Faccio subito outing: a me i Dhamm sono sempre stati simpatici. Impossibile volergli male. Nel 1994 Kurt Cobain era appena morto e loro si presentano come una “nuova” rock band che sembra uscita direttamente dalle pagine di qualche rivista musicale degli anni ’80: avete presente Europe, Skid Row, Bon Jovi, Whitesnake, Warrant… insomma tutta quella pletora di band spazzate via dal ciclone grunge e alternative rock. Considerato che il revival anni ’80 era ancora ben lontano, che non era carnevale e neppure una goliardata, è evidente che ci credevano veramente. Teneri.
Consideriamo un attimo che negli Stati Uniti si cominciava già a parlare di post-grunge (una sciagura tremenda) mentre da noi sembrava arrivare finalmente l’hair metal (indefesso alfiere fu Nikki con il suo Rock normale uscito proprio nel 1994).
Tutto questo stride ancora di più considerato che proprio gli anni ’90 (specialmente la prima metà) fu un periodo di estrema creatività del rock italiano (ma sarebbe più corretto dire musica indipendente italiana). Contro tutto e contro tutti (non ü vero ma vogliamo immaginare fosse così), ecco che dalla capitale arrivano Dario Benedetti (chitarra), Alessio Ventura (voce), Massimo Conti (basso) e Mauro Munzi (batteria), meglio noti come i Dhamm, nome formato dalle loro iniziali, con in aggiunta una h per rendere il tutto più heavy metal, cosi come il loro logo con quella a appuntita che grida chitarre distorte e batteria rumorosa.
Il festival di Sanremo, il successo del primo disco e l’imitazione di Axl Rose
Tutto questo furoreggiare di capelli e look da metallari fuori tempo massimo si traduce in Irene, una classica ballad che li porta a vincere Sanremo giovani del 1994 dove il fascino del lungocrinito cantante Alessio Ventura (qualcuno dice un incrocio tra Sebastian Bach degli Skid Row e Sandy Marton) non passa inosservato tra le quindicenni dell’epoca che lanciano i Dhamm in classifica anche grazie al videoclip liberamente ispirato a I Remember You proprio degli Skid Row.
Lo sappiamo tutti: in Italia se vuoi fare strada il Festival di Sanremo sembra un male necessario (Vasco Rossi, Afterhours, Elio e le Storie Tese, Bluvertigo…), quindi, magari, si tratta solo di una concessione al sistema; un brano volutamente radiofonico poi distruggere il sistema da dentro a dosi di corroborante heavy metal. Giusto?
La risposta arriverà anzitutto con la partecipazione al Festival di Sanremo nella categoria Nuove Proposte con una nuova ballatona (ci risiamo) Ho bisogno di te presa pari pari dal canovaccio di Always dei Bon Jovi con tanto d’intro copiaincollata. Evidentemente non se ne accorse nessuno e il brano arrivò a un degnosissimo quinto posto, battendo l’altro teen idol nostrano Gianluca Grignani che si piazzò solo sesto con Destinazione paradiso. Soddisfazioni.
La puzza di bruciato si faceva sempre più intensa e la conferma arriva con il loro album di debutto auto intitolato pubblicato per la EMI che fa crollare il nostro castello di carta: il look capellone e aggressivo in realtà nasconde un cuore di rassicurante pop-rock a tinte rosa confetto. Tutto questo genera una tremenda dissonanza cognitiva per il rocker di turno che aspettandosi chitarre distorte si trova invece ad ascoltare rassicuranti canzoni radiofoniche. Immaginate dei Guns N’ Roses che suonano le canzoni di Pooh e avrete un’idea.

Nonostante questa trappola meschina non serve certo un orecchio smaliziato per cogliere la totale assenza di originalità: l’iniziale Controvento è una versione sanremese dei peggiori Bon Jovi, Suoneremo ancora potrebbe tranquillamente essere una versione ipervitaminizzata proprio dei Pooha.
Per avere una canzone rock dobbiamo attendere la traccia numero 9 con Io non ci sto che è anche il pezzo migliore dell’album assieme a Ad un passo dal cielo dove la formula pop + hard rock di plastica funziona. Ma è palese che i Dahmm si trovino decisamente più a loro agio a scrivere canzoncine pop alla Irene, nulla di male ovviamente, ma non capiamo davvero il motivo della mascherata.
Il disco è un successo 100.000 copie vendute e disco di platino con automatica partecipazione al Festivalbar che renderà immortali le gesta di questi quattro eroi. Ecco che durante l’esibizione in playback del loro singolo Suoneremo ancora (più che altro una minaccia) il cantante balza sul palco vestito come Axl Rose: giubbotto di pelle bianco, boxer attillatissimi, scarponcini, chioma al vento e movenze da perfetto cosplayer. Era carnevale e nessuno lo sapeva.
La sigla di Street fighter e il primo scioglimento
Un po’ come l’altro idolo delle ragazzine dell’epoca Gianluca Grignani, anche i Dhamm erano attesi al fatidico secondo album. Se il primo decise di fare di testa sua con il controverso La fabbrica di plastica, i Dhamm decisero di rimanere fedeli alla linea che tanto successo gli aveva portato. Come dargli torto?
Ecco che arrivato il 1996 torna puntuale la partecipazione al Festival di Sanremo (questa volta nella sezione Campioni) con la solita puntualissima ballata per cuori femminili. Qualcosa però non va: Ama è tra i tre brani eliminati subito (su 23) e non arriva neppure in finale. Strano perché è la classica canzone alla Dhamm.
Nonostante l’improvvisa e inaspettata battuta d’arresto arriva il secondo album Tra cielo e terra, una malcelata ruffianata con il palese obiettivo di piacere a tutti e conquistare definitivamente un posto tra i grandi del pop radiofonico italiano. Ovviamente questo non avvenne.
Già la copertina ci mostra una band carica e pimpante con Alessio Ventura (sempre lui) che tenta questa volta di imitare malissimo la spaccata aerea del David Lee Roth che fu, ma la gran parte delle canzoni segue gli stessi schemi compositivi da canzonetta melodica italiana irrobustita con arrangiamenti rockettari di facciata che già conoscevamo.



Se volessimo fare gli snob potremmo dire che per un disco rock il suono è eccessivamente tirato a lucido, con una produzione filologicamente più vicina a Eros Ramazzotti che ai Bon Jovi (il che è tutto dire). Per finire i testi che rimangono poco più che pensierini adolescenziali da scrivere sulla Smemoranda in terza liceo.
A parte l’iniziale Ricomincerò che, nel suo genere, non è male, il disco è la sagra della noia dove abbondano episodi imperdonabili come l’insuccesso sanremese Ama o Non ci lasceremo mai, deprecabile melassa pop che potrebbero benissimo essere scarti di Laura Pausini. Per ascoltare un altro pezzo decente dobbiamo attendere la seconda metà del disco con Tra cielo e terra passata alla storia (vabbé concedetecelo) solo perché utilizzata come sigla italiana per l’anime Street Fighter II, cui segue a ruota la canzone più dura dell’album, Ora che ci sei, l’unico momento che richiama le sonorità pseudo AOR che capelli e vestiario potrebbero ricordare.
L’album si chiude in bellezza con una nuova versione acustica di Un posto anche per me (originariamente inclusa nella seconda stampa del disco del 1995) e l’immancabile ballatona fuori tempo massimo in pieno stile hard rock anni ’80 Perché non hai pensato a me.
Il drastico calo di vendite e lo scarso (anzi scarsissimo) pubblico ai concerti fu come farsi svegliare la mattina da un scaricatore di porto a forza di manate in faccia.
Il ritorno e la svolta grunge
Massimo Conti (basso) e Mauro Munzi (batteria) abbandonano il sogno Dhamm e vengono sostituiti rispettivamente da Ernesto Osci e Bruno Valente e nel 1997 la band torna con un terzo non esattamente attesissimo album. Disorient Express è decisamente un cambio di direzione: via il logo pacchiano, via l’abbigliamento da rocker anni ’80, qui la band sembra indossare i panni pseudo grunge in puntuale perfetto ritardo, quando il resto del mondo mischiava rock ed elettronica.



Diciamolo subito: il disco è grunge quanto potrebbe essere etichettato grunge La fabbrica di plastica di Grignani. Piè che altro il suono potremmo dire che strizza l’occhio al rock alternativo e non cerca di piacere a tutti i costi alle ragazzine. Una svolta rock (vera o presunta) che andava di moda in quegli anni, basti pensare a Scimmie di Marco Masini o La prova di Raf.
Oltre a un sound rinnovato quello che salta al’orecchio sono i testi finalmente accettabili, perché non più scritti da Alessio Ventura ma curati dalla giovane scrittrice Simona Orlando (Dio la benedica). Insomma potrebbero esserci tutti gli elementi per combinare qualcosa di buono.
E infatti è proprio così: questo è senza dubbio il loro miglior album. Peccato che non lo abbia ascoltato nessuno.
Parliamo di un capolavoro? Ovviamente no. Parliamo di un disco da consigliare al nostro migliore amico? Nemmeno, ma a differenza dei precedenti si fa ascoltare senza che ci prenda l’istinto compulsivo di scaraventare il CD fuori dalla finestra. La title track, Zona nera, Apatiapatiapatia sono davvero buone intuizioni, mentre il singolo (azzeccatissimo) L’uomo di cartone, è decisamente bello (peccato fuori tempo massimo) nonché vero opus creativo del gruppo.
Nulla che faccia scapocciare ma in generale le cose funzionano con un songwriting robusto e con Alessio Ventura che non è più solo un bambolotto bagna-mutandine ma che si dimostra un buon cantante. Avessero sforbiciato tre o quattro brani (Il cielo sotto, Sono qui, Liberalizzatemi o Ballo da solo) le cose sarebbero andate ancora meglio.
Anche dal vivo la band è decisamente più sobria (per fortuna niente cosplay vari) ma appare chiaro che il pubblico è in confusione: le ragazzine vogliono Irene e chi ascolta rock alternativo ovviamente schifa qualsiasi cosa possano produrre questi i finti rocker di Sanremo.
La domanda che ci poniamo è se questi siano i “veri” Dhamm liberi dalle pressioni discografiche o se sia l’ennesima mossa da paraculi professionisti per grattare il fondo del barile. Per non correre rischi il pubblico schifò completamente questo Disorient Express privo di zuccherosi ammiccamenti e senza la minima street cred di rock band.
La storia potrebbe finire qui con la band che decise di tagliarsi i capelli (per andare a lavorare o per non essere riconosciuti?) e continuare nel 2000 con il (brutto) nome di Sautiva (con Roberto Perrone come batterista) tornando su un rassicurante pop-rock scialbo e senza pretese, ma con risultati ancora più modesti, anche per assenza totale di promozione.
Alessio Ventura tornerà per un brevissimo periodo con gli orrendi DB Boulevard qualche anno dopo con cui tornò a Sanremo nel 2004 senza raccogliere molti consensi, prima di ritrovarsi con i suoi ex compagni per le classiche reunion tra vecchi amici, semplicemente scusa per suonare in giro e pubblicare qualche nuovo singoletto per la loro gioia e quella di qualche sparuta vecchia fan.
[Nota per il lettore: l’articolo originariamente pubblicato nel febbraio 2006 è stato completamente riveduto e aggiornato a settembre 2023 per completezza e accuratezza d’informazione.]