Il Festival di Sanremo è il regno delle polemiche, dei gossip e dei VIP, ma non dimentichiamoci che alla fine tutto gira intorno alle canzoni, a volte belle, a volte brutte e spesso dimenticate il giorno dopo. Sogni, speranze, emozioni che spesso durano il tempo dell’esibizione per perdersi nei meandri della memoria o trasformarsi in tormentoni di dubbio gusto.
Oggi vogliamo presentarvi un concentrato di brani più terrificanti per musica, testo e interpretazione che hanno lastricato la storia del festival, una personale superclassifica delle 20 canzoni più brutte mai cantante al teatro Ariston dalla più tollerabile alla più terribile. Togliendo i brani volutamente comici e surreali vi proponiamo una spremuta d’orrore tra l’inconcepibile e l’insostenibile, roba che vi farà sembrare dei mezzi capolavori roba come Vasco di Jovanotti, Non ti drogare di Alberto Beltrami o Troppo sole di Sabina Guzzanti e la Riserva Indiana. Siete Pronti? Bene! Allacciatevi le cinture e attenzione che qualche canzone potrebbe anche piacervi.
Tom Hooker – Toccami (1981)
Uno degli eroi della italo-disco, che tra le altre cose ha prestato la sua voce ai successi di Den Harrow e ha cantato la risibile Swiss Boy nascondendosi sotto il nome altrettanto improbabile di Lou Sern, alla sua prima volta in italiano presenta un brano morbosetto con un testo misto romantico/toccaccione, cantando avvolto in una tutina imbarazzante con i pattini a rotelle e due ballerine astrognocche. Volete altro?
Mikimix – E la notte se ne va (1997)
I più anziani e i più informati lo sapranno già da tempo, ma per tutti gli altri non potevamo tagliare fuori l’esordio discografico di un giovanissimo CapaRezza, che ai tempi si faceva chiamare Mikimix, era sbarbato e rapato e con le sue sopracciglia alla Elio cantava di lettini, cuscini e pigiamini. Qualcuno ha detto “svolta radicale alla Jovanotti“?
Maria Pia e i Superzoo – Tre fragole (2003)
Sorvolando sulla scelta del nome della band e del titolo del brano, la storia secondo noi è andata così: quattro metallari alle prime armi trovano un varco spazio-temporale nella loro sala prove in provincia di Foggia e per errore vengono catapultati direttamente sul palco dell’Ariston dove cercano di fare del loro meglio per non sfigurare, fallendo miseramente. Alla voce troviamo Maria Pia Pizzolla che qualcuno ricorderà come concorrente della prima edizione (2001/2002) di Amici di Maria De Filippi, quando si chiamava ancora Saranno Famosi. Un rock finto etnico accompagnato da un testo che parla dei soliti problemi di cuore che in pochi hanno capito, così come la scelta stilistica della voce che voleva essere un misto tra la musica indiana e i Cranberries, ma il risultato è quello di un’adolescente posseduta da Satana che singhiozza dopo una delusione amorosa.
Lollipop – Batte forte (2002)
Mai prima di allora al teatro Ariston si sentirono tante stecche in 3 minuti di musica. Il primato è detenuto dalle Lollipop, le 5 Spice Girls nostrane plasmate dal programma televisivo Popstars. Nel 2002 16 milioni di italiani si poterono gustare la tragica messa in scena di quello che sarebbe stato lo spettacolo più imbarazzante della loro (breve) carriera. Musicalmente c’è di peggio di questa Batte forte ma Marcella, Marta, Veronica, Roberta e Dominique, forse troppo impegnate nell’inutile balletto, si dimenticarono che erano venute per cantare riuscendo a stonare contemporaneamente su tutto il brano. Dobbiamo riconoscere che non era facile.
Giorgia Fiorio – Se ti spogli (1984)
17 anni, viso da bambina, abbigliamento da teenager e voce da sessantenne tabagista: Giorgia Fiorio aveva tutte le carte in regola per fare un buon Festival (tant’è che ne fece tre). Particolarmente incomprensibile la scelta di farle cantare un testo ermetico («tu sei topo sei graffiti, hai cappelli come viti, tu sei tosto») in totale contrasto con le sue espressioni facciali parossisticamente forzate. Menzione speciale per l’inquietudine che ci incute la sua performance.
Jò Chiarello – Che brutto affare! (1981)
Scritta da Franco Califano e interpretata da una bionda tutto pepe con i capelli color nucleare e la voce ad ultrasuoni, questa Che brutto affare! è il non plus ultra delle consolazioni post-delusione amorosa, con frasi epocali del calibro di «ascoltavo senza contestare / le palle che sapevi raccontare / io ti consideravo un superman / ma non sei neanche un man, scemo / non sei nemmeno la metà di un man». Per quanto ci riguarda una delle migliori esperienze del Califfo con interpreti femminili. Olé.
Ricchi e Poveri – Nascerà Gesù (1988)
Nel 1988 il trio vocale più famoso dell’Eurasia si affida alla penna mai doma di Umberto Balsamo e tenta la svolta social scagliandosi contro… la clonazione umana! Un tema sicuramente scottante anche se un tantinello in anticipo sui tempi visto che non ci risulta che nel 1988 il mondo fosse afflitto da questa piaga sociale al punto che i bambini (chissà perché rigorosamente biondi e con gli occhi azzurri) si potessero comprare al supermercato. Il pubblico si mostrò poco interessato a questa Nascerà Gesù preferendo canticchiare Sarà perché ti amo o Cocco bello Africa. Dopo aver ascoltato questo strazio come dargli torto?
Paolo Barabani – Hop hop somarello (1981)
Con scientifica scadenza a Sanremo arriva un brano a sfondo religioso. Nulla di male per carità, peccato che questa Hop hop somarello sia poco più che un’insulsa canzone da parrocchia di periferia, camuffata da ballata folk. Intrigante il testo che narra la storia di Gesù dall’innovativo punto di vista dell’asinello che lo accompagna in giro per la Palestina. Forse Dio era occupato o forse preferiva i Deep Purple a questa lagna, fatto sta che questo capolavoro non riuscì ad aggiudicarsi la vittoria.
Benedicta e Brigitta Boccoli – Stella (1989)
Benedicta e Brigitta Boccoli si presentarono all’Ariston vestite di tutto punto pensando di dover interpretare l’ennesimo stacchetto per Domenica In, peccato che nessuno ricordò alle due fanciulle che si trattava del Festival di Sanremo. Poco male perché questa Stella, confezionata dalla coppia delle meraviglie Cecchetto-Jovanotti, si trasformò nel giro di 3 minuti in un buco nero che fece scomparire per sempre qualsiasi velleità musicale delle due showgirl senza rammarico da parte di nessuno tra l’altro. Il punto più basso della carriera di produttore di Claudio Cecchetto, dopo il disco di Mauro Repetto ovviamente.
Squadra Italia – Una vecchia canzone italiana (1994)
Cosa c’è di più borghese e rassicurante di Una vecchia canzone italiana cantata da un gruppo di vecchie glorie della musica italica che esalta le doti e le virtù del popolo tricolore in prima serata? Direttamente dalle catacombe della SIAE ecco sfilare una decina di reperti archeologici freschi di formalina: Nilla Pizzi Jimmy Fontana, Gianni Nazzaro, Wilma Goich, Wess, Giuseppe Cionfoli, Tony Santagata, Lando Fiorini, Mario Merola, Rosanna Fratello e la “giovane” Manuela Villa (figlia di Claudio) che a suon di fisarmonica intonano questo inno per l’emigrante italiano in America degli anni ’30. Forse lievemente anacronistico nel 1994.
DJ Francesco – Era bellissimo (2004)
DJ Francesco fresco di tormentone estivo piratesco cala a Sanremo come i lanzichenecchi durante il sacco di Roma. Alla discoteca Ariston va in scena il dramma con il nostro che da consumato speaker incita l’ingessatissimo pubblico in sala a divertirsi e scatenarsi come fossimo a una festa in spiaggia a Riccione. Una performance talmente imbarazzante che Era bellissimo passa quasi in secondo piano, peccato perché è un esempio perfetto di cosa accade ai bambini ricchi e viziati quando raggiungono l’età adulta.
Leandro Barsotti – Fragolina (1997)
Leandro Barsotti fu un visionario che per la sua Fragolina usò un linguaggio metafisico: il testo è infatti un’accozzaglia di parole messe insieme a casaccio in cui le uniche cose comprensibili sono, nell’ordine, l’uso di sostanze stupefacenti dell’autore unita ad una rara incapacità e la passione del nostro per il culo di questa Fragolina. La giuria decise che avrebbe vissuto perfettamente anche senza questo capolavoro che sdoganò la parola «culetto» a Sanremo; di Barsotti come cantautore, puff si persero le tracce. Ora fa il giornalista.
Al Bano e Romina Power – Cara Terra mia (1989)
Dopo averci cantano le meraviglie della vita di coppia, le gioie della vita insieme, la beatitudine della vita matrimoniale, Al Bano e Romina ci regalano questo splendido inno per ecoterroristi: buco nell’ozono che fa rumore (?), giardinetti pubblici cosparsi di siringhe, vetri e oscenità (preservativi usati?), effetto serra e il mondo che se ne fotte bellamente mandando in televisione «facce da P in grande quantità». Per il KO tecnico arriva Romina che accenna a uno pseudo rap e Al Bano che guida il coro di Natale. Chapeau!
Povia – Vorrei avere il becco (2006)
Nella nostra classifica doveva finirci anche una canzone vincitrice e quale potrebbe essere più appropriata se non quella che incoronò Povia? Il nostro fu protagonista dall’operazione misericordia imbastita da Paolo Bonolis durante il Festival del 2005 con I bambini fanno ooh… quando il brano fu escluso all’ultimo momento poiché già eseguito in pubblico; gli fu comunque concesso di presentarlo abbinandolo a un’iniziativa benefica in un grande spot pubblicitario in prima serata che puzzò di marchetta della casa discografica per lanciare il suo nuovo pupillo. L’anno dopo il menestrello del Signore viene incoronato Re della melodia italiana cattolica con un brano avvincente, che esalta la famiglia e l’amore monogamo camuffati da un assurdo racconto su un piccione con tanto di versi onomatopeici. Pubblico in delirio e vittoria a mani basse.
Mino Reitano – Italia (1988)
Italia è il vero inno nazionale, poche balle. La canzone-manifesto scritta per Mino Reitano, forse a sfregio, da Umberto Balsamo è entrata immediatamente negli annali del brutto, complice un sublime testo da guida turistica sgrammaticata e un ritornello epico nella migliore tradizione canterina nostrana. Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva Sanremo! Viva Mino Reitano!
Maria Grazia Impero – Tu con la mia amica (1993)
Tu con la mia amica è in realtà un brano che venne scartato (a ragione) da Loredana Bertè e riproposto inspiegabilmente una ventina d’anni dopo per lanciare la carriera di una giovanissima rocker sarda. Non c’è bisogno di commentare niente, l’inizio del video riassume magistralmente tutto quello che c’è da dire su questo brano: «rock… eh, rock». Oltre all’abitino da cow girl (perché si sa che Sanremo è famosa per i rodei) da tenere d’occhio il lancio di cappello iniziale, il “calcio sopra la porta” e lo sguardo terrorizzato della nostra Maria Grazia mentre guarda in camera con un ghigno malefico perché le avevano detto di sorridere. Livelli mai più raggiunti di discrepanza tra conduttore, cantante, palco dell’Ariston e mondo esterno. Commovente.
Adriano Pappalardo – Nessun consiglio (2004)
Il roccioso Adriano Pappalardo reduce da L’isola dei famosi si presenta all’edizione del Festival di Sanremo del 2004 più in forma che mai. Felpa con cappuccio modello Rocky Balboa, jeans, barba incolta e, presumibilmente, coltello a serramanico in tasca e revolver infilato nei pantaloni, insomma la quintessenza dell’uomo che non deve chiedere mai. Adriano sale sul palco a gridare la sintesi del suo pensiero a tempo di rock: non rompetemi i coglioni! Peccato che Nessun consiglio più che a Sanremo sembra appartenere a qualche film di Bud Spencer e Terence Hill. Quello che fece affondare il brano e la carriera di musicista di Pappalardo fu probabilmente l’interpretazione un tantinello caricaturizzata (immaginate Pappalardo che imita se stesso) con tanto di urlacci e minacce al pubblico in sala.
Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici – Italia amore mio (2010)
Poniamo il caso che tu sia Emanuele Filiberto e voglia riabilitare la tua immagine agli occhi degli italiani come se le ospitate a Quelli Che il Calcio… e la pubblicità dei sottaceti non bastassero. Che cosa fai? Decidi di presentarti al Festival di Sanremo con una canzone sui valori tradizionali: famiglia, religione e patria (l’Italia ovviamente a cui solo 3 anni prima avevi chiesto 90 milioni di euro di risarcimento danni), talmente stucchevole e finta che solo uno con tanto pelo sullo stomaco come Pupo poteva darti retta (un bigamo scommettitore d’azzardo compulsivo che ci fa la ramanzina sui valori tradizionali). Per completare l’operazione restaurazione, questo ha la brillante idea di portarsi in riviera un tenore amico suo che poi è la cosa peggiore di tutta questa operazione. Plauso al coraggio, che tra l’altro ha premiato, dal momento che Italia amore mio non solo non ha ricevuto lanci di ortaggi sul palco, ma è arrivata addirittura seconda.
Leo Leandro – Caramella (1993)
Nei primi anni ’90, con la fine della Democrazia Cristiana e prima dell’avvento delle authority, probabilmente non c’era un garante che controllasse la legalità delle canzoni di Sanremo. Questo è l’unico motivo plausibile per cui la canzone Caramella ce l’abbia fatta sino alla prima serata: nessuno se n’è accorto. Leo Leandro, con voce e vestiti da inguaribile maniaco, racconta della sua cotta per una minorenne. Citiamo testualmente: «Hai sedici anni, ma guarda tu / ormai io li ho passati da un po’ / ma tu mi piaci troppo però / Mangi troppe caramelle, gnam gnam gnam / scappi e lasci i brividi a pelle». Parliamo poi dell’infallibile ritornello? «Caramella all’albicocca, guarda che bocca / Caramella alla mora, guarda che bona / Caramella stammi stretta, ma quanta frutta / Ti chiedo un bacio e ti fai brutta / Caramella alla pera, che merendera / Caramella anche alla mela, che seno a pera / Vieni a casa mia stasera / Ma vieni sola, mi ridi in faccia scappi via». Chicca finale, il mini assolo di oboe che esce sbagliato per la troppa emozione.
Giacomo Celentano – You And Me (2002)
Al Festival del 2002 arriva la giovane promessa Giacomo Celentano, che all’epoca aveva “solo” 36 anni, ne dimostrava 45, ma voleva farci credere di averne 19: faccia pulita, bandana da imbianchino e camicia che mamma Claudia Mori aveva dimenticato di stirare. Si dimena come Bingo Bongo con la sciatica, imitando come poteva la voce nasale del padre. You And Me parla ovviamente d’amore: lui e lei si amano nonostante qualche piccola incomprensione, che poi scopriremo dovuta al fatto che evidentemente Giacomo ha un cellulare di merda che prende poco e quindi non è mai raggiungibile. Al Festival, per rendere l’esibizione di Celentano Jr ancora più bella, compare sul palco la sua fidanzatina Katia con cellulare in mano, zainetto Invicta e abiti rubati dal set de I Ragazzi della Terza C e, con un playback che grida vendetta, simula una telefonata al cantante. Un vero e proprio happening d’avanguardia, naturalmente incompreso dalle giurie popolari che lo scaraventano all’ultimo posto, ma che incorona questa You And Me regina indiscussa dei brani più brutti mai presentati al Festival di Sanremo.
Vittorio “Vikk” Papa e Francesco Roggero