Caterina Caselli 7 Cover Di Canzoni Straniere in Italiano

Caterina Caselli: 7 cover di canzoni straniere in italiano

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Caterina Caselli
Caterina Caselli negli anni ’60

Dobbiamo dare atto alla signora Caterina Caselli Sugar di aver certamente contribuito allo sdoganamento di parecchia musica d’oltreoceano nelle patrie classifiche in virtù di un suo passato di musicista (oltre che di cantante) aperto sulla scena rock e pop straniero e maturato attraverso interpretazioni di brani divenuti ormai icone melodiche (la celeberrima Insieme a te non ci sto più, tanto per dirne una a caso). Sempre attenta ai fenomeni di costume e musicali stranieri sin dai suoi esordi fino alla mutazione genetica in spregiudicata produttrice e talent scout (qualche nome? Pierangelo Bertoli, Faust’O, Mauro Pagani, Giuni Russo, Andrea Bocelli, Avion Travel, Gazosa, Elisa, Negramaro, Raphael Gualazzi e Malyka Ayane vi bastano?) .

Questa attitudine ha portato il nostro ex “casco d’oro” a cimentarsi in parecchie interpretazioni di canzoni straniere in italiano, dove i testi e a volte anche le atmosfere venivano stravolte rispetto agli originali, rimanendo comunque omaggi appassionati, disseminati negli anni da un’artista grintosa e a suo modo avanti rispetto alle sue colleghe coetanee. Qui di seguito ne riscopriremo sette come i vizi capitali, in una sorta di guilty pleasure, in un florilegio di titoli presi qua e da 45 giri, LP e best of, certamente meritevoli di nota per la loro curiosità o per la loro fama imperitura.

Sono Qui con Voi (Baby Please Don’t Go)

L’originale Baby Please Don’t Go era del bluesman Big Joe Williams, ma la versione della Caselli del 1965 si rifà a quella di Van Morrison incisa nel 1964 come B-side di Gloria quando faceva parte dei Them. Purtroppo Sono qui con voi musicalmente non è all’altezza di quest’ultima, con un organetto Farfisa che stenta un po’ a sorreggere il tutto e gli altri strumenti che fanno quello che possono. Ma Caterina è una tigre: suona il basso e mette tutta sé stessa in un’interpretazione baritonale che traina tutta la canzone. Malauguratamente il testo è veramente scarso, incentrato su poche parole e molti «alleluja» da coro parrocchiale beat di quart’ordine. La RCA provò a lanciare il brano durante il Cantagiro ma il pubblico gli preferì altro. Come dargli torto?

Il lato A era la rilettura di un brano strumentale degli oscuri The Astronauts (Kuk”) rititolata La Ragazza del Piper e intonata quasi unicamente dai maschietti del suo gruppo, con lei che si chiude il naso con le dita mentre canta qualche strofa di contorno.

Tutto Nero (Paint It Black)

Sul lato B del singolo Cento Giorni uscito per la CGD nel 1966 troviamo questa Tutto nero, cover di Paint It Black dei Rolling Stones: Jagger e Richard (e il fu Brian Jones) adeguatamente imbellettati con una mano di vernice musicale Piper anni ’60 e un nuovo testo (di L. Beretta) alquanto cupo ed ermetico. L’interpretazione vocale della Caselli dona però un fascino dark piuttosto inusuale per i 45 giri da classifica dell’epoca. Da non perdere anche la copertina del singolo con Caterina-Zorro all black in ossequio al titolo.

Cielo Giallo (Mellow Yellow)

Nel 1967 Caterina cambia colore e sceglie il giallo squillante di Mellow Yellow della hit portata al successo nel Regno Unito dallo scozzese Donovan. Il testo originale non era affatto un granché, ma la versione italiana Cielo giallo è davvero imbarazzante. Con liriche come: «Giallo è il mio maglione / Che indosso solo per te / è fiorito il limone / e tu sei sempre con me» siamo sicuri che il misconosciuto paroliere Albula (al secolo Alberto Carisch) non potesse fare di meglio? E dell’originaria atmosfera hipster trasfigurata in un arrangiamento da Canzonissima ne vogliamo parlare?

Per sentire una versione più folle e snaturata in lingua italica dovremo aspettare il 1982 con Stravolgimi di giallo del Gruppo Italiano. In ogni caso il pezzo ha la particolarità di mostrare (forse solo per poche volte nella sua carriera) una Caterina Caselli “svagata” e priva di inflessioni drammatiche nella voce.

Puoi Farmi Piangere (I Put a Spell on You)

L’originale urlo blues da licantropo di Screaming Jay Hawkins doveva per forza essere adattato alle candide orecchie melodiche del pubblico Italiano degli anni ’60. Su I Put a Spell On You ci lavorarono il maestro Pallavicini per l’arrangiamento ed il sommo Mogol per le nuove liriche. Il risultato è il 45 giri Puoi farmi piangere incluso nel “musicarello” Perdono del 1966, con un climax più vicino a certi polizieschi francesi dell’epoca che al blues del Delta. Riprendendo la versione di Nina Simone dell’anno precedente il tono sommesso della voce si avviluppa ad un testo che parla di tormento masochistico per un folle amore: «Puoi farmi piangere / Puoi farmi tutto ciò che vuoi». A porre fino allo strazio d’amore di Caterina arrivano provvidenziali un paio di note d’organo.

Non so voi ma a me lo Stregone Nero urlante intrigava (musicalmente parlando) molto di più delle lacrime beat della Caselli, ma tant’è. Rimane comunque una sua coraggiosa versione del più classico dei voodoo-blues. Chapeau!

Il Volto della Vita (The Days of Pearly Spencer)

The Days of Pearly Spencer del cantautore nordirlandese David McWilliams uscito nel 1967 sembra fatto apposta per Caterina Caselli e difatti la sua versione Il volto della vita trionfa nel Cantagiro del 1968. Merito del lavoro di arrangiamento e riscrittura degli ottimi Mogol e Daiano, che classicizzano il pezzo facendolo calzare come un guanto allo stile della cantante. Direi uno dei rari casi in cui la copia non sfigura accanto all’originale e anzi la supera, se non altro per l’interpretazione vocale decisamente migliore.

Il volto della vita diverrà un classico della musica italiana grazie soprattutto alla bravura della Caselli (ebbene sì, paradossalmente ho sempre adorato il suo tono leggermente lamentoso che gettava un’ombra di seriosità anche in brani solari come L’orologio). Nella versione di McWilliams il testo parlava di ricordi e di guerra, in quella di Mogol si torna a descrivere immagini e stati d’animo contrapposti di fronte ad un incontro con un fantomatico uomo (o Dio?) e delle difficoltà per raggiungerlo. Nemmeno Marc Almond quattordici anni dopo avrebbe reso il brano così iconico.

L’Uomo del Paradiso (Lady In Black)

Caterina Caselli che incontra l’hard rock degli Uriah Heep è un po’ come se Giorgia avesse inciso una cover dei Pearl Jam. Lady In Black è una ballad da coro attorno al falò contenuta nel best seller del gruppo Salisbury (1971) e la sua cover italiana L’uomo del paradiso con liriche del solito Claudio Daiano con Ettore Carrera venne inclusa nell’album omonimo di Caterina Caselli del 1972 (che conteneva quasi tutte reinterpretazioni di brani altrui).

Musicalmente il confronto con l’originale può ancora reggere, ma il testo certe volte sembra tradotto alla lettera penalizzando la metrica del cantato. Nonostante la magia dell’originale svanisca si merita comunque un dieci e lode al coraggio della scelta.

Il Silenzio Vale Più delle Parole (We Have All the Time in the World)

Della serie: visto il titolo, non possiamo che dar ragione all’interprete… Nel già citato album Caterina Caselli del 1972 appare anche questa Il silenzio vale più delle parole, rilettura del classico di Louis Armstrong We Have All the Time in the World e di fronte a standard di questa caratura ovviamente non si può pretendere di superare l’originale, talmente figlio della voce di Satchmo che qualsiasi altra versione manca di pathos. Si potrebbe essere almeno credibili con il testo in italiano e invece no; anche questa volta liriche piuttosto banali e cantato da sotto la doccia piuttosto sottotono rispetto ai livelli a cui ci aveva abituato la cantante modenese, che di lì a tre anni avrebbe lasciato il palcoscenico per dedicarsi ad altro.

Onorabili menzioni meritano le doppie cover di L’ombra di nessuno, rivisitazione ruvida e sguaiata del brano dei Primitives (già lato B di Yeeeeeeh) che era una cover del classico dei The Four Tops Standing in the Shadow of Love del 1966, con Caterina nei panni della black singer e la più kitsch di tutte Tu sei mio padre sempre dall’LP omonimo del 1972, cover di Son of My Father, successo dei Chicory Trip dello stesso anno che altro non era che la versione inglese di Nachts Scheint Die Sonne, brano scritto da Giorgio Moroder nel 1971 e interpretato da Michael Holm, che il nostro Giorgio pubblicò senza successo sempre nel 1971, dove il testo della versione della Caselli che parla di rivendicazioni di autonomia da parte di una figlia ribelle al proprio padre è la ciliegina sulla torta.

Le tante altre perle di questa icona vivente della musica italiana andatevele a riscoprire da soli, non ve ne pentirete.

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  1. Dire che la Caselli sia una cantante ripetitiva e volgarotta dipende dai gusti.
    Per quanto mi riguarda ha fatto un epoca, è una grande artista che non è stata apprezzata come avrebbe dovuto essere. Spero poterla conoscere.
    Caterina grazie di avermi fatto sognare
    Alessandro

  2. La Caselli non è stata mai una cantante da me apprezzata. L’ho sempre trovata ripetitiva, volgarotta e poco incisiva e con scarsissime capacità interpretative. Ha avuto solo la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. ma tant’è. Anche come discografica ha avuto una fortuna al di sopra delle sue capacità. Non dimentichiamoci che ha avuto tra le mani un diamante puro come Giuni Russo e non è stata in grado di farlo brillare veramente. Anzi… ha lavorato per umiliarla e affossarla.
    C’entravano sentimenti più privati e… intimi? Gelosia? Vendetta?
    Chiedo scusa a chi non la pensa come me e comunque avrei una domanda. Ricordo che la Caselli negli anni 60 aveva fatto la cover di una canzone tedesca, qualcuno di voi sa di quale canzone si tratta? Grazie

    1. “Morire due volte” cover di “Geh’ nicht vorbei” di Christian Andres (1970). Per quanto riguarda i rapporti con Giuni Russo si potrebbe parlarne per ore, ma non è il caso qui. La Caselli c’entra sicuramente, ma non è la sola “colpevole” delle scelte musicali della Russo. Lei doveva comunque rendere conto all casa madre (CGD), ma soprattutto c’era un’altra persona molto vicina a Giuni che la consigliò male. Gelosia? Vendetta? Due aggettivi che ci stanno proprio bene, ma non fanno parte del vocabolario della Caselli. Dovresti leggere il libro (qualora non lo avessi già fatto) “Da un’estate al mare al Carmelo”, capiresti molte cose.

      1. 87stronzo ma cosa ne capisci tu volgare,,,,,, ripetitiva,,,,,
        La caselli è stata la più grande cantante di quegli anni ora e sempre la più grande anche se non ha più pezzi canori attuali grande caterina

  3. Manca comunque la primissima cover della Caselli che è stata anche la sua prima incisione: “Sciocca”, cover di “She’s a fool” di Lesley Gore. Il primo singolo infatti era ben lungi dal personaggio Caselli costruito a partire da “sono qui con voi”: tentarono di farne un’interprete alla Françoise Hardy in salsa italiana, l’esperimento non riuscì e la riproposero in una versione più aggressiva.

  4. Precisazione doverosa. La Caselli non fu la talent scout degli Area. Semplicemente li scritturò per la sua discografica ‘Ascolto’ dopo che divorziarono dalla Cramps nel 1977 quando avevano già pubblicato quattro album.
    A differenza poi di quanto avveniva con Gianni Sassi che voleva avere il controllo su tutto, Caterina diede agli Area carta bianca, al punto che “Gli dei Se ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano” fu il primo e unico album prodotto integralmente da loro stessi.

  5. Un bell’articolo, assai competente, che rende omaggio ad una grande e coraggiosa interprete del passato. Prima di lanciare critiche a vuoto e fare facili sberleffi (come tanti critici stupidi tuttora fanno), bisognerebbe riandare a quei tempi lontani, quando le cantanti-donne o erano interpreti misurate ed onnicomprensive come Mina, oppure erano stucchevoli educande da convitto religioso stile Gigliola Cinquetti. La Caselli si è formata sulla musica nera americana e del beat ha sempre dato un’interpretazione più virata al Rithm&Blues made in USA, che al “mersey sound” di provenienza britannica. In questo, è stata veramente all’avanguardia, in un’epoca in cui l’avanguardia era ancora considerata quella del pur grande Mimmo Modugno, laddove gente come Claudio Villa, Nilla Pizzi ed Achille Togliani erano ancora pienamente sulla breccia!

  6. Complimenti ottimo articolo ! Competente dettagliato e studiato .
    È’ un piacere leggere articoli come questi.
    Chiara

  7. Bell’articolo; solo un dettaglio va specificato doverosamente, ossia che la versione italiana di ‘I Put A Spell On You’ non prende a modello l’originale citato, ma la versione di Nina Simone, la stessa che intrigò a tal punto Paul Mc Cartney da riprendere il triplice ‘I Love You’ per la sua ‘Michelle’. La versione della Simone fu anche- ci crediate o no- l’ispirazione per ‘L’immensità’, portata a Sanremo da Johnny Dorelli e Don Backy :personalmente preferisco la versione del primo, assai più calibrata di quella berciante del secondo, che forse servì come modello alla Nannini per la sua cover (cortesia fra toscani? lei è di Siena, come noto, e lui di Santa Croce sull’Arno).

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