Secondo alcuni critici il termine musicarello, nato per definire quella cospicua mole di film musicali realizzati tra la fine degli anni ’50 e i primissimi anni ’70 (con sporadiche e anacrostiche eccezioni successive) sarebbe stato coniato facendo il verso al Carosello, intendendo così un prodotto cinematografico d’impostazione musicale ma indissolubilmente legato a un obbiettivo essenzialmente commerciale, realizzato senza particolare cura cinematografica ma con il solo scopo di far vendere e promuovere il cantante del momento (e occasionalmente altri prodotti).
Verso la fine degli anni ’60 lo stesso genere del musicarello non attirava più il pubblico come alcuni anni prima, e ogni minimo riferimento sociale e giovanilistico veniva totalmente eliminato, rendendo questi film nient’altro che degli spot pubblicitari lunghissimi pieni di personaggi in voga all’epoca. Prodotti di effimero successo e realizzati con talmente tanta fretta e furia da non avere nemmeno delle vere e proprie sceneggiature, divenendo sempre più degli azzardi commerciali, in particolare dopo il diffondersi sempre più veloce delle televisioni nelle case degli italiani.
La fine del’epoca d’oro del musicarello fu intorno al 1968 quando anche i giovani, che ne rappresentavano il principale pubblico di consumo, iniziarono a disinteressarsene, in quanto incapaci di rispecchiare la musica che realmente interessava la loro generazione, attratta da sonorità estere o dall’impegno del cantautorato e non più dalla canzonetta leggera o dalla confusa ribellione del beat nostrano. Alla luce di ciò i musicarelli divennero film fatti da “matusa”, registi e produttori discografici incapaci di sintonizzarsi con ciò che cercava davvero il pubblico più giovane, creando così prodotti ideati per aver successo tra i ragazzi, ma che in realtà si mostrarono oramai quasi tutti dei fallimenti commerciali.
Uno dei casi più eclantanti fu Lisa dagli occhi blu, pellicola che arriva nei cinema italiani in occasione del Natale del 1969, costruita sul grande successo omonimo di Mario Tessuto dell’estate precedente, nonché uno dei brani più venduti dell’anno e divenuto col passare del tempo una delle canzoni italiane simbolo del decennio. Probabilmente i produttori discografici si aspettavano una grande e lunga carriera per Tessuto (pseudonimo di Mario Buongiovanni, scelto a quanto pare dal suo produttore, perché il ragazzo “aveva stoffa”), altrimenti non si potrebbe spiegare l’assurdo utilizzo di risorse concentrate in questo film: dalla regia di Bruno Corbucci fino ad un cast a dir poco stellare che può contare sulla futura attrice di genere Silvia Dionisio (all’epoca ricordata principalmente come Miss Teenager 1967), ma anche insospettabili grandissimi come Peppino De Filippo, Erminio Macario e Gino Bramieri oltre a grandi volti noti della commedia italiana e dei musicarelli, che appaiono tutti insieme (probabilmente per sopperire alle canzoni e alla recitazione di Tessuto) come Ric e Gian, Vittorio Congia, Mario Carotenuto, Franco e Ciccio, Nino Taranto (presenza fissa in più di un musicarello di Al Bano), Lino Banfi e Carlo Dapporto (entrambi apparsi poco dopo in Quelli belli… siamo noi) tra moltissimi altri (segnati nei titoli di testa con dei punti interrogativi), inspiegabilmente finiti tutti qui dentro nel punto più basso della loro carriera filmografica. Un cast a dir poco incredibile e insolito per un film di genere italiano.
L’assurda trama è presto detta: Mario Buongiovanni (Mario Tessuto) è un improbabile astronauta precario che deve ripiegare a far il professore supplente di fisica spaziale e missilistica in un collegio femminile (!!!), il quale, inevitabilmente, finirà per innamorarsi di una sua allieva, Lisa (Silvia Dionisio, la quale però, necessario dirlo, ha gli occhi verdi). In tutto questo il nostro professore fa esperimenti insieme a un altro scienziato nel suo laboratorio; in realtà si tratta di un semplice studio di registrazione con tanto di mixer in bella mostra spacciato per un marchingegno per guidare velivoli a distanza e captare le reazioni emotive di Mario, quando, utilizzato come cavia durante un volo, canterà con aria triste Nasino in sù.
A fare da mero riempitivo a questo bislacco punto di partenza vi sono dialoghi e trovate comiche a dir poco ridicole, nonché tanti immancabili sketch slegati tra loro tenuti insieme da una trama inutilmente complicata col solo scopo d’inserire il cameo di un personaggio famoso: ad esempio le scene con Peppino De Filippo e Carlo Dapporto, imparruccati e conciati in maniera ridicola nei ruoli più degradanti della loro carriera.
Appare persino il piccolo Valter Brugiolo, vincitore dello Zecchino d’oro del 1967 con Popoff, divenuto successivamente un popolare volto televisivo e delle reclame dell’epoca (tra l’altro già apparso nel ruolo del bambino rompiballe che fa comprendere il senso della vita ad Al Bano in Mezzanotte d’amore). Qui veste i panni dell’odiosissimo fratellino di Lisa che vessa tutti con le sue invenzioni ipertecnologiche e che raggiunge l’apice di insopportabilità incitando buona parte dei personaggi a sbronzarsi cantando una versione italianizzata di Lilly the Pink intitolata La Sbornia (ricordiamo che lui all’epoca aveva solo otto anni). Ah, in tutto questo c’è anche un ghepardo (definito erroneamente giaguaro nel film) che semina il terrore in giro.
Ovviamente nonostante la sua posizione accademica Mario Buongiovanni/Tessuto canta anche le sue canzoni tra cui, oltre alla sua one-hit-wonder che dà il titolo al film, anche gli altri brani che declinarono la sua popolarità senza più replicarne il grande successo, come Bambina, Dormi dormi e Un sorriso, i quali vengono cantati senza nemmeno lo sforzo degli sceneggiatori di inventarsi una situazione narrativamente pretestuosa per infilarli nel film.
Insomma una pellicola che non lascia traccia se non per questo cast di grandi nomi assolutamente sprecato in un film senza capo né coda. In tutto questo c’è comunque qualcosa d’interessante: S.T.R.A.M.I.L.A.N.O., rifacimento di una canzone di epoca fascista, ma più dal sapore futurista, del 1928 cantata in sella a una Vespa sui titoli di testa.