«Anch’io sto nel mondo della musica. Voi dovete sapere che io sono un batterista. Ho suonato con La Pattuglia Azzurra, un complessino; abbiamo suonato anche alla Ca’ del liscio». Con queste parole Massimo Boldi cerca di convincere i Beatles a portarlo in sala prove con loro in una scena di A spasso nel tempo – L’avventura continua, cinepanettone del 1997 diretto da Carlo Vanzina (spoiler: ce la farà, insieme suoneranno She Loves You e poi, con totale nonsense temporale, suggerirà loro qualche altro brano da incidere accompagnandosi solo con la batteria: Let It Be, Twist and Shout, If I Fell, Get Back e Strawberry Fields Forever)
La citazione iniziale è tutt’altro che casuale e racconta di una delle esperienze come batterista più importanti per Boldi. Ma non la prima, per cui andiamo con ordine. L’idea di tentare la carriera di musicista nasce intorno al 1960 ispirata dalla nascita dei tanti complessi beat che in quel periodo iniziano ad affollare sale da ballo, negozi di dischi e classifiche. Teo Teocoli durante un’intervista a Che tempo che fa racconterà di aver provato a fondare un gruppo insieme a lui; idea naufragata quando, di fronte alla necessità di trovare un chitarrista, l’unica opzione era stata il fratello di Massimo, allora 13enne.
Gli inizi con i Gentlemen
Il Cipollino e l’amico Renato Vignocchi non si arrendono e iniziano a guardare con particolarare attenzione il gruppo che accompagna Ricky Gianco, I Satelliti. Capiscono che è quello che vogliono diventare anche loro, una backing band per un bravo cantante. E così nel 1962 reclutano un chitarrista e la pianista Carlafranca Lovati e fondano gli Atlas, nome che presto cambieranno per sostituirlo con I Gentlemen.
Con questa formazione iniziano a provare all’Oratorio del Gentilino di Milano (per chi fosse interessato a fare un pellegrinaggio lo trova ancora in Piazza Tito Lucrezio Caro al numero 7), in una sala che il parroco gli lascia usare in cambio di poche lire. Una sera d’estate del 1963 trovano la sala prove occupata da un altro complesso e si fermano prima ad ascoltarli e poi a chiacchierare un po’ con loro. A catturare l’attenzione è soprattutto il cantante del gruppo, un capellone biondo che altri non è che Maurizio Arcieri.
Tra il ’63 e il ’64 i due gruppi stringono amicizia e si trovano spesso a provare insieme all’oratorio. Purtroppo il 1964 coincide anche con un evento drammatico della vita di Massimo Boldi, che perde il padre 51enne a causa di un’embolia. La sua morte lo costringe temporaneamente (pensa lui) ad abbandonare il gruppo per ritornare a Varese ad aiutare la famiglia. Renato Vignocchi però non intende fermare l’attività della band e, reclutato Maurizio Arcieri alla voce, fonda i New Dada, che nell’estate del ’65 arriveranno ad aprire i concerti italiani dei Beatles.
Massimo Boldi racconterà di aver tentanto di rimettere insieme I Gentlemen nel 1989, in vista della sua partecipazione all’edizione dell’anno successivo di Una rotonda sul mare. Il tentativo andò a monte dopo poche esibizioni, tra cui una a Fantastico. Nel 1990 riesce comunque a fare un tuffo nel passato: infatti Maurizio Arcieri, all’epoca in tour con i New Dada, lo invita a suonare la batteria durante una data milanese. Concerto che fortunatamente qualcuno ha pensato bene di riprendere e condividere col mondo.
I Mimitoki e le serate al Club Tricheco
Ma torniamo al 1964. Il diciannovenne Boldi, rimasto senza band, trova lavoro come rappresentante di dolciumi per la Motta. Ma la passione per la musica non lo abbandona, e nemmeno la voglia di suonare dal vivo. Così nel 1965, insieme al fratello Fabio (chitarra ritmica e voce), Alfredo Giovene (chitarra solista) e Claudio Corvino (basso) fonda i Mimitoki (conosciuti anche come Charlie e i Mimitoki). Con loro alterna il lavoro diurno alle esibizioni notturne. E sarà proprio lui a raccontare la routine del periodo: alle 7 in magazzino per caricare il furgone, in giro fino alle 17:30 cercando di vendere dolci a negozi e bar, immediata partenza per Milano, dalle 21:30 fino alle 2:30 suonava e poi ritornava a Varese dove ricominciava il tutto. Questo non per tutti i giorni però, soltanto il giovedì, venerdì e sabato. Che sono i giorni in cui coi Mimitoki suona in un club di Milano che merita un approfondimento: sto parlando del Tricheco, gestito da Enrico Intra (grande jazzista e figura cardine nella storia del Derby Club).
Il locale si trovava in Corso Vittorio Emanuele, nello scantinato del bar/pasticceria Le Tre Gazzelle, che esiste ancora oggi. Oltre ai Mimitoki di Boldi si esibivano anche i Dik Dik (che erano la band di punta del locale), I Campioni (con un giovanissimo Lucio Battisti alla chitarra), Caterina Caselli che cantava nel complesso capitanato dal cugino e una jazz band con alcuni dei più validi esponenti del genere (ovviamente Enrico Intra al pianoforte, Gianni Basso al sassofono, Giorgio Azzolini al contrabbasso, Gil Cuppin alla batteria e saltuariamente Romano Mussolini al piano e Franco Cerri alla chitarra). Alla chiusura del locale Intra sposta tutto in Viale Monza, nei locali che oggi sono occupati dallo Zelig.
Claudio Lippi e La Pattuglia Azzurra, il primo gruppo beat “italiano vero”
Massimo Boldi e i Mimitoki dicevamo. Se dal giovedì al sabato suonavano al Tricheco, la domenica si esibivano al club Ciao Amici del Lido di Gavirate, in provincia di Varese. E nel 1966 vengono ingaggiati come resident band da una balera in provincia di Alessandria, il Dancing Lavagello; lì, durante l’estate, accompagnerano l’allora quasi esordiente Al Bano Carrisi.
Col gruppo incide anche un 45 giri per la Dischi Hélène, ad oggi purtroppo introvabile. In seguito a questi piccoli traguardi raggiunti decide di mollare il lavoro alla Motta per dedicarsi interamente alla carriera di musicista. E fa bene perchè nel frattempo Claudio Lippi (sì, proprio lui), che all’epoca era un cantante e girava accompagnato dal complesso I Dragoni, decide di fondare un nuovo gruppo. Nel 1968 chiama i fratelli Boldi (batteria e chitarra), Giulio Cavalli (organo) e Claudio Cecconi (basso) e dà vita a La Pattuglia Azzurra.
La volontà di fondare un nuovo gruppo beat “italiano vero” nasce dal fastidio causato dai gruppi stranieri che non trovando successo nei paesi d’origine venivano in Italia e spesso ci si fermavano. In un’intervista rilasciata al giornale Giovani del 2 maggio del 1968 è lo stesso Claudio Lippi a spiegare la sua scelta, con parole che dette oggi gli avrebbero garantito la vicepresidenza del consiglio e un tavolo al Papeete: «Invadono il mercato. E magari solo perché hanno la pelle di un altro colore o si servono di un nome che, in un modo o nell’altro richiama immagini esotiche, sfondano qui da noi e non se ne vanno più. In Italia trovano la loro America, trovano tanta fortuna, tanti soldi e tanto tutto». «Non voglio fare nomi», rincarava la dose il fratello Franco Lippi, produttore, «ma è ora di finirla con questi stranieri». Con La Pattuglia Azzurra inciderà giusto un paio di singoli nel ’68: Bandiera azzurra (con Anima di gomma sul lato b) e 1/2 gazzosa (come Claudio Lippi e La Pattuglia Azzurra con proprio Bandiera azzurra sul retro).
Musicalmente il gruppo non lascia il segno, ma nelle sue fila passeranno anche cantanti come Riki Maiocchi dei Camaleonti, Carmen Villani (che prima di diventare una reginetta della commedia sexy cantava canzoni di Domenico Modugno, Gino Paoli, Umberto Bindi, Paolo Conte, Piero Ciampi e via dicendo) e soprattutto, sponsorizzato dall’impresario di Adriano Celentano, quello che Massimo Boldi definisce «un ragazzo cicciottello che sapeva cantare»: si tratta proprio di quel Christian De Sica con cui costruirà le sue fortune future.