Spesso e volentieri la musica scatena emozioni così profonde che è difficile descrivere e contenere, quasi fosse una porta temporale emotiva, quella bellissima sensazione di tornare per un attimo bambini quando ad esempio sentiamo un determinato odore che inevitabilmente colleghiamo a ricordi d’infanzia.
Gli Oliver Onions per la mia generazione (ho passato gli “anta” da un po’) hanno significato la colonna sonora della spensierata felicità, quando guardavamo con i nostri genitori quei magici film leggeri e divertentissimi interpretati dai mitici Bud Spencer e Terence Hill.
E’ un privilegio parlare di un disco nuovo degli Oliver Onions nel 2021, in quanto negli scorsi lustri hanno solo fatto sporadiche apparizioni, come la mitica reunion del novembre 2007 dopo ben 25 anni di inattività al Lucca Comics Festival. Concerto a dir poco emozionante, un primo tuffo al cuore davvero incredibile.
Ultimamente hanno incrementato il numero di concerti, sempre centellinandoli, fino ad arrivare ad una nuova produzione con le versioni 2.0 dei loro più grandi successi. Tutto questo è Future Memorabilia.
Il lavoro si apre con la mitica Dune Buggy, forse il loro pezzo più iconico, osando con un arrangiamento molto più ricco, moderno e cibernetico, ma senza stravolgere l’ originale. Una bella rinfrescata che onestamente non dispiace per nulla.
La nuova versione di Bulldozer si arricchisce con una iniziale drum machine e il risultato sembra a un brano della Yellow Magic Orchestra con suoni che si ispirano agli anni ’80 e anche in questo caso il risultato è apprezzabile.
Iniziano i dolori con i “featuring”. Tommaso Paradiso, già ex componente dei The Giornalisti trasforma Orzowey in un esercizio hipster con poco mordente.
Sandokan è una collaborazione con Claudio Baglioni che aveva già reinterpretato il brano nel 1997 per l’album Anime In gioco (di cui si parlò proprio su questi lidi parecchio tempo fa); questa versione (per fortuna) abbandona lo stile e gli arrangiamenti “baglioneschi” lasciando un brano ascoltabile ma nulla di più. Terminato l’ascolto ci si chiede più che altro quale sia stato il contributo dell’ospitata, visto che il “fattore Claudio Baglioni” non va oltre il livello “tappezzeria”.
Si prosegue rapidi con Flying Through The Air, qui è arrangiata a festa, quasi fosse una moderna Magical Mystery Tour di beatlesiana memoria. E’ piacevolmente scorrevole e ha quel tocco magico, rarissimo nelle cover, nel quale sembra che il passato si fonda con il presente e venga celebrato in maniera giusta. Promossa.
Il colpo al cuore, fortissimo, arriva con Banana Joe. Questa versione è cantata da Bud Spencer, con un arrangiamento nuovo di zecca davvero riuscito nella sua semplicità e con il tipico, irresistibile ritmo caraibico. Si tratta di un artificio tecnologico costruito isolando la dolcissima performance di Bud mentre canticchia il brano in una non definita trasmissione con Pippo Baudo. Inutile dire che mi ha strappato più di un sorriso. In fondo è un tenero omaggio all’indimenticato attore napoletano.
Nemmeno il tempo di asciugare qualche lecrimuccia ed ecco che arriva la nuova versione di Santa Maria, piazzata chiaramente per strizzare l’occhio al mercato tedesco (e non sarà l’unico episodio) dove Bud e Terence sono forse addirittura più popolari che nel Bel Paese. Questo duetto è con Roland Kaiser, famoso e prolifico cantante schlager tedesco. Senza infamia né lode se via piace il pop mitteleuropeo.
Altro pezzo forte è La la la la lalla, il mitico coro dei pompieri, brano mai pubblicato ufficialmente ed interpretato ed arrangiato insieme ad Elio e le Storie Tese (ma non si erano sciolti?). La loro magia è come sempre ineguagliabile, il dolce flauto traverso di Elio fa da apripista a quella che inizia esattamente come la Canzone mononota, ma con un testo diverso, per poi diventare il famoso coro. Ho davvero sentimenti contrastanti per questa versione, in quanto se da una parte abbiamo la perfetta costruzione musicale tipica dell’ormai ex (?) complessino, dall’altra la parte cantata sembra quasi forzata ed il breve testo creato per l’occasione pare un po’ troppo banale e spento («Coro dei pompieri, coro dei pompieri, sempre molto bello oggi come ieri. Lo cantinamo fieri, il coro dei pompieri, ed è un grande onore essere qua»).
Il brano successivo è Sheriff, canzone che personalmente adoro, qui interpretata da nientepopodimenochè David Hasselhoff, il mitico Michael Knight di Supercar o Mitch Buchannon di Baywatch per i più giovani (o sarebbe dire meno vecchi). L’attore/produttore/cantante (per chi ancora lo ignorasse ha una discografia ricchissima iniziata a metà anni ’80 e per qualche oscuro motivo è molto apprezzato in tutti i territori germanici) interpreta il brano come se fosse uno scafato rocker alle prese con un suo successo del 1985 fuori tempo massimo. Peccato perché il nuovo arrangiamento non è male per nulla. Ulteriore pecca il finto pubblico verso la fine della canzone, ma perché?
Il disco si chiude con We Believe In Love, soporifera ballatona che non aggiunge assolutamente nulla al disco, interpretata in un duetto con Elhaida Dani. Lo ammetto, ho dovuto andare a cercare chi diavolo fosse: i più giovani la ricorderanno come la vincitrice della prima edizione del talent show The Voice of Italy nel 2013 sotto la guida di Riccardo Cocciante, che poi la porterà in tour in giro per il mondo nella versione francese del musical Notre Dame de Paris. In Italia non sboccerà mai, ma continuerà la carriera nella natia Albania (che rappresenterà all’Eurovision nel 2015, ma con scarsa fortuna). Proprio la sua voce è l’unica nota positiva in una brano spento e, ad essere generosi, senza infamia e senza lode.
Personalmente avrei voluto più emozioni da questo Future Memorabilia, magari con un paio di canzoni in più, visto che c’era davvero l’imbarazzo della scelta dove pescare nell’immensa discografia di Guido e Maurizio De Angelis. Altro problemino mica da poco è che il disco funziona meglio nei brani senza ospiti, e per una lavoro che si basa principalmente sui duetti non è una pecca da poco: tralasciando l’omaggio fatto con Banana Joe, i cantanti non hanno dato quella marcia in più al lavoro che si poteva aspettare.