Il successo internazionale ottenuto da Peter Jackson con la trilogia tratta da Il Signore degli anelli ha fatto dimenticare le pellicole dei suoi esordi: film fatti con un milionesimo del budget ma creativi, satirici e soprattutto trucidi ed ultra-violenti. I titoli sono indicativi: Bad Taste, Braindead (in Italia Splatters, gli schizzacervelli)… Nella sua natia Nuova Zelanda però in diversi si ricordano ancora di queste opere, e ogni tanto salta fuori qualcuno che decide di seguire quello stile anarchico e grottesco.
Un esempio è Deathgasm dal 2015, opera prima di tale Jason Lei Howden che trae ispirazione, oltre che dai suddetti film, dal mondo elitista dell’heavy metal. Il tutto in omaggio a quel breve filone tipicamente anni ’80 della “musica satanica”, in cui vinili rock e metal erano immancabilmente legati a entità sovrannaturali di vario tipo, un prodotto del momento storico in cui ancora si credeva ai messaggi subliminali nei dischi: ricordiamo ad esempio Morte a 33 giri o Non aprite quel cancello.
Brodie è il tipico teenager disadattato, cresciuto da uno zio cristiano fondamentalista e che passa le giornate a venire bullizzato, giocare di ruolo con gli unici due suoi amici (i classici nerd solitari) e ad ascoltare musica metal ovviamente. Fin qui tutto regolare, almeno fino a quando conosce nel negozio di dischi da lui frequentato il metallaro Zakk: costui convince lui e gli altri due a fondare un gruppo metal chiamato Deathgasm, anzi DEATHGASM, perché le minuscole sono da sfigati.
Zakk si rivela un fan della rockstar “maledetta” Rikki Daggers, che sarebbe in possesso di alcune antiche partiture dai poteri soprannaturali e come prevedibile è tutto vero. Brodie, dopo essere stato umiliato di continuo, decide di vedere se questi poteri possono aiutarlo a vendicarsi dei bulli e a conquistare la più carina della scuola. Naturalmente qualcosa va storto e i Deathgasm si troveranno a dover affrontare non solo i loro concittadini, trasformati in simil-zombi dai malefici influssi della melodia infernale, ma anche un gruppetto di cultisti non particolarmente abili, che cercano di impadronirsi delle partiture per evocare il demone Aeloth in esse imprigionato. E anche lo stesso Zakk prende il suo stile di vita “true metal” troppo sul serio…
Se dopo aver letto questo riassunto vi assale una sensazione di déja vu è esattamente ciò che voleva il regista: la trama è volutamente stereotipata, poco più di una scusa per mettere in scena una serie di massacri a metà strada tra l’horror e il comico-demenziale (anche per gli strumenti usati, tra sex toy e dadi da 20). Il film si qualifica come splatter comedy anche perché tutti i personaggi continuano a tradirsi e/o uccidersi tra loro, per meschinità, interesse o semplice idiozia.
Jason Lei Howden, che prima di diventare regista è stato un esperto di effetti speciali (e ha riversato la sua esperienza in questo film), ha basato buona parte della trama e dei personaggi sul suo stesso passato da metallaro emarginato, e ciò si vede dal fatto che tratta la materia in questione con affetto, anche quando ne fa la parodia. Vengono citate molte band celebri o di nicchia, i personaggi passano un sacco di tempo a discutere degli infiniti generi e sottogeneri del metal tra un ammazzamento e l’altro, e in generale l’intero film è sospeso tra l’omaggio sincero e la presa per il culo dell’immaginario tipico di quel genere, tra nichilismo, viscere varie, fantasie di potere, vinili mandati al contrario e corpse paint. Non manca nemmeno un omaggio al famigerato video di Call of the Wintermoon degli Immortal.
Insomma, essere un adepto duro e puro del metallo pesante (ma con senso dell’umorismo) certamente aiuta ad apprezzare questo film (e la sua colonna sonora completamente originale, ad opera di giovani band metal neozelandesi), ma è sufficiente anche essere patiti dei film di serie B o C e splatter dei “bei vecchi tempi”, pieni di effettacci e frattaglie senza alcuna computer grafica in vista, nonché delle commedie sguaiate ed eccessive degli anni Ottanta.