Spesso la musica, come la vita, nasce e si sviluppa in direzioni imprevedibili. Alcune canzoni richiedono anni per essere scritte, perfezionate e registrate, altre invece vengono create in cinque minuti grazie a un guizzo momentaneo o per esigenze produttive. Il successo di queste canzoni dipende spesso da una moltitudine di fattori: ci sono brani che diventano evergreen in pochissimo tempo e altri che vengono riscoperti successivamente e diventano di culto. Per chi vi scrive, di questa seconda casistica il caposaldo è sicuramente Mangiamania di Carla Urban, un piccolo grande capolavoro nascosto nato un po’ per gioco un po’ per esigenza nel 1983 come sigla dell’omonimo programma RAI Mangiamania, condotto dalla stessa giornalista Carla Urban.
Mangiamania è davvero un unicum nella produzione delle sigle televisive (e non solo): su una base musicale pazza e bellissima, con un groove talmente sghembo da diventare perfetto e dei cori che non se ne andranno mai più dal vostro cervello, Carla Urban interpreta uno strano rap-parlato lievemente ammiccante, scritto di suo pugno, sul tema del cibo e delle manie a esso collegate, che era poi lo stesso argomento affrontato nell’omonima trasmissione.
Vi avevamo già fatto scoprire questa canzone, che a distanza di anni e grazie al nostro articolo del 2009 è diventata un culto tra gli appassionati di musica diversamente bella, guadagnandosi un posto di spicco nell’affascinante sottogenere della musica sperimentale chiamato leftfield, facendo peraltro schizzare fino a 100€ il valore delle poche copie del singolo rimaste in circolazione.
Abbiamo quindi deciso di farci raccontare per la prima volta in assoluto la storia di questa meravigliosa e unica canzone direttamente dalla voce della protagonista: Carla Urban.
Mangiamania è un esperimento mai fatto prima – e mai più fatto – nel pop italiano e nel mondo delle sigle. Quando le è stato proposto di realizzare questo brano c’era già la consapevolezza di voler fare qualcosa di diverso da tutto quello che c’era attorno in quel momento?
No. È come se tutto il progetto della sigla fosse avvenuto per il rotto della cuffia, in quattro e quattr’otto. Stavamo preparando il programma e ricordo perfettamente che questa cosa della sigla mi piovve all’improvviso. Il maestro Flavio Carraresi, che poi non ho più rivisto, mi cercò e mi disse «ho fatto una musichetta molto carina e se tu ci metti le parole la pubblichiamo»; esisteva già con questo titolo sul tema del cibo. Io dissi che non sapevo se sarei stata in grado di cantarla e Carraresi mi propose di fare un rap, che come genere si stava affermando in quel periodo; io lo consideravo un parlato più che un genere musicale. Mi lasciai convincere da Carraresi che mi disse «fai un parlato che è carino, quando parli hai una bella voce». Il maestro Carraresi era un po’ strano, mi stava molto addosso, teneva moltissimo alla registrazione di questa canzone. Mi disse che non avrei potuto avere diritti d’autore, ma a me non importava perché mi divertivo. Giovanni Minoli, all’epoca capostruttura RAI e responsabile del programma, mi spiegò in effetti che c’era un popolo di autori musicali che vivevano grazie a queste sigle, mi disse: «piazziamogliela a questo maestro, poveretto, magari gli risolviamo un problema».
Anche Leone Mancini, il regista della trasmissione e una persona di grande spirito, la trovò carina, divertente e con un ritmo molto bello; mi disse «falla falla, però mi raccomando falla alla Carla eh, non fare cose serie, buttati!» Da lì ho accettato e ho lasciato fare a Carraresi che arrivò con la canzone già pronta. Dal punto di vista musicale quindi non so nulla, ma rimasi stupita perché mi immaginavo di acconsentire a un poveraccio che doveva fare una canzone e invece mi trovai una musica dal ritmo piacevole e curioso. Mi vergognavo un pochettino di cantarla perché era la prima volta che registravo una canzone, mi pareva proprio che la mia interpretazione non fosse granché, però poi alla fine il brano è venuto fuori come lo conosciamo. Quanto al testo mi dettero carta bianca. Io lo feci leggere a Leone Mancini che apprezzò molto e si fece un sacco di risate! All’epoca non ero molto scafata, ero un po’ brava ragazza, infatti Minoli mi diceva «non fare la maestrina, mostra le tue grazie» C’era sempre questo tentativo di svegliarmi un po’ sotto il profilo del personaggio televisivo femminile, invece il programma Mangiamania era registrato in una stalla e io ne ero felice perché potevo andare in onda più rilassata, con il maglione e gli stivali da cowboy.
Dove è stato registrato il singolo e chi c’era a guidarla nella registrazione?
C’era Carraresi, in uno studio di registrazione a Roma, assolutamente non ricordo dove però era un contesto piccolo, quasi domestico. Mi diedero una cuffia, c’era un tecnico che guardava i fruscii e i volumi e Carraresi che correggeva il mio tono. Ogni tanto provavo a cantare anziché parlare, ma Carraresi mi diceva «non è che non viene bene però o la facciamo tutta parlata o tutta cantata». Non doveva essere recitato e all’inizio ero disorientata su come farlo. Poi mi aiutarono e mi dissero «sii un po’ ammiccante». E io ammiccai. Ogni tanto mi fermavano perché mi dicevano che la voce andava un po’ nel naso: «fai un po’ la voce di petto, respira di più, prendi fiato». Non vedevo l’ora di finire. Ricordo che il maestro mi diceva «non fare la lagna» spiegandomi che doveva essere un piacere e non una sofferenza quindi dovetti correggere un tono imbarazzato che avevo tradotto con un incedere un po’ lagnoso, fui aiutata a renderlo più credibile e venne fuori un po ammiccante.
Abbiamo contattato l’arrangiatore del brano, il maestro Carlo Maria Cordio, il quale oltre a rivelarci che la registrazione avvenne nel suo studio – che all’epoca era in fase di allestimento – conferma il fatto che l’intera operazione fu realizzata molto velocemente: arrivò un provino che era da arrangiare in fretta perché fu chiesta una consegna veloce.
Signora Urban, Cercando il brano Mangiamania nell’archivio SIAE, il testo risulta firmato da lei. Ha mai percepito diritti d’autore per questa canzone?
Zero. Ricordo che mi dissero «tu ti iscrivi alla SIAE e firmi il testo, però non sono previsti diritti d’autore perché ci sono dei forfait, delle convenzioni che fa la SIAE con la RAI». Non ebbi nulla in più tranne la soddisfazione che mi stai dando tu in questo momento chiedendomi di questa canzone di 40 anni fa.
Invece una cosa importante a proposito della musica è che io a un certo punto venni contattata da una signora angosciata, non ricordo il nome, che mi disse che le era stata rubata la canzone Mangiamania. io caddi dalle nuvole, lei mi aggredì ma la sentii angosciata. Le dissi che non prendevo i diritti d’autore e che non sapevo nulla di questa cosa, le raccontai come mi era arrivata la canzone e lei disse che le era stata rubata la musica della canzone e che era stata cambiata di poco, perché anche lei la voleva chiamare Mangiamania. Era un’autrice, non era una discografica sgamata che poteva dire «adesso ti denuncio», ma quando le feci capire che non c’entravo niente lei mi disse che era disperata. Raccontai la vicenda al maestro Carraresi il quale farfugliò e non mi diede una risposta chiara. Per cui io penso che la signora avesse proposto a qualcuno quel tipo di melodia con il titolo legato al cibo, probabilmente un’operazione discografica che fu soffiata e che ahimé rientra nell’ambito purtroppo diffusissimo dei plagi di canzone, non posso sapere che tipo di canzone avesse fatto la signora, né ho certezza di come sia andata, ma essendo la rilevanza della canzone finita nell’arco di quella stagione, questa signora poi si deve essere fatta da parte. Fosse diventata una canzone famosa probabilmente la signora avrebbe chiesto i soldi dei diritti.
Una dinamica molto comune ieri come oggi ma che in questo caso non potremo mai verificare con certezza come siano andate veramente le cose perché il Maestro Carraresi è morto nel 1984, solo un anno dopo questo brano.
Esatto, non posso dire con certezza se questo motivetto sia nato originale per la produzione o se sia il risultato di un plagio, era tutto molto vago, ricordo solo che questa signora mi cercò ed era molto disperata.
Il fatto più importante per quello che mi riguarda è che all’epoca ero veramente afflitta da una fissazione della dieta e mi sentivo sempre in lotta col cibo: ero molto vorace e golosa, quando facevamo le riunioni nella fattoria per il programma, il regista Mancini faceva gli sfilatini di pane con la pasta madre, mi ricordo che mangiavano un sacco e mi affliggevo perché non mi entravano i vestiti, ero tormentata. Anche per questo ho cercato di approfondire il mio rapporto col cibo, che poi nel tempo ha avuto anche un peggioramento. All’epoca però era un problema nascente e mi ricordo che era importantissimo collegare i miei raptus alimentari con un vissuto di un altro tipo, nella sfera dei sentimenti e della sessualità. Erano molto collegati, quindi dato che ero un po’ imbranata scherzai su me stessa perché non avevo quelle malizie, sono ingenua sebbene io abbia una mentalità aperta. Allora ero curiosa di capire come potessi motivare questa mia fame nervosa, forse con una mancanza, una insoddisfazione.
Non avevo un compagno né un partner, ero un po’ tormentata sulla sfera affettiva per cui fare questo testo così ammiccante mi aiutò: «mangia me e la mia mania» è il cuore del testo. Io ho questa mania, se tu mi vuoi bene prendi pure il fatto che sono bulimica, in poche parole. Questo aspetto è molto importante perché il rapporto con il cibo è un vero problema. Non se ne parla mai abbastanza in maniera costruttiva, in modo che possa aiutare, cioè bisogna liberare le persone da questa vergogna del rapporto smodato col cibo. Tutti hanno sempre un misto di sensi di colpa e non si capisce perché debba essere così, invece è naturale, il bisogno di farsi una mangiata gustosa è collegato con un altro gusto che magari ti manca in quel momento nella vita. Però è anche vero che dopo l’amore magari uno ha anche appetito. È un tema ancora tutto da capire, un fascino labirintico da scoprire quello del rapporto col cibo, più se ne parla e meglio è.
La domanda che ci poniamo da sempre: la canzone si chiama Mangiamania come è riportato sul disco oppure Mangiamania come canta nel testo e come riportato sul retro del vinile Vamos a la Playa dei Righeira?
Probabilmente è un refuso, oppure ci sono cose sotto che non mi hanno detto; è possibile che ci fossero problemi di diritto d’autore o che non potesse essere usato il nome della trasmissione, però queste cose non me le dicevano. volevo dire un’ultima cosa: la copertina in cui esibisco uno dei miei bei maglioncini, che non ha niente di sexy, con la mela di Biancaneve in mano. Se la guardi tradisce un po’ il mio imbarazzo. Dissi, sì la faccio la copertina però me la fate fare con la frutta, non mentre lecco il gelato, per carità, voglio una cosa proprio ruspante come sono io. E un po’ si tradisce dallo sguardo un po’ spento, mi avevano truccata troppo, diciamo che non sono tanto io. Non mi piacque molto. Qualcuno mi disse «ma tu sei più spiritosa di così potevi fare una cosa più spiritosa», ma la verità è che io oscillo violentemente tra la dolcezza e la piccantezza.
A proposito di Vamos a la Playa dei Righeira, è vero che il suo programma fu il primo a usare come sigla questa canzone, contribuendo sensibilmente al lancio e al successo del brano?
Sì. Tieni presente che quella era un’epoca in cui esistevano le sigle, perché dalla nascita in poi delle TV private ogni spazio è venduto a carissimo prezzo, per cui perdere tre minuti per una canzone era rubarli a uno spot televisivo; infatti ora non ci sono più le sigle di una volta. All’epoca c’era più spazio nella giornata. La sigla iniziale cantata da me fu una cosa in più, Minoli disse «facciamolo», mentre Vamos a la playa era voluta perché era la sigla di chiusura, vicino al telegiornale delle 20:00. Era un momento più caldo quindi ci voleva una canzone forte che rimanesse in testa. Questa fascia oraria particolarmente forte contribuì al boom dei Righeira.
Abbiamo contattato Johnson Righeira il quale conferma che il boom di Vamos a la playa avvenne grazie al fatto che venne usata come sigla finale di Mangiamania, rivelandoci inoltre che ai Righeira venne chiesto di scrivere la versione italiana del brano specificatamente per questa sigla, inserendo per l’occasione alcuni versi sulla tematica del cibo; da qui la famosa frase «con pizze radioattive ci si alimenterà».
Signora Urban, Che cosa successe dopo Mangiamania?
Mangiamania ebbe una grandissima audience quindi l’anno successivo provammo a replicare con un programma intitolato Che fai, mangi? che purtroppo non andò bene. Avevamo contro la Carrà con i fagioli su Raiuno, quindi il nostro programma fu molto sofferto, non avevamo speranze di audience sebbene la qualità fosse molto alta. Era un programma giornalistico gastronomico e fu la prima volta che grandi cuochi andavano in televisione, decenni prima degli chef superstar della TV di oggi. All’epoca erano quasi tutti timidi tranne Vissani! Dopo questo programma venni eliminata da Rai 2 ma continuai il mio lavoro. (Tra le varie cose Carla Urban ha condotto programmi su Telemontecarlo, su Mediaset e ha fatto tantissima radio, dando poi vita nel 2000 a “Urban Koala”, studio di azioni per la buona qualità della vita urbana)
Ha mai pensato di fare altra musica?
Posso dirti certamente che dopo quell’esperienza non ho mai pensato «come mi piacerebbe farne un altro».
Si aspettava che il brano Mangiamania sarebbe diventato di culto?
Assolutamente, speravo proprio di no. Questa canzone la vedevo come una cosa un po’ kitsch, per cui non l’ho mai tirata fuori con nessuno. Speravo sparisse, è una creaturina che ho circoscritto lì e ho detto «fatta, non ne parliamo più», adesso sta da qualche parte nel mio curriculum. Detto questo, per me l’autoironia è fondamentale, infatti la vostra recensione mi ha fatto molto ridere.
Ho sempre considerato questa canzone un “regalo” che mi avevano fatto il regista Leone Mancini e il mio mentore Giovanni Minoli, il quale intendeva con quella trasmissione fare educazione alimentare a 360 gradi, a livello creativo, psicologico, economico, agricolo, rurale, gastronomico. Voleva fare un programma da servizio pubblico, che servisse a qualcosa, per quello fu mandato anche in preserale. Però facendomi fare quella sigla che partiva alle 6 – sulla scia della TV dei ragazzi – mi consentì di divertirmi su un tema che lui sapeva a me caro.
In effetti senza l’intuito e l’intelligenza di Giovanni Minoli tutto ciò non sarebbe successo perché era un capostruttura libero e aveva un gran fiuto, quindi è grazie a lui che si diede lo spazio a una cosa così originale. A lui devo tantissimo, anche se mi ha rovinato perché mi ha insegnato a essere molto severa con me stessa, ora quando vedo la televisione fatta male soffro.
Grazie mille per il suo tempo e per la sua grande autoironia!
Grazie a voi, questa intervista mi ha dato soddisfazione quasi quanto la mia foto sulle parole crociate!