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I film di Renzo Arbore: il folle incontro tra cinema, musica e TV

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Nel 1980, reduce dal grande successo ottenuto da L’altra domenica, Renzo Arbore decide di fare un ulteriore passo avanti nella sua carriera e tenta la via della regia cinematografica. Il film che scrive insieme a Luciano de Crescenzo e di cui cura la colonna sonora è Il Pap’occhio, satira religiosa e politica che il questore de L’Aquila fece sequestrare «per vilipendio alla religione cattolica e alla persona di S.S. il papa» e che venne riabilitata soltanto nel 2010 dal portavoce dell’Opus Dei Pippo Corigliano. Che questo tipo di irriverenza serpeggiasse fra Arbore e i suoi accoliti era già parso evidente nell’edizione del Festival di Sanremo di quell’anno: Roberto Benigni infatti, di fronte a un impietrito Pippo Baudo, si fece scappare un «Wojtylaccio» che gli costò più di una denuncia.

il pap'occhio locandina 1980

Il primo motivo di interesse del film è senza dubbio l’incredibile cast che, oltre allo stesso Benigni, vede la partecipazione di Renzo Arbore, Luciano De Crescenzo, Diego Abatantuono, Isabella Rossellini, Le sorelle Bandiera, Andy Luotto, Franco Bracardi, Salvatore Baccaro, Ferdinando Murolo, Mariangela Melato, Silvia Annicchiarico, Milly Carlucci, Mario Marenco e altri. Sicuramente la comparsata più incredibile è quella di Martin Scorsese, all’epoca sposato con la Rossellini. Nella sua autobiografia Silvia Annicchiarico racconta che dovette distrarre il regista americano per impedire che si accorgesse della tresca che la moglie aveva con Luciano De Crescenzo.

L’altro motivo è senza ombra di dubbio la trama, tanto semplice quanto efficace: il Papa (Manfred Freyberger) vuole che il suo messaggio arrivi anche ai più giovani, ormai sempre meno interessati alla fede. Per farlo contatta Arbore e gli chiede di prendere le redini della nascente televisione di stato vaticana. Arbore accetta a patto di poter coinvolgere la sua banda di folli, il gruppo de L’altra domenica, e con loro si reca in un Vaticano ricostruito per l’occasione nella Reggia di Caserta per iniziare a lavorare alla trasmissione inaugurale.

Le citazioni, musicali e non, snocciolate lungo i 110 minuti del film (che diventeranno 98 nella versione rimontata del 1995) sono numerosissime e farebbero impallidire persino Quentin Tarantino. La cena organizzata da Arbore prima della partenza per il Vaticano si svolge nel ristorante Da Bettino dove il cameriere è ovviamente un sosia di Bettino Craxi e finisce per trasformarsi nell’Ultima cena di Leonardo, con tanto di citazione biblica «prima che questo Gallo canti tre volte, qualcuno mi tradirà». Nella scena Gallo è un cantante interpretato da Matteo Salvatore, vero cantante foggiano che era da poco uscito di galera dove era finito per aver strangolato Adriana Doriani, sua corista, coautrice e compagna di vita. Le citazioni religiose non finiscono qui: mentre passeggia nei Giardini Vaticani, Arbore si imbatte in un gruppo che sta suonando e che si presenta come I Jazzemani, fanatici del jazz che passano le loro giornate suonando nel loro orto, L’orto dei Jazzemani appunto. Roberto Benigni viene convinto a tradire il suo mentore con trenta gettoni telefonici offerti dal cardinale Richelieu (I tre moschettieri).

Restando in tema di letteratura non si può non citare O’ coro d’o’ film, che ogni tanto interviene e riassume la trama musicandola, proprio come succedeva nelle tragedie classiche greche. Si presenta sulle note di Announciation, rivisitazione di Sixteen Tons di Merle Travis (poi ripresa anche nel brano Trenta gettoni) e prosegue cantando Vuje pensate sul’a mmagna e O’ giudizio universale rispettivamente sulle melodie degli spiritual americani Joshua fit the battle of Jericho e Go down Moses. Accompagnano anche una scena con protagonista Andy Luotto impalato (nel senso di immobile eh) davanti alla statua di San Simeone lo stilita vestita con la maglia blucerchiata della Sampdoria; cantano Andy è nnu bravo guaglione reinterpretando a modo loro il classico Down by the Riverside. Ovviamente la voce che canta è sempre quella di Renzo Arbore che, per restare in tema di citazioni musicali, dissemina il film di omaggi ad Elvis Presley: in apertura legge un libro sul Re e cita Love me tender mentre in sottofondo si sente Are you lonesome tonight? cantata dallo stesso Arbore, indossa una sua spilla, ha un suo poster vicino alla piscina e lo menziona durante una telefonata con Benigni. Benigni/Giuda che di contro nutre un’eguale smodata passione per Bobby Solo che vediamo ritratto in un poster al fianco di quello di Gramsci e del quale sentiamo Gelosia e Zingara. Anche in questo caso Arbore è un fiume in piena e dissemina la pellicola di omaggi e menzioni: da Peppino Di Capri a Claudio Villa, da Amanda Lear a Mina passando per Nicola Di Bari e Lucio Battisti. Indimenticabile la scena del water musicale con Julio Iglesias imitato da Gigi Sabani che attacca a cantare Vorrei vedere un altro al posto mio appena qualcuno ci si siede sopra. L’idea della tazza canterina verrà ripresa due anni dopo da Marco Risi in Vado a vivere da solo con Jerry Calà e nel seguito del 2008 Torno a vivere da solo.

A regalare grandi momenti artistici sono soprattutto le audizioni e le prove per il debutto televisivo. Le Sorelle Bandiera rivisitano Fatti più in là, sigla de L’altra domenica, e la fanno diventare Nell’aldilà. Mariangela Melato recita un brano tratto da La figlia di Iorio di Gabriele D’annunzio, ma Renzo Arbore la scarta perché troppo sciatta ma soprattutto perché pensa che sia la figlia di questo Iorio e lui di raccomandati non ne vuole (pare che lo schiaffo che la Melato rifila ad Arbore in chiusura di scena sia stato improvvisato sul momento). Leonardo Cassio detto Dino canta la canzone strappacore Non correre papà insieme alla piccola Marzia Tornari che con il verso «Non torna mio papà, è tutto spiaccica’ sull’autostra’» anticipa di quasi 40 anni il cantato di Quentin40 e Achille Lauro in Thoiry.

Ma la vetta si tocca senza dubbio col Coro a bocca chiusa Città di Napoli che, con Ferdinando Murolo come maestro e Lorenzo Spadoni come solista, eseguono Azzurro a suon di mugugni e pernacchie. Nel coro compare anche il compianto Salvatore Baccaro.

Menzione d’onore anche per il telegiornale della TV vaticana presentato da Gerardo Carmine Gargiulo (recuperate il suo Avellino Express, ma anche la lode berlusconiana A Silvio). Le notizie vanno dai 450.000 morti di «fede maomettana» data ridendo alla decisione di Cicciolina di farsi suora.

Alla fine Gaudium Magnum, questo il titolo scelto per la trasmissione, riesce ad andare in onda presentata da Renzo Arbore e diretta da Martin Scorsese, trasmessa in mondovisione con la sola esclusione di Foggia (città natale di Arbore). L’apertura affidata al Canto dei lavoratori in salsa cattolica suscita sdegno e il Padreterno in persona, interpretato da Luciano De Crescenzo, si presenta in studio a bordo di una Panda per spedire Arbore e i suoi accoliti in Paradiso, dove chiudono il film cantando When the Saints Go Marchin’ In.

A stretto giro di posta esce Il resto del Pap’occhio, 56 minuti di scene eliminate dal film. Calcolando che quasi tutto il materiale riguarda dei provini per la trasmissione televisiva, praticamente si assiste a una puntata de La corrida popolata da cover improbabili, cantanti altrettanto improbabili, ballerine di flamenco ottuagenarie, imitatori di uccelli e barbieri sopra le righe.

Tre anni dopo Arbore ci riprova. Scrive (ancora insieme a De Crescenzo) e dirige FF. SS.  – Cioè: “…che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?”. Per quanto l’idea di partenza sia molto interessante il film è meno riuscito del precedente. L’incipit però è da ricordare: Arbore e De Crescenzo, in cerca di idee per il loro nuovo film, si trovano sotto la finestra della casa di Federico Fellini da cui cade per errore una sceneggiatura intitolata Federico Fellini Sud Story. I due raccolgono il copione e decidono di girare il film. Fellini non apprezzò per niente la scena; non tanto per la storia del copione rubato, quanto per quella in cui, imitato da Teodoro Ricci, rischia di pisciarsi addosso perché Giulietta non esce più dal bagno.

Partono così le riprese del film nel film in cui Arbore interpreta Onliù Caporetto, impresario campano con look alla James Senese che tenta di portare al successo la giovane Lucia Canaria (Pietra Montecorvino). La ragazza, che a Napoli lavora come sorvegliante in un bagno pubblico, è dotata di uno straordinario talento canoro ma è anche affetta da “napoletanite”, uno strana malattia che le provoca svenimenti ogni volta che sente profumi e suoni che le ricordano la sua terra. Per quanto Arbore/Onliù a parole le prospetti un successo stratosferico ed esibizioni su palchi importanti nei fatti riesce al massimo a farla ospitare su Tele Ottaviano, poverissima TV locale. Lì incontrano lo sceicco Beige, un Roberto Benigni inventore dell’Arabian sound di cui è un fulgido esempio il pezzo che porta lo stesso titolo: un disco funk niente male, dove a farla da padrone è il basso di Fabio Pignatelli dei Goblin. Il resto della resto della band è così composto: Luciano Ciccaglioni e Fernando Fera alle chitarre, Walter Martino alla batteria, Giancarlo Maurino al sax, Derek Wilson alla batteria e il maestro Gianni Mazza. Il brano fa parte della colonna sonora del film insieme ad altri tre pezzi: Il pillolo cantata ancora da Benigni, Core napulitano di Arbore e Sud interpretata dalla protagonista del film.

Dopo l’incontro con lo sceicco Onliù e Lucia iniziano a girovagare in un’Italia fatta di stereotipi alla ricerca del contatto giusto. Transitano in una Milano fatta solo di nebbia in cui Arbore sfoggia un buffo giubbotto a righe oversize che tre anni dopo rivedremo addosso a Lino Banfi in Scuola di ladri e arrivano in una Roma volgare, cafona e stornellara (estremamente disgustosa la scena ambientata nell’osteria. Non vi dico nulla, guardatela).

Tutto il film è costellato di momenti nonsense e soprattutto di camei di personaggi famosi. Citiamo per il primo campo una foto autografata di Giulio Andreotti con dedica a sé stesso, Isaac George (mitico caratterista di colore) che nel ruolo di aiuto regista di Arbore lo assiste nella misurazione di alcune tette che sbucano da un sipario e il personaggio di Andy Luotto, un arabo cocainomane che traduce alcune parti della storia per i suoi conterranei.

Per quanto riguarda i camei la lista è lunghissima e sorprendente: oltre ai vari attori e uomini di spettacolo come Massimo Troisi, Mario Marenco, Ferdinando Murolo (usciere della Rai), Martufello (un beduino), Gigi Proietti, Sandra Milo, Dino Cassio (Curtatone e Montanara), Pippo Baudo, Gianni Boncompagni, Raffaella Carrà con il marito Sergio Japino, Maurizio Costanzo, Lory Del Santo, Nino Frassica (tecnico di Tele Ottaviano), Gerardo Gargiulo, Alfredo Cerruti, Domenico Modugno, Gianni Morandi, Bobby Solo (investe Arbore e la Montecorvino), Luciana Turina e Claudio Villa (sarà la sua ultima apparizione al cinema) troviamo anche il pittore Renato Guttuso (un madonnaro), il cronista sportivo Nando Martellini e il giornalista Gianni Minà (protagonista di una pubblicità di un insetticida). Una parata di volti noti che rappresenta sicuramente la parte più interessante del film insieme ai 15 minuti finali. L’epilogo, infatti, è ambientato al Teatro Ariston durante il Festival di Sanremo. E non è una finzione cinematografica. Arbore e la sua troupe ottennero il permesso di girare sia all’esterno che all’interno del teatro proprio mentre era in corso la kermesse. E non è tutto, riescono anche a sfruttare il palco e la scenografia nell’ultima scena che vede prima Benigni/sceicco Beige cantare Il pillolo e poi Pietra/Lucia esibirsi con Sud accompagnata da un improbabile coro.

Un’ultima cosa. Le riprese all’Ariston hanno dato vita a un mito che è il caso di sfatare. Da più parti si legge che nel film fa un cameo anche Vasco Rossi; sarebbe uno dei ballerini che si esibiscono insieme a Benigni. Purtroppo, perché sarebbe stata una cosa davvero stupenda, si tratta di un falso storico. Avendo girato molto materiale durante i giorni passati a Sanremo non tutte le scene sono poi finite nel film. È vero che nei titoli di coda il nome di Vasco Rossi compare fra i ringraziamenti e che quell’anno era in gara con Vita spericolata, ma è molto probabile (anzi sicuro) che le riprese in cui lo si vedeva siano state tagliate in sede di montaggio.

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