come Autunno, cadono le pagine gialle e l’appiccicosa Ma chi te lo fa fare.
Tutto questo fu frutto molto probabilmente dell’influenza dalla giovane scena bolognese degli anni ’70 in cui era cresciuto tra Gaz Nevada, Skiantos, Luti Chroma, Paco d’Alcatraz, Sorella Maldestra e anche un incontrollabile Andrea Mingardi con i suoi Supercircus.
La carriera di interprete però non decollò mai veramente, ristagnando in un semi-anonimato fatto di un paio di dischi e una manciata di singoli. Tra questi però merita di essere ricordato un bizzarro esperimento, quando nel 1980 decise di fondere il nuovo suono in levare giamaicano con l’Inno di Mameli.
Italian Brothers Reggae è un po’ la risposta nostrana a quello che fece Serge Gainsbourg con Aux armes et caetera proprio l’anno prima, ma da noi non vi furono turbolente polemiche o minacce di morte da parte dei nazionalisti di destra (se non per qualche giornalista trombone) e tutto si risolse in qualche ospitata televisiva e nulla più. Insomma una semplice goliardata.
https://youtu.be/C_HAgztsm5E
I toni demenziali continuano sul lato B con la sgangherata E123, canzone dedicata al colorante che dava il tipico tono amaranto al Rosso Antico, tradizionale aperitivo bolognese a base di vino; una scheggia impazzita di funk-pop-new wave senza capo né coda tra carambole vocali e acuti assassini, ma che per magia si regge in piedi mostrandoci ancora una volta quanto fosse vivo, folle e anarchico il sottobosco cantautorale italiano tra fine anni ’70 e primissimi anni ’80.