E’ luogo comune definire il Festival di Sanremo come un minestrone, dove tutto cozza e s’accozza, ma a ben vedere questa essenza si è ormai persa negli anni a favore di quella che è diventata piuttosto una qualche amalgama.
Ormai, ci sono gli anni belli e meno belli, quelli vivaci e noiosi, che venderanno oppure anche no, visti o che passeranno inosservati, ma il vero minestrone in effetti manca da un po’ sulle tavole sanremesi. Il minestrone, quello vero servito all’Ariston, è dove ci sta tutto, perché lo chef mescola con padronanza e tira un mix geniale tra canzoni bellissime e tremendamente orribili, successi clamorosi e fiaschi indegni, ritorni eccellenti e novità destinate ad entrare nell’Olimpo senza a tutti i costi tirare fuori dal cilindro chissà che, perché tutti i conigli sono già in gara.
Secondo noi l’ultimo grande minestrone sanremese della storia fu il Festival di Sanremo del 1993: condito, cucinato e servito ovviamente dal nostro Pippo Baudo (e chi altro?) che riesce, dando prova di inusitata perizia, a buttarci dentro la qualunque.
In quel cartellone troviamo cose bellissime, come Dietro la porta di un Cristiano De Andrè in stato di grazia, che vince il premio della critica e (a sorpresa) strappa il secondo posto; c’è una serie copiosa di divi, perché il Festival ha bisogno di divi, si sa, ed ecco quindi pezzi da 90 come un rinato Renato Zero che gioca la carta della svolta religiosa con la sua Ave Maria, Enrico Ruggeri (che poi vincerà, stranamente con la rockeggiante Mistero), Amedeo Minghi, Milva, Roberto Murolo (giovane esordiente a Sanremo alla tenera età di 80 anni) e l’inedita accoppiata delle sorelle Mia Martini e Loredana Bertè; senza dimenticare il debutto di una voce destinata a diventare una stella di prima grandezza della musica leggera italiana e internazionale: Laura Pausini che vinse la sezione Novità con l’appiccicosa La solitudine. E poi…
E poi ci stanno cose micidiali che è doveroso passare in rassegna per non dimenticare.
La festa in piazza
Jo Squillo torna al Festival e ci porta quantomeno badilate di energia. Purtroppo la sua orripilante Balla italiano ha davvero poco altro da offrire se non una coreografia epilettica. La canzone ispirata dalle inchieste di Tangentopoli, è un invito ai cittadini a reagire e dimostrare che gli italiani non sono solo un popolo di politicanti maneggioni al grido di: «Go go go godimento / che fa fa fa fa girare la te te testa / è un giorno di festa / balla italiano, dai che ci sleghiamo / balla italiano, non ce la meniamo».
Problemi di connessione telefonica
Alessandro Canino, ancora lontano dall’ebrezza dei 100 sms gratuiti quotidiani che fece sfracelli sul finire degli anni ’90, nel 1993 resta ancora attaccato al telefono a parlare alla sua bella, a dirle le robine carine tenendo la linea occupata di notte e giorno, da mattina a sera e tutte le cose che con una fantasia pari a zero vengono inanellate nel testo, di rara bruttezza (ad opera di Alssandro Baldinotti, Beppe Dati, Giancarlo Bigazzi e Paolo Hollesch) se non fosse che il fastidio è l’incessante «tu tu tu tu» che prosegue martellante…
Poi uno si chiede perché la gente gli volti le spalle.
Ritrovamenti archeologici
Narra la leggenda che Pippo Baudo, assunte le vesti di archeologo, si sia ficcato nelle piramidi egizie alla ricerca del libro dei morti, antico manufatto la cui incauta lettura poteva riportare in vita i defunti, musicalmente parlando si intende. Tuttavia il nostro eroe, lungi dal conoscere il rischio e il pericolo, rinvenuto il libro non ci ha pensato due volte e dalle tenebre musicali è spuntata addirittura la Schola Cantorum, gruppo vocale il cui ultimo successo risaliva a ben 18 anni prima e che rediviva (e ovviamente in formazione rimaneggiata come ben si conviene) si colloca sul palco dell’Ariston con non poco imbarazzo proprio e altrui, sentendosi ed essendo decisamente fuori posto… Un vento proveniente dall’alto Nilo li avvolgerà subito dopo l’esibizione della loro dimenticabilissima e dimenticata La strada nel mare.
La carpa antiabortista
Nek, quando ancora non era Nek e quando sfoggiava un look pericolosamente simile a quello di Alberto Tomba dei tempi d’oro ha il coraggio di debuttare a Sanremo con un tema davvero scomodo per le benpensanti platee dell’Ariston: l’aborto. Il cantante di Sassuolo con la sua In te fa immediatamente piangere tutte le signore in giuria popolare, commosse dal senso di sacrificio di questo ragazzo padre che si batte per far nascere il figlio che lei vuole «buttare via» con argomenti di un certo spessore tra carpe, rossetti e pop corn: «Risalirò col suo peso sul petto come una carpa il fiume. / Mi spalmerò sulla faccia il rossetto / per farlo ridere. / Per lui poi comprerò / sacchetti di pop corn / potrà spargerli in macchina».
La canzone dei morti
Nella disperata ricerca di un barlume di consenso, Peppino Di Capri è ormai diventato fisso al festival come le poltroncine della platea, ma nel 1993 trova modo di collezionare la sua più orrida performance in assoluto con La voce delle stelle. Qui il nostro discetta perle di saggezza ricordando rockstar morte, da Elvis a John Lennon, passando per Freddie Mercury, e lo fa con dubbio gusto, dato che si parla di suoi coetanei o anche di gente più giovane. Chissà se Elio e le Storie Tese presero ispirazione da questa canzone per la loro Li immortacci.
Una cow girl sarda, calci volanti e hula hoop
La giovane cantante sarda Maria Grazia Impero plagiata dal suo manager viene costretta a intonare la fetida Tu con la mia amica, canzonaccia rock scartata 20 anni prima da Loredana Bertè (memorabile il dialogo iniziale limite della presa in giro tra Pippo Baudo e la cantante: «Ci presenti una canzone rrrock?», «Eh… Rock»), inspiegabilmente vestita da cow girl e con tanto di calci volanti gratuiti. La parte più memorabile è però quel «hula hula hoop» accompagnato da giro di bacino. Applausi per educazione, ironia dei presentatori, eliminata immediatamente, scaricata dalla casa discografica e carriera finita.
Caramelle e sesso con minorenni
Per qualche ragione nessuno si accorse di Caramella, pruriginosa canzone dello sconosciuto Leo Leandro che con un look da inguaribile maniaco, cerca di adescare una sedicenne al bar per portarsela a letto con la scusa dei dolcetti. Se tutto questo non bastasse è giusto ricordare l’infallibile ritornello: «Caramella all’albicocca, guarda che bocca / caramella alla mora, guarda che bona / caramella stammi stretta, ma quanta frutta / ti chiedo un bacio e ti fai brutta / caramella alla pera, che merendera / caramella anche alla mela, che seno a pera / vieni a casa mia stasera / ma vieni sola, mi ridi in faccia e scappi via». Chicca finale, il mini assolo di oboe che esce sbagliato per la troppa emozione.
Giuseppe Sanna e Vittorio “Vikk” Papa