E’ giunto il momento di urlarlo ai quattro venti: sono follemente innamorato di Mirella! Da quando la conosco non mangio più, dormo poco e piango.
Il nostro incontro avvenne per caso circa un anno fa quando mi fu recapitata a casa in mezzo a “uno stock al buio” e da allora la vado cercando negli anfratti più polverosi dei mercati dell’usato. Mediante quest’ingloriosa descrizione non ho intenzione di sminuire una figura diventata per me quasi un culto (si consideri che sono innamorato, non riesco a pesare le parole e provo secchezza delle fauci) e non sto parlando di un torbido giro di prostituzione postale da me fomentato.
Mi riferisco a una serie di 45 giri stampati da etichette misconosciute sin dal calar degli anni ’50 che traggono un certo valore dalla schietta audacia con la quale affrontano le tematiche accuratamente scelte. Niente d’introvabile o per collezionisti selezionati, sia chiaro: la nicchia che occupano è becera e polverosa piuttosto che intellettuale. Almeno lo è in apparenza e per destinazione d’uso iniziale dato che questi tipi di produzioni riempivano le camionette degli ambulanti nelle sagre popolari degli anni ’60 fino al termine dei ’70.
Mirella, in ossequio alle sue radici popolari, espone proverbi (“è più facile trovare un pesce già fritto che morire con il cazzo dritto“), parla di sesso, di politica, di società, di mariti cornuti, di barili di merda e scorregge nella steppa.
Abbiamo già parlato di come ella riesce trasversalmente a esporre argomenti di vario tipo mediante una serena leggerezza. Le sue canzoni, sempre accompagnate da ruspanti mulinelli di fisarmoniche in stile sagra del bestiame in Maremma (contesto in cui muove i primi passi assieme al padre Eugenio), hanno il potere di creare stupore destabilizzante, mediante un utilizzo estremamente volgare del linguaggio, ma anche interesse, dato l’accostamento dei temi in ballo e i possibili riferimenti metaforici.
Questo “Una sposa all’Abetone / La Luna, Caino e l’astronauta” di Mirella Bargagli è un 7” assai meno sboccato rispetto all’inimitabile “Il mio ragazzo / Carmencita” (di fronte al quale proverebbe imbarazzo anche un camionista veneto) ed espone un argomento frivolo contrapposto a un tema di dibattito sociale.
“Una sposa all’Abetone” è il brano solcato nel lato A e affronta il tema del tradimento; la protagonista è una giovane moglie che manifesta di fronte al proprio marito un malessere sintomatologicamente sommario, al pari del mal di pancia di chi non vuole andare a scuola. Dato il gran livello di premura manifestato dal marito non risulta difficile per la furbetta simulare un giramento di testa come anticamera della soluzione da lei stessa proposta: un periodo di soggiorno in solitaria all’Abetone, località di montagna in provincia di Pistoia.
Ma la sposina allegra in men che non ti dico
passato un solo giorno fa subito l’amico,
conosce un macellaio che li vicino sta,
il salame tutti i giorni non glielo fa mancar.
Senza giungere a conclusioni affrettate vorrei immedesimarmi nel povero marito rimasto in città a lavorare col pensiero della moglie malaticcia, ma non ci riesco. L’ingenuità è una brutta bestia ed è troppo facile sentirsi migliori del protagonista di questa vicenda; troppo facile deridere un soggetto che probabilmente, alla maniera della commedia all’italiana esplosa una quindicina d’anni dopo, avrà preso le sue buone precauzioni liberando a sua volta l’uccellino col favore della lontananza da lui stesso caldeggiata.
L’ipotesi comunque non è paventata in alcun modo nel testo di Mirella la quale salta subito all’incontro fra i due avvenuto la domenica:
E quando la domenica lui se la va a trovà
la vede con sorpresa sempre di più ingrassar.
Lei gli dice caro ma guarda che fortuna,
si vede mi fa bene il fresco al chiar di Luna.
Il livello di fiducia sale ai massimi storici nonostante le prove indirizzate verso un palese tradimento risultino sempre più schiaccianti: “Se lui gli si avvicina gli dice stai più in là, mi duole un po’ la testa non ti posso accontentar. E poi gli dice caro tu non aver paura, c’è qui un macellaio di tutto mi procura. Mi da la carne fresca, banane e baccalà, di quello che ho bisogno non me lo fa mancar”.
Non ci è dato sapere se a conclusione di questa frase il marito abbia compiuto un delitto passionale o sia andato a coprare una fettina di manzo, accontentiamoci quindi del consiglio offertoci in conclusione:
Mariti state attenti alla villeggiatura,
il male delle mogli solo un’estate dura,
al mare o alla montagna lo fanno per andar
d’accordo con l’amico e il marito non lo sa.
Il lato B ci offre invece una critica sociale costruita intorno alla corsa allo spazio tra americani e sovietici per sbarcare per primi sulla Luna, progetti perfetti per catturare l’immaginazione collettiva, ma a scapito della povera gente bisognosa che abita la Terra, privata di importanti risorse economiche. Poca filosofia, tutta passione. Mirella chiama in causa una credenza popolare che pensava che nella Luna vi abitasse Caino (errante che trasportava un fascio di spine, simbolo della terra maledetta dal suo peccato).
In effetti c’è da pensare: con tutta probabilità si finirebbe ad aprire centri d’accoglienza lunari e a destinare 37 euro al giorno nelle mani di ogni immigrato sottraendoli ai poveri abitanti della Luna non più padroni in casa loro. A parte la propaganda volta a infuocare lo scontro sociale, azzardando un’analisi plausibile, Caino sfruttando i fondi stanziati potrebbe essere tentato a ricavarci illegalmente del denaro destinando i richiedenti asilo in centri d’accoglienza gestiti dalla sua cricca per papparsi tutti i fondi. In parole povere: Mafia lunare.
Ma senti ‘sto Caino quanto vuol comandare,
se vengo nella Luna via non mi puoi mandare,
io devo far le prove con quel terriccio lì
se qualche cosa vale lo devo riferir.
Tenendo a freno le illazioni, in questo caso troviamo un Caino in versione ragionevole che tenta chiaramente di dissuadere gli allunaggi per amor di una presunta giustizia:
Le prove valle a fare laggiù sopra la Terra,
anche voi sulla Luna vorreste far la guerra,
c’avete tanta gente ancora da sfamar
e tutti questi soldi che li spendete a far.
Le dinamiche terrestri appaiono troppo complesse per un sempliciotto venuto dal Vecchio Testamento il quale, utilizzando la solita scusa del potente che ci ruba i soldi, si congeda così:
Ve lo dice Caino che non è vero niente,
vi voglion tutti quanti imbrogliare solamente,
laggiù sopra la Terra mangiar per tutti c’è,
perciò non c’è bisogno venir dar noia a me.
Il finale di questo stornello al lampredotto che smuove le coscienze è da mano sul cuore, in un formato che più semplice non si può: “I ricchi fanno come i bachi nella frutta, fan finta di assaggiarla poi se la mangian tutta, se invece chi comanda usasse umanità la Terra a tutti quanti darebbe da mangiar”.
Una Sposa all’Abetone
Conosco una sposina sta sempre in allegria
Dalla mattina a sera cerca la compagnia
Marito parte presto al lavoro se ne va
La sera quando torna gli dice come sta
Se tu sapessi caro quanto mi sento male
Mi gira assai la testa non so più come fare
Forse un po’ di montagna mi potrebbe guarir
Tu mi vuoi tanto bene non me lo proibir
Marito premuroso la manda all’Abetone
le affitta una villetta vicino alla stazione
Vedrai che qui nessuno mai ti disturberà
La cura che farai certo ti gioverà
Ma la sposina allegra in men che non ti dico
Passato un solo giorno fa subito l’amico
Conosce un macellaio che li vicino sta
Il salame tutti i giorni non glielo fa mancar
Il marito lavorando pensa alla sua sposina
Dicendo sarà triste da sola poverina
E quando la domenica lui se la va a trovà
La vede con sorpresa sempre di più ingrassar
Lei gli dice caro ma guarda che fortuna
Si vede mi fa bene il fresco al chiar di luna
Se lui gli si avvicina gli dice stai più in la
Mi duole un po’ la testa non ti posso accontentar
E poi gli dice caro tu non aver paura
C’è qui un macellaio di tutto mi procura
Mi da la carne fresca, banane e baccalà
Di quello che ho bisogno non me lo fa mancar
Mariti state attenti alla villeggiatura
Il male delle mogli solo un’estate dura
Al mare o alla montagna lo fanno per andar
D’accordo con l’amico e il marito non lo sa
La Luna, Caino e l’Astronauta
Russi e americani va in cerca di fortuna
ognuno vuol arrivare lassu dentro la luna
e già lo sanno bene cosa ci troveran
terriccio e polverone che niente costerà
Si accorgeranno quando ognun sarà arrivato
Tremar faran di febbre le casse dello Stato
Le ali metteranno miliardi in quantità
In fumo se ne andranno senza più ritornar
A quei governanti non gliene importa niente
Tanto chi paga le tasse è la povera gente
Chi va a acchiappar la Luna di molto spenderà
E chi rimane a terra la cinghia tirerà
Poi quando gli va male la colpa è del destino
E invece non lo sanno che su c’è anche Caino
Se li vede arrivare la forca piglierà
In fondo ad un cratere lui ce li butterà
Dicendo forestiero il lunatorio è mio
Di tutto questo gesso sono il padrone io
Le vedi quante buche ci sono qua e la
Se ti ci butto dentro tu non potrai scappar
Ma senti ‘sto Caino quanto vuol comandare
Se vengo nella Luna via non mi puoi mandare
Io devo far le prove con quel terriccio li
Se qualche cosa vale lo devo riferir
Le prove valle a fare laggiù sopra la Terra
Anche voi sulla Luna vorreste far la guerra
C’avete tanta gente ancora da sfamar
E tutti questi soldi che li spendete a far
I soldi li spendiamo per fare esperimenti
Che serve agli scienziati per illuminar le menti
Studiare l’Universo per abitare su
Perché giù nella Terra non non ci s’entra più
Ve lo dice Caino che non è vero niente
Vi voglion tutti quanti imbrogliare solamente
Laggiù sopra la terra mangiar per tutti c’è
Perciò non c’è bisogno venir dar noia a me
I ricchi fanno come i bachi nella frutta
Fan finta di assaggiarla poi se la mangian tutta
Se invece chi comanda usasse umanità
La Terra a tutti quanti darebbe da mangiar