Claudio Cecchetto ha il dono di riuscire a farsi amare e odiare al tempo stesso; lui lo sa bene e ci gioca in continuazione. Per questo motivo il suo nome ricorre spesso sulle nostre pagine: Cecchetto è riuscito a creare alcuni dei momenti più belli della musica italiana ma anche alcuni dei momenti più brutti della musica italiana e talvolta le due contingenze coincidevano all’interno della stessa produzione.
Con queste premesse vi raccontiamo dell’autobiografia di Claudio Cecchetto, intitolata In diretta – Il Gioca Jouer della mia vita, edita nel 2014 da Baldini & Castoldi, senza nascondervi che ne abbiamo apprezzato la lettura. Sì, perché il libro presenta diversi livelli di interesse per tante tipologie di lettori: c’è la storia delle radio indipendenti italiane, per la quale Claudio è stato una figura cardine, ci sono tanti retroscena molto gustosi su personaggi più o meno celebri della scuderia di Cecchetto (chi legge abitualmente Orrore a 33 giri sicuramente preferirà le storie sui personaggi meno celebri) e per finire c’è l’aneddotica legata alla vita del poliedrico DJ, conduttore, autore e produttore di origini venete.
Proprio da quest’ultimo aspetto vogliamo iniziare la nostra analisi: l’entusiasmante vita di Claudio Cecchetto merita senza dubbio di essere raccontata (sebbene sia necessario tenere presente che le autobiografie andrebbero spesso intese come puro intrattenimento, considerato che non sempre le storie narrate sono verificabili da più fonti), ma la forma che l’autore ha scelto per l’esposizione tocca spesso punte di autocelebrazione difficili da sopportare. Per intenderci, alla fine di ogni aneddoto Claudio inserisce una didascalica frase in corsivo quasi a trarne una morale, ad esempio quando racconta di essere stato scelto a nove anni come “capo-chierichetto”, suscitando l’invidia dei compagni, Cecchetto scrive: «Quando sei numero Uno è un casino. Ognuno vorrebbe essere lì, al tuo posto. I numeri Uno sono sempre “Single”!» o ancora, una volta al cospetto dell’arcivescovo Montini, successivamente Papa Paolo VI, la punchline finale in corsivo è: «Forte stare vicino alle star! La mia vita sarebbe stata ricca di quel tipo di emozioni.», arrivando persino a paragonarsi a Brian Epstein, il produttore dei Beatles, seppur per esprimere un concetto tutto sommato sensato: «L’idea di Epstein era geniale e l’ho messa in pratica su me stesso e sugli artisti che ho prodotto. Da Lorenzo a Max Pezzali, da Gerry Scotti a Fiorello fino a Fabio Volo, tutti hanno in comune il fatto di essere dei “bravi ragazzi”, sinceri, generosi e rassicuranti. A me i “cattivi” non sono mai piaciuti e, salvo qualche eccezione, non piacciono troppo nemmeno allo show business».
Altro momento chiave, la scoperta di essere stato repentinamente sostituito come batterista della sua prima band, con conseguente presa di coscienza zen del fatto che il nuovo sostituto è meglio di lui a suonare la batteria, viene chiosato così: «C’è un po’ di me, espresso al top, nei personaggi che ho lanciato. Il loro talento straordinario individuale è ciò attraverso cui anch’io mi sono espresso, vivendo tante vite e tanti successi. Se fossi stato accentratore, se la mia indole fosse stata quella di espormi sempre in prima persona, non avrei potuto cogliere e “innamorarmi” dei loro talenti. Il mio è forse quello di aver saputo intuirli ed essere stato in grado di riconoscerli ed enfatizzarli».
Ancora sul Cecchetto-pensiero: «Sapevo che Gerry sarebbe diventato il presentatore numero uno della televisione italiana, Fiorello il più forte degli show-man, Max un cantautore intergenerazionale e Lorenzo avrebbe riempito gli stadi. In tutti gli artisti che ho scoperto e lanciato c’è una parte di me, che sono in grado di esprimere al massimo. Al primo incontro ho visto l’aura. È una battuta, ma con un fondo di verità. Attorno alle persone con grande talento c’è una luce così evidente che mi sembra impossibile che gli altri non la notino subito».
Per concludere la vicenda: «Ho conosciuto molti ragazzi che volevano diventare delle star. Il successo degli artisti che ho prodotto mi ha regalato la nomea di Re Mida, sembrava che il loro successo dipendesse esclusivamente da me. Sono sicuro che qualcuno ha pensato che se invece di conoscere Lorenzo, Fiorello o Max Pezzali avessi incontrato lui, ora sarebbe al loro posto. Non è così! Loro le radici, io l’acqua. Le mie idee, i miei consigli, le mie intuizioni hanno trovato terreno fertile nelle persone curiose di crescere, di imparare a migliorarsi. Avevano, e hanno, un’attitudine naturale. Si può insegnare solo a chi vuol imparare. Vale nella vita e nel mondo dello spettacolo».
Non trovate anche voi che questa eccessiva apologia dei suoi artisti, a quanto dice lui stesso considerati dei mostri sacri dello spettacolo italiano, suoni un po’ come difenderli dalle accuse di essere persone qualunque “spinte” dal Re Mida? In sostanza, la sensazione è che difendendoli Cecchetto lo stia un po’ ammettendo. Claudio, se veramente Lorenzo, Fiorello e Max Pezzali (perché a lui hai tenuto il cognome?) sono così speciali come dici, non c’era bisogno di giustificarli.



Non mancano poi name dropping e sbruffonate durante tutto il libro. Sia ben chiaro, non è una nota di demerito, è il discorso che facevamo prima, se avete abbastanza esperienza nel campo dei libri di memorie saprete che va così: nella tua autobiografia puoi scrivere quello che ti pare, dopotutto è tua, ma noi siamo liberi di non credere proprio a tutto; l’importante è che sia divertente! Cecchetto ad esempio dichiara di essere stato l’artefice del successo dei La Bionda quando Freddy Naggiar, presidente della Baby Records, gli diede in anteprima l’album Sandstorm raccomandandogli di suonare il singolo omonimo in uscita di lì a un mese, ma secondo DJ Claudio era più bella One For You, One For Me e allora cominciò a programmare quella in radio, il risultato? Dopo una settimana tutti chiedevano quel singolo.
E quando nel 1982 Cecchetto decise di lanciare la new wave in Italia, a detta sua ancora sconosciuta nel nostro paese? Il racconto del suo viaggio a Londra per prendere dischi da portare in Italia è molto spassoso: «La stanza era minuscola e aveva una sola vetrina, ma la scelta era ottima grazie ai gusti del negoziante che era… Boy George! La scena era surreale. Scorrevamo le copertine e ogni volta gli chiedevamo: Is this New Wave?».
Oppure quando sostiene di aver inventato la keytar per Sandy Marton: «Mi piaceva l’idea che Sandy sapesse suonare, gli dava un’immagine da artista completo. Però sul palco doveva essere visibile, la sua fisicità era un talento, non volevo nasconderla dietro un pianoforte. Ho fatto realizzare per lui una tastiera a forma di chitarra che gli permettesse di muoversi, ballare, farsi guardare. Quello strumento lo ha caratterizzato. Negli anni successivi diverse aziende avrebbero prodotto in serie tastiere simili, come la mitica Roland AX-Synth».
O ancora di quando, con il video di Sei un mito degli 883 ha anticipato di vent’anni Miley Cyrus: «Quel video rimane mitico perché Fabrizio Ferri s’inventò in anticipo un’immagine oggi famosissima: Yasmin che cavalca e si dondola con una corda appesa al soffitto. Ci è arrivata vent’anni dopo Miley Cyrus in “Wrecking Ball”».
Parlando invece di DJ Francesco: «Il suo secondo album, “Il mondo di Francesca, in pochi mesi diventò Disco d’oro. Anche qui mi venne un’idea. Nella stessa confezione includemmo due CD uguali, su uno dei quali c’era la scritta “copia autorizzata” … Lasciai Francesco libero di inseguire il suo sogno televisivo mantenendomi sempre in contatto con lui. A proposito, ora lo chiamo, che mi è venuta un’idea :)» con tanto di emoticon finale.
Ecco invece la difesa di Cecchetto di fronte a chi lo accusa di aver sempre pilotato i propri artisti su ogni media possibile (il contesto è Un disco per l’estate del 1994, in cui Claudio era il conduttore e direttore artistico): «Si votava col televoto. Tra gli esordenti vinse Nikki con “L’ultimo bicchiere”, scritta da Max Pezzali. Un noto discografico, produttore di uno dei giovani in gara, mi mando una lettera di accuse: “Non pago di avere cinque cantanti su dieci in gara e quattro su sei in finale, lei modifica il sistema di votazione in modo che risultino ai primi tre posti tre suoi cantanti”. Quello che non sapeva era che avevo chiesto all’organizzazione di monitorare le votazioni, la cui frequenza veniva registrata da un centralino. Furono resi pubblici i dati e il problema rientrò. Era chiaro che proponessi i miei artisti. Ho sempre prodotto canzoni che mi piacevano, in cui credevo, che pensavo avrebbero avuto successo, cosa che puntualmente accadeva. Ero famoso per questo, era il mio lavoro, e come presentatore e organizzatore di manifestazioni musicali era naturale proponessi ciò che ritenevo il meglio, che spesso coincideva anche con ciò che producevo. C’era sempre qualcuno che dubitava della mia buona fede. Il pubblico ha sempre premiato ciò che gli piace e non ciò che gli viene imposto, non basta promuovere un artista per decretarne il successo».
Chiudiamo questa prima sezione con un’ultima boutade: «Per Tracy (Spencer) era arrivato il momento di fare un album. A spingermi a quella decisione erano anche gli attacchi nei miei confronti da parte dei giornali. Volevo dimostrare che si sbagliavano. Da sempre i critici musicali, soprattutto quelli dei quotidiani, erano abituati ad ascoltare i dischi in anteprima e a indirizzare il mercato discografico con le proprie recensioni. In quel periodo i giornali cominciarono a parlare dei miei artisti come di “musica usa e getta”. Sono almeno trent’anni che vengono cantati e trasmessi, e nessuno li ha ancora “buttati”», Claudio, questo non sappiamo dirtelo con esattezza, ma se anche qualche pezzo dei tuoi artisti fosse stato buttato, vai tranquillo che l’abbiamo recuperato noi.
Da bravo istrione quale è Cecchetto non mancano tuttavia i momenti autoironici: «Fra i dischi lasciati da Radio Music, trovai il 45 giri “The Hit”, una canzone ska che avevo prodotto l’anno prima con Carpani. Notai che i DJ che ci avevano preceduto in via Franchetti avevano aggiunto a pennarello una S facendola diventare “The S-Hit”. Io e Massimo abbiamo riso di quella correzione sulla copertina, avevano ragione, era il primo 45 che ho prodotto in vita mia e l’avevo sbagliato».
Oppure, parlando del libro di Marco Baldini Il Giocatore, ogni scommessa è un debito, dice: «Quella è la sua versione, la mia sarebbe leggermente diversa :)».
Altro momento divertente, quando Claudio racconta di aver inseguito per tanto tempo la Coca-Cola come sponsor per le sue attività senza esserci mai riuscito per vari motivi: «Morale della favola: la Coca-Cola mi piace. Io invece le sto sul cazzo».
Ma la parte più gustosa, meglio riuscita e più interessante di tutto il libro è quella degli aneddoti sui nostri beniamini.
Partiamo dalla nostra preferita, Sabrina Salerno: «Il pezzo era forte, musicalmente studiato per entrare in testa e diventare una hit, ma non sarebbe bastato. Un fuoriprogramma ci ha aiutato, quello di capodanno. Non le ho mai chiesto se fosse davvero successo per caso. Durante la registrazione di uno show per la TV spagnola una spallina del vestito le cadde lasciandola a seno scoperto. I produttori del programma non censurarono l’incidente e mandarono in onda tutto. Nel giro di una settimana Sabrina diventò una star in Spagna, intervistata da tutti i giornali e dalle Radio. Il suo disco andò a ruba, e la «Salernomania» contagiò anche la Francia, l’Inghilterra e il Sudamerica Girò il mondo per promuovere la canzone. Fra noi ci fu anche una breve storia, se non d’amor senz’altro d’affetto. Con la stessa leggerezza con cui ci siamo incontrati, ci siamo lasciati, senza rimorsi o rimpianti. Ognuno aveva da inseguire il proprio sogno».
Su Fabio Volo: «Gli ho promesso che avrei trasmesso a Capital il suo singolo (“Volo”) a una sola condizione: avrebbe dovuto accettare di entrare a far parte dello staff della radio e condurre un programma. Fabio era spiazzato. “Non credo di esserne capace”, mi disse, “non sono un DJ”. Gli ho detto che nessuno lo è prima di provarci: “E poi tu non devi fare molto. Se in onda sarai come con me oggi, come sei nella vita, è fatta. Fidati”».
Su DJ Francesco:
«Era un pazzo scatenato.
Io: Francesco cosa hai combinato?
Fr: Sono entrato con lo scooter acceso dentro lo studio in diretta.
Io: E quindi?
Fr: C’è una puzza di benzina della madonna.
Io: Quindi?
Fr: Non lo faccio più.
Io: Bravo.
…
Fr: Claudio è estate e fa un caldo pazzesco in studio.
Io: Cosa vuoi fare?
Fr: Andare in onda dal parcheggio dentro una piscina gonfiabile
Io: Ok.
Su Jovanotti: «Il giorno del mio quarantesimo compleanno, Lorenzo venne a festeggiarlo a casa mia e mi regalò una cassettina. Su un campione hip hop la sua voce rappava:
La storia che stasera col rap io vi dico
la dedico ad un capo, fratello ed amico
un ragazzo come tanti di Milano operaia
che cercò un modo diverso per fuggire la noia
e visto che il lavoro anche allora era poco
se lo inventò da solo quasi per gioco
erano gli anni 70 di fermento
tra i giovani cervelli grande movimento
e tra un’occupazione e una manifestazione
ci si riconosceva dentro una canzone
e così dall’esigenza da tutti sentita
in Italia venne fuori la Radio privata
proprio come oggi a Telemontecarlo
si lavora solamente per il gusto di farlo.
E così Claudio Cecchetto dj numero Uno
parlava velocissimo come nessuno
nessuno capiva ciò che volesse dire
ma la carica i ragazzi li faceva impazzire
e così in pochi anni non dico come
il ragazzo conquistò un discreto nome
tanto che la Rai tv lo chiamò a presentare
la musica che tutti volevano ballare.
E i giovani italiani sempre lungimiranti
amavano il dj molto più dei cantanti
e Claudio Cecchetto dj precursore
lanciò per tutti noi un nuovo grande mestiere
e fra i successi e le celebrazioni
fu visto di buon occhio anche da Berlusconi
che in quel tempo aveva in mente di comprare il mondo
e siccome in fronte a lui non ha scritto giocondo
puntò tutto su Claudio per lanciare la rete
e fu così che la gente seguì le private
ma il contatto diretto con il Cavaliere
lo spinse ad ampliare il proprio mestiere
passando da showman a imprenditore
strinse la cintura e con soldi ed amore
comprò una Radio libera chiamata Deejay
non so se tu la senti io la sentirei.
Comunque adesso taglio ed arrivo al punto
per dire in questo rap che io sono contento
di poter dedicare io stesso le rime
a colui che me le fece cantare per prime
offrendomi lo spazio e l’opportunità
di esprimere in tv la personalità
e fra i momenti belli e i momenti duri
vi dico con il rap Cecchetto tanti auguri.
Il più bel regalo che potessi ricevere per i miei quarant’anni».
Gli aneddoti continuano con 883, Fiorello, Amadeus, Gerry Scotti, ma di questi sappiamo tutto. Quindi puntiamo tutto su due outsiders di lusso e la prima è Milly D’Abbraccio: «In vacanza con me era venuta Milly D’Abbraccio, una ragazza bella, piena di vita, simpatica, un po’ rock. Una sera, al Ku, ho fatto una di quelle cose che sarebbero da raccontare ai figli se non si rischiasse di trasformarla in un’arma con cui potrebbero giustificare qualsiasi “stronzata”. Mi sono tuffato in piscina dalla parte sbagliata, l’acqua era alta poco più di un metro. Sono riemerso stordito, ma non abbastanza da non rendermi conto, guardando le facce degli altri, che dovevo essere una maschera di sangue. Milly, agitatissima, mi ha caricato in macchina e mi ha trascinato urlando al pronto soccorso. Ha fatto così tanto casino che io stesso sentivo l’ansia crescere come se fossi in pericolo di vita. Ha bloccato dottori e infermieri, spostato barelle, fatto lo slalom tra le persone in attesa, parlando una lingua tra spagnolo e italiano della quale si capiva solo l’allarme. Nel giro di cinque minuti ero sdraiato su un lettino in sala operatoria, con due dottori pronti a intervenire. Quando videro la ferita, quasi si misero a ridere: “tutto qua?”. Cinque punti di sutura e dopo un quarto d’ora sono uscito sulle mie gambe, senza neanche sentire troppo dolore. Ho detto a Milly che forse aveva esagerato. “Avresti preferito essere ancora lì in fila ad aspettare?”. La forza delle donne.».



Concludiamo questa panoramica con una graditissima sorpresa, ben quattro pagine dedicate al più grande di tutti: l’ex 883 Mauro Repetto. Non vogliamo rovinarvi la sorpresa, riporteremo solo il commento di Cecchetto sul disco Zucchero filato nero: «Non è stato un successo, ma oggi è considerato un album “cult”, straordinario nella sua pazzia e originalità». Claudio, qui ci hai chiamati in causa direttamente!
Controverso, sfacciato, didascalico, smaccatamente buono. Questo è Claudio Cecchetto e questo è anche quello che lui vuole che si dica di lui, ecco perché non possiamo che consigliarvi di leggere In diretta – Il Gioca Jouer della mia vita. Tolto qualche passaggio piuttosto pernicioso ci sono talmente tanti momenti peculiari che è impossibile non esserne coinvolti. Claudio, ci hai fregati un’altra volta. E ti vogliamo bene per questo. Ma la prossima volta te ne prego, non concludere il tuo libro con la parola «figata!».