Logorati dalla vita moderna? Assillati dal vostro superiore? Non ne potete più di clienti pedanti e maleducati? Se state pensando di mollare tutto e trasferirvi lontano, magari al sole dei Caraibi leggete queste righe e potrete trovarvi rapidamente a bere rum di fronte all’oceano con un bel malloppo in tasca.
Quello che dovete fare prima di partire è molto semplice: andate nel primo negozio di dischi e comprate un paio di album con i successi radiofonici del momento assicurandovi solo che gli artisti siano del tutto sconosciuti al di fuori dei patri confini e poi dirigetevi tranquillamente all’aeroporto.
Una volta arrivati a destinazione mettete insieme tre bellocci o tre procaci fanciulle, a voi la scelta, fate loro ricantare i brani più orecchiabili con il testo rigorosamente in spagnolo, girate un video a basso costo e con un minimo di promozione vi troverete una hit pronta e confezionata.
Non ci credete? Ascoltatevi En los espejos de un café e noterete qualcosa di famigliare, tanto che divenne un successone in tutto il nuovo mondo latino per mano del produttore italianissimo Gian Pietro Felisatti che ha letteralmente trovato l’America in Messico lanciando una boy band locale grazie a una manciata di cover degli 883. Ma andiamo con calma.
Visto il successo generazionale della coppia Pezzali-Repetto tra i giovani di tutta Italia, venne escogitata l’idea di esportare queste canzoni all’estero, non prima di dare una sverniciata di folklore locale con il nome di Kairo. Una volta registrate le basi a Milano negli studi della Baby Records vennero reclutati tre aitanti bellocci messicani per metterci la voce, ma soprattutto la faccia e il fisico. Più che una boy band si tratta di un cantante (Paul Forat) accompagnato da due coristi e ballerini (Eduardo Verástegui e Francisco Zorrilla).
Nel 1994 arriva finalmente il loro primo album Signo del tiempo che grazie a una massiccia promozione sbanca le classifiche in Messico, Argentina, Venezuela, Cile, Perù e un po’ tutto il Sudamerica. Il merito però è principalmente italiano, perché il singolo di punta En los espejos de un café non è altro che la nostrana Nord Sud Ovest Est che affonda nell’ovvietà, si perché quell’arrangiamento latino che dava un tocco esotico al brano originale, qui suona talmente stereotipato da fare quasi tenerezza (da notare come l’introduzione e l’inciso di trombe siano stati presi di peso dal brano degli 883). Non finisce affatto qui perché il disco ci regala altre perle nascoste come Le amiche di Paolo Vallesi (Las amigas) e la storica I Like Chopin dei Gazebo (Cuestion de piel) in versioni tanto scolastiche quanto dimenticabili.
L’anno successivo nuovo disco e nuovo successo, questa volta ancora più debitore alla musica pop italiana. Nel nuovo Gaudium troviamo ben tre brani degli 883: una catastrofica versione maranza ma che non ce la fa di Non ci spezziamo (No nos rendimos) e un’imbarazzante reinterpretazione di quarta mano di Sei un mito (Todo un mito) in bilico tra fastidio e comicità, mentre su Come mai (Libertad) i tre paiono ben più a loro agio trasformando la canzone in una ballatona corale per ragazzine.
I momenti più assurdi però si nascondono nella cover di Mi piace di Leandro Barsotti (Me gusta) che anche in spagnolo rimane piacevole come un herpes e soprattutto nei due brani di quel disperato di Leo Verde, ovviamente i suoi tormentoni durati il tempo di un ghiacciolo sulla spiaggia: Voglio fare l’amore con te (Hacer el amor contigo) e Fammi la multa (Ponme la multa) che divenne uno dei singoli di maggiore successo dei Kairo. Sembra una barzelletta ma è tutto vero.
Prima di sparire con la fine del millennio ci sarà ancora il tempo per due album di grande successo: Libres del 1997 e Pasiones del 1998; nonostante la fama dei Kairo sia a questo punto cementata, per qualche ragione troviamo un altro paio di canzoni ripescate dal repertorio degli 883.
Se La regola dell’amico (Tu amigo o algo más) è copiaincollata dall’originale, quello che suscita il nostro interesse perverso è la loro versione devastante di Tieni il tempo (Mi novia formal): se già il brano originale era un’orgia di arrangiamenti discutibili tra base dance, fiati latini, fisarmonica folk tenuti però insieme solo dalla sapienza artigianale dei produttori, tutto questo suona decisamente scollato e schizofrenico nella versione latina dei Kairo in cui i fiati finto-mariachi hanno la stessa bellezza di una gondola di plastica in soggiorno, la fisarmonica è bruttamente campionata e tanto per gradire ci aggiungono anche una bella marimba che non c’entra un cazzo, ma chi siamo noi per fermarli? Viva i Kairo!
Che cosa accadde poi ai Kairo, vi starete chiedendo (forse). Finita questa sbornia di successo Eduardo Verástegui lasciò il gruppo nel 1996 per tentare la carriera solista che non decollò veramente, reinventandosi rapidamente come attore e produttore cinematografico di successo, Paul Forat si buttò nel music business come produttore ma soprattutto dirigente arrivando a ricoprire il ruolo vice presidente di Sony Music Latin America, mentre Francisco Zorrilla probabilmente tornò a fare quello che faceva prima tornando servire bibite sulla spiaggia.
Chi se ne frega dei Kairo, in fin dei conti sono solo una scoreggina nella storia della pop culture dell’america latina, ma non potevamo esimerci dal buttarci a capofitto in questa storia assurda e bellissima, perché se ci pensiamo un attimo, quando noi ascoltavamo i tormentoni degli 883 contemporaneamente dall’altra parte del mondo tanti ragazzini facevano la stessa cosa ignorando di ascoltare canzoni italiane. Ma soprattutto i Kairo sono riusciti a far sembrare gli 883 dei giganti musicali, almeno per un attimo.