La celeberrima Papaveri e papavere l’abbiamo sentita tutti almeno una volta nella vita, canzone portata da Nilla Pizzi al Festival di Sanremo del 1952, anno in cui la cantante bolognese fece man bassa di premi aggiudicandosi sia il primo che il terzo posto, visto che le regole all’epoca permettevano di portare più di una canzone per concorrente; non per tutti però accolsero il brano come un motivetto allegro e spensierato come poteva apparire in un primo momento.
Anche grazie alla sua innegabile orecchiabilità il 78 giri del brano (ricordate quel formato a 10”?) fu uno dei più venduti dell’anno e successivamente la canzone divenne uno standard della musica italiana, tanto che ancora oggi è un evergreen in tutti gli asili d’Italia. Tutto questo portò a inevitabili speculazioni sul testo: si ipotizzò infatti che contenesse in realtà un duro messaggio sociale nel sottotesto sotto forma di canzonetta senza senso e dal ritmo leggero.
Leggendo attentamente le liriche e superando i giochi di parole in effetti il testo è molto più strano di quello che può sembrare e decisamente più triste rispetto all’orecchiabile melodia, cosa non comune a Sanremo e dintorni (chi si ricorda di di Tobia e Lucia di cui abbiamo discusso nel nostro speciale sul festival di Sanremo degli anni ’50?).
Prima di addentrarci nel testo spendiamo due parole sugli autori: Mario Panzeri, Nino Rastelli e Vittorio Mascheroni. Il primo fu uno dei compositori più prolifici e di successo di sempre della musica italiana dagli anni ’30 fino agli inizi degli anni ’80, nonchè stretto collaboratore di Daniele Pace degli Squallor; qualche titolo a caso? Maramao perché sei morto, Pippo non lo sa, Grazie dei fiori, Casetta in Canadà, Come prima, Lettera a Pinocchio, Nessuno mi può giudicare, Fin che la barca va e l’incredibile Sarà un fiore.
Le canzoni gli provocarono non pochi problemi con la censura durante l’epoca fascista a causa di quei doppi riferimenti all’ambito politico del suo tempo che Panzieri definì sempre delle somiglianze totalmente casuali, negando ogni genere di umorismo o di satira nei confronti del regime. Bizzarre coincidenze ricorrenti.
Gli altri due li ricordiamo come co-autori assieme allo stesso Mario Panzieri di altri brani famosissimi: Nino Rastelli contribuì a Pippo non lo sa, il cui Pippo del titolo, che gira serio e impettito dandosi delle arie e che «si crede bello come un Apollo e saltella come un pollo» altro non era che Achille Starace, segretario del Partito Fascista, conosciuto per estrema e fanatica devozione nei confronti del Duce e per la vanità e la cura maniacale per il proprio aspetto, mentre Vittorio Mascheroni, altro musicista poco incline all’autorità politica del suo tempo e uno dei primi compositori a portare in Italia le sonorità jazz, appose la propria firma su Casetta in Canadà, guardacaso altro brano su cui si sono fatte diverse speculazioni circa un eventuale messaggio simbolico della povera gente oppressa dalla prepotenza dei più forti che resiste grazie allo strenuo impegno nel perseverare in ogni cosa.
Visto il pedegree degli autori l’ipotesi di doppi significati metaforici nel testo della canzone cantata da Nilla Pizzi non può che farsi ancora più plausibile.
Nel testo di Papaveri e papere ci imbattiamo nella storia di una paperotta che rimane stupita dalla vista dei papaveri, belli alti e colorati, ma il padre la desiste da qualsiasi possibile proposito di divenire come loro o divenir da loro accettata «e aggiunse poi, beccando l’insalata: Che cosa ci vuoi far, così è la vita!»:
Lo sai che i papaveri
son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina,
lo sai che i papaveri
son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far?
Successivamente i ruoli s’invertono narrandoci del’interesse di un papavero per la paperina, ostacolato da mamma papavero, apparentemente per la differenza tra le due creature:
Vicino a un ruscello che dirvi non so,
un giorno un papavero in acqua guardò
e vide la piccola papera bionda giocar…
e lì s’incantò.
Papavero disse alla mamma:
Mammà, pigliare una papera come si fa?
Non puoi tu pigliare una papera” disse mammà.
Se tu da lei ti lasci impaperare
il mondo intero non potrà più dire…
Lo sai che i papaveri
son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina,
lo sai che i papaveri
son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far?
Ma siccome le disgrazie non vengono mai da sole ecco che un’altra tragedia non tarda ad arrivare:
Un giorno di maggio che dirvi non so
avvenne poi quello che ognuno pensò
papavero attese la papera al chiaro lunar
e poi la sposò.
Ma questa romanzo ben poco durò
poi venne la falce che il grano tagliò
e un colpo di vento i papaveri in alto portò.
Così papaverino se n’è andato,
lasciando paperina impaperata.
Alla fine non è difficile credere al perché molte persone abbiano speculato su questo brano: c’è chi ha visto anche in questo caso dei riferimenti a personalità ben precise. Chi lesse riferimenti ad Amintore Fanfani, piccolo di statura, ma potentissimo esponente della Democrazia Cristiana, chi fece notare come in un manifesto della campagna elettorale del PCI di quello stesso anno gli alti ed imponenti papaveri democristiani venivano annientati dai colpi di falce (simbolo del proletariato) dell’azione rivoluzionaria del Comunismo, chi vide invece la situazione del ruolo subalterno della donna («sei nata paperina, che cosa ci vuoi far?») altri, invece, come Gianni Borgna (autore della Storia della canzone italiana, Laterza, 1985) ne diedero una lettura filo-conservatrice: «Una morale decisamente rinunciataria, che predica rassegnazione a oltranza e supina accettazione del proprio stato di inferiorità sociale».
Probabimente la verità sta nel mezzo come appare dalle parole dello stesso Mario Panzeri: «Il testo di Papaveri e papere mi è stato suggerito dalla prosopopea di certi personaggi politici. Credo che anche con una semplice canzonetta si possa fare della satira di costume».
Un brano allegro, simpatico e orecchiabile, con un testo quasi nonsense, ma venato di sottile satira contemporanea è finito per diventare una delle canzoni più note e canticchiate di tutta la musica leggera italiana, involontariamente o forse a discapito delle sue metafore (ma ne siamo davvero sicuri?), in ogni caso vi sfidiamo a trovare una canzone delle ultime edizioni di Sanremo che contenga un riferimento satirico (vero o presunto che sia) di questa portata.
Piccola nota a margine: il brano divenne un tale successo all’epoca che venne reinciso da un folta schiera di artisti internazionali di ogni parte del globo, tra cui Bing Crosby, Eddie Constantine, Yves Montand e Beniamino Gigli oltre alle innumerevoli versoni in Germania, Sudamerica e persino in Estremo Oriente: «Pensa che in Cina la cantavano ai funerali, mentre si accompagnava il morto», ha ricordato in un’intervista lo stesso Mario Panzeri.