Sono in molti a prendersela con gli anni Novanta ma a cercar bene si trova sempre qualche scheletro nell’armadio e a questa regola non scritta non fanno certo eccezione i primi anni Duemila. Proprio in quegli anni, complice un rinnovato interesse da parte dell’industria musicale nei confronti dei gruppetti pop-rock magari pseudo punk (senza avere idea di che cosa fosse la musica punk), fiorirono tutta una serie di band destinate a durare lo spazio di uno sbadiglio pur conoscendo, in questo breve lasso di tempo, anche una certa fortuna.
È questo il caso dei romani Plastico, attivi dal 1998 al 2003, nati da un’idea della cantante Diana Tejera, che ha poi continuato la sua carriera come solista. Padre andaluso e mamma italiana, appassionata di musica fin da piccola muove i primi passi al Centro Europeo Tuscolano di Mogol (non esattamente una fucina di rock’n’roll) e nel 1998 dà vita al progetto musicale Pink! con la collega Irene Boreggi; il tempo dell’album “Sixtematicamente” nel 1999 e al duo si uniscono anche il bassista Stefano Galafate e Raffaele Venturi cambiando nome in Plastico visto che esisteva già una cantante discretamente famosa che aveva praticamente lo stesso nome.
Fiutato il potenziale (?) la Universo li mette sotto contratto per un paio di album. Quello di maggior successo fu proprio il primo, quel “Sensibile al Tatto” del 2001, che, complice il clima favorevole per certi suoni e una buona promozione infila un paio di singoletti di successo come “Paranoia” e “Tubo”, che fruttano alla band una discreta notorietà tanto da diventare il gruppo spalla dei Lùnapop nel loro tour di quell’anno.
Ora mettiamo da una parte facili battute e sorrisini sarcastici e diamo una chance alla band, in fondo per un gruppo emergente aprire la tournée di qualcuno può non significare nulla di troppo drammatico. Forse.
Ascoltando senza paraocchi (o paraorecchie) “Tubo” ci si rende subito conto del fatto che i Plastico avessero ben poco da dire e infatti non lo dissero. Con un suono a metà strada tra dei bambini che provano a imitare i Prozac+, insopportabili urletti che vorrebbero dire “hey noi siamo una rock band, gridiamo anche nel microfono” e un certo birignao della Tejera, la volontà di cambiare canzone sorge spontanea dopo il primo minuto e mezzo d’ascolto.
Così la canzonetta ci appare senza molta personalità, a tratti quasi fastidiosa, specie nel ritornello infarcito del termine “tubo” ripetuto mille volte (“Tubo, sto in un tubo, solo un tubo / ma che tubo non riesco a uscire / … / se resto ancora qui io mi intubo”) e di troppi strascicatissimi “se” e “qui” dei quali non si comprende molto il senso. Neppure le doti vocali della Nostra appaiono particolarmente brillanti e per una che è uscita dalla fucina di Mogol era lecito aspettarsi qualcosa di meglio. Probabilmente peccati di gioventù visto che oggi ha intrapreso una carriera come solista e autrice di testi seguendo le orme del suo mentore, il che fa sperare che in questi anni, non potendo peggiorare, abbia avuto un miglioramento.
Una menzione va fatta anche al video, che pare effettivamente fatto su misura proprio per i Lùnapop, nel quale si vede la band suonare, mentre diverse persone sono intente a fare diverse attività incastrate in mezzo a dei tubi, finché anche il gruppo stesso finisce in questi tubi: surrealismo spicciolo allo stato puro.



Senza sorpresa dopo il classico passaggio (a vuoto) a Sanremo nella categoria Giovani con il brano “Fruscio” e un secondo album di scarso successo (“Incontri Casuali” del 2002) i Plastico si sciolgono inesorabilmente come la neve a primavera. Solo il bassista Stefano Galafate ha continuato a lavorare nel campo della musica come autore e musicista, partecipando, tra gli altri, ai lavori di Arisa, Carmen Consoli e Francesco Gazzé (il fratello di Max). Anche Diana Tejera ha inanellato collaborazioni “di un certo livello” nel mondo del pop italiano, come Nathalie e Tiziano Ferro, mentre attualmente fa parte del duo Ed Mondo ma pur essendo nel settore da tanti anni e dopo essersi riciclata in varie maniere, non è ancora riuscita veramente a raggiungere il grande pubblico.
Tubo
Chiusi dentro un tubo non
si ragiona più
incastrati in un idea
univoca
in un tubo non c’è mai
dimensione e tempo logico.
Tubo, sto in un tubo, solo un tubo
ma che tubo non riesco a uscire
aria non c’è aria non c’è luce
non c’è spazio soltanto un filtro
alla ragione
se resto ancora qui io mi intubo.
Chiusi dentro un tubo non
si respira più
soffocati da un idea
monotona
in un tubo non c’è mai
distrazione che ti porti via.
Tubo sto in un tubo solo un tubo
ma che tubo non riesco a uscire
aria non c’è aria non c’è luce
non c’è spazio soltanto un filtro
alla ragione
se resto ancora qui io mi intubo.
Viaggio adesso in un intatta
dimensione personale
senza modo di pensare
alla dovuta comprensione.